Andrea Colombo, Libero 6/4/2013, 6 aprile 2013
QUANDO EZRA ESALTAVA IL MONTE DEI PASCHI
C’era una volta una «banca, ottima, in Siena». Un istituto di credito che non si dedicava ai maneggi della finanza e non approfittava dell’ingenuità dei risparmiatori, ma che investiva sulla produttività del popolo, finanziava le arti, i mestieri e quella bellissima festa cattopagana che va sotto il nome di Palio dell’Assunta. Questa banca, per Ezra Pound, era il Monte dei Paschi, l’istituto di credito finito nei guai per le sue attività speculative spregiudicate.
Il poeta americano iniziò ad occuparsi della banca senese negli anni Trenta, nel periodo della grande depressione e gli dedicò la Quinta Decade dei Cantos (pubblicata nel 1937). Ricorda la figlia, Mary de Rachewiltz: «Era il 1932. Nella Biblioteca dell’Accademia Chigiana s’imbatte di continuo nella storia della Toscana e del Monte dei Paschi. Prende note, stralcia dai documenti pubblicati “Per il terzo centenario del Monte dei Paschi di Siena (1625-1925)”, lo incuriosiscono i buoni agrari che gli ricordano quelli basati sul legname, emessi dal nonno nel Wisconsin».
In questo istituto, risorto nel XVII secolo con l’impegno, fissato negli statuti, di mantenere gli interessi al 5%, Pound annotava che «la base era il frutto della natura e la volontà dell’intero popolo». L’erogazione del credito era aperta a chiunque garantisse di adoperarlo per attività produttive utili o opere sociali. Il poeta riprese i documenti dell’epoca e li riportò nel Canto 42: «che il denaro si dia/ a chi sia per impiegarlo più utilmente / a prò delle case loro, o a benefitio / de’ negotii di campo, come ancora di lana, di seta». In fondo il Monte dei Paschi era nato come filiazione diretta di quei Monti di Pietà, sponsorizzati dai francescani nel Rinascimento, in contrasto con le pratiche degli usurai. Il contadino, l’artigiano, potevano affidarsi a questi istituti, senza temere di dover pagare interessi esorbitanti sui prestiti erogati. Il denaro, in questa ottica, rientrava nel circolo virtuoso della produttività, dell’abbondanza della natura (i raccolti di grano), di quella che oggi viene chiamata economia reale e non nel girone vizioso della speculazione.
In contrapposizione all’impostazione social creditizia dei Monti dei Paschi, si poneva la Banca d’Inghilterra. A Siena il Monte era al servizio del popolo, a Londra la Banca «trae beneficio dall’interesse su tutta la moneta che crea dal nulla» (Canto 46). Il modello economico, quello dell’alta finanza speculativa, s’identificava in questo caso non con la natura (la fertilità) ma con l’usura (sinonimo di sterilità). Il denaro creato magicamente dal nulla diventava così il feticcio dei colletti bianchi della City di Londra e di Wall Street. Il contagio si estese a tutto il mondo, il guadagno facile, senza fatica, basato sui meccanismi spregiudicati di future e derivati, venne considerata la moda del momento.
Da allora i due grandi protagonisti della polemica poundiana diventarono il grano e l’oro: «Il metallo dura, ma non si riproduce. Seminando l’oro non si raccoglie oro moltiplicato». L’oro «non germoglia come il grano». Per il poeta il Monte dei Paschi stava dalla parte giusta. Altri tempi, altri ideali. Certo che se si fosse ascoltata con più attenzione questa «voce che grida nel deserto»...