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 2013  aprile 07 Domenica calendario

IL GENIO RACCONTA LA STORIA ANTICIPANDO TIZIANO E DURER

Raffaello ha una capacità straordinaria di modificare continuamente il suo stile, riuscendo sempre nuovo e sempre eccelso. Prendiamo gli affreschi della Stanza della Segnatura con le scene celebri della Scuola di Atene, della Disputa del Sacramento, del Parnaso. Dipinti fra il 1509 e il 1511, rappresentano una specie di età dell’oro nel percorso del pittore e si collocano al vertice del suo classicismo olimpico. Tutto è ordine, calma, splendore, visione ottimistica dell’umano destino, glorificazione della Sapienza, della Giustizia, della Poesia, della Religione in una dimensione intellettuale ed estetica che fa pensare agli archetipi di Platone e ai Campi Elisi degli Dei, prima che alla smagliante urgenza della Storia. Ma ecco, subito dopo, la Stanza detta «di Eliodoro», dipinta fra il 1512 e il 1513.
Grazie al prodigioso mimetismo, alla meravigliosa flessibilità e capacità di assorbire e trasformare qualunque suggestione (questi sono i veri caratteri distintivi della sua personalità artistica) Raffaello sa cambiare registro nel giro di pochi mesi. Nella Stanza di Eliodoro egli non è chiamato a rappresentare concetti astratti ancorché sublimi (la Filosofia, la Religione, la Poesia, la Legge) come aveva fatto sulle pareti della Segnatura, ma a raccontare la Storia, gli interventi di Dio in difesa del suo popolo. Per la prima volta ha la possibilità di misurarsi con l’impresa eroica, può dare immagine alla maniera grande che il suo solitario misantropo antagonista, Michelangelo, aveva appena squadernato nella volta della Sistina.
Raffaello aderisce con convinzione, si direbbe con una specie di amabile duttilità a quei nuovi modi di rappresentare il movimento, l’anatomia, l’azione drammatica. Fa suoi il lessico e la sintassi manierista inventati da Michelangelo, prende a piene mani dall’immenso repertorio delle figure e della Natura, e soprattutto, scopre il colore.
Che l’incontro con il cromatismo veneto gli sia venuto da Sebastiano del Piombo e da Lorenzo Lotto l’attenzione alla verità di pelle, alla intensità fisionomica e psicologica del ritratto rinascimentale, questo è meno importante. I processi di accelerazione del genio (come cioè il genio possa arrivare in tempi brevissimi, bruciando tutte le tappe, sostenuto da poche suggestioni, guidato da intuizioni fulminee, alla piena maturità espressiva) restano un inconoscibile mistero; in Raffaello come in Mozart, come in Dante Alighieri. Fatto sta che nella Liberazione di San Pietro dal carcere Raffaello è già Tiziano senza avere mai visto Tiziano, che i volti dei sediari inginocchiati nel proscenio della Messa di Bolsena chiedono di confrontarsi con Dürer e, oltre Dürer, con Velázquez. Mentre lo sfondo di paese nell’Incontro di Leone Magno con Attila (le nubi colorate alte nel cielo di Roma, il profilo spettrale del Colosseo, Monte Mario che brucia di incendi) dimostra che, all’anno 1513, le «ceneri violette» nate dal funerale di Giorgione, per usare la famosa immagine di Longhi, si sono depositate nella Stanza di Eliodoro fecondando il genio pittorico di Raffaello.
Antonio Paolucci