Paolo Mastrolilli, La Stampa 7/4/2013, 7 aprile 2013
CIA, L’ITALIA META ABITUALE DEI VOLI SEGRETI
A quel punto l’avvocato Jeffrey Heller decide che vuole vederci chiaro. Si rivolge in maniera brusca a Mahlon Richards, presidente della Richmor Aviation, che organizzava i voli segreti della Cia per le «extraordinary rendition», e gli chiede: «Lei sa dove volava tra il maggio e il novembre del 2002 l’aereo in questione?».
Risposta di Richards: «In ogni posto del mondo». Allora Heller lo incalza: «Sì, ma dove andò quell’aereo?». Richards sa che mentire in un tribunale americano significa finire in galera, e quindi si arrende: «Andò in Italia, a Roma. In Afghanistan. Ovunque».
Questo scambio di battute, avvenuto nella primavera del 2011 davanti alla Corte Suprema dello stato di New York, cambia la storia del coinvolgimento dell’Italia nelle «extraordinary rendition», ossia i contestati arresti, rapimenti e trasferimenti di decine di presunti terroristi nelle prigione segrete della Cia, dove venivano interrogati per evitare altri attentati come quelli dell’11 settembre 2001.
Le parole di Richards, insieme a vari documenti di cui scriveremo tra breve, dimostrano che il nostro Paese era una meta abituale di queste operazioni decise dall’amministrazione Bush, ben prima della cattura di Abu Omar avvenuta a Milano il 17 febbraio del 2003.
La Cia stabiliva i passeggeri e le rotte, ma non gestiva i voli. Per organizzarli si rivolgeva a diversi contractor, tra cui la DynCorp. Questa compagnia a sua volta si appoggiava ad altri intermediari, in una catena di subappalti che faceva perdere le tracce dell’operazione.
Uno degli intermediari è la Sportsflight di Don Moss, cliente dell’avvocato Heller, che chiede alla Richmor Aviation di Mahlon Richards di mettere a disposizione un Gulfstream a dieci posti per alcuni voli segreti. L’aereo appartiene al co-proprietario della squadra di baseball dei Boston Sox, Phillip Morse, e i suoi viaggi sono identificati con la sigla N85VM. Uno di questi voli porta Abu Omar al Cairo, e forse trasporta altrove anche Khalid Sheikh Mohammed, mente dell’attacco alle Torri Gemelle. I piloti devono essere pronti a decollare con preavviso di 24 ore, per raggiungere qualunque angolo del mondo: in sostanza, vivono all’aeroporto. In cambio, però, non si fanno mancare nulla: presentano rimborsi spese per panini che costano anche 20 dollari, e le bottiglie di vino con cui li accompagnano non vanno mai sotto i 40 dollari.
Col tempo, però, i rapporti si fanno tesi, e la Richmor fa causa alla Sportsfligth, accusandola di aver violato il contratto. Richards sostiene che Moss gli deve oltre un milione di dollari in missioni prenotate, organizzate, e mai compiute. Nel gennaio del 2010 un giudice dello Stato di New York gli dà ragione, condannando Sportsflight a pagare 1,6 milioni. A quel punto, marzo del 2011, la causa finisce in appello alla Supreme Court di Albany, Third Department. Il muro del segreto cade. Circa 1.700 pagine di documenti e fatture vengono presentate dalle parti, e gli interrogatori davanti al giudice Paul Czaka si fanno serrati.
Per provare che non è stata pagata, la Richmor fornisce due fatture che riguardano l’Italia, di cui «La Stampa» è in possesso. Il primo volo, dal 3 al 7 maggio del 2004, segue questa rotta: Washington, Palma de Majorca, Rabat, Napoli, Tripoli e Tenerife. Il secondo decolla il primo marzo 2003 e arriva il 3, passando da Washington, Roma, Islamabad, Dubai e Glasgow. Roma è una sosta importante, al punto che i quattro passeggeri del volo Cia pernottano nella capitale italiana al costo di 568 dollari, più 775 dollari per la gestione tecnica dello scalo. Chi c’è a bordo di quegli aerei e cosa avviene durante le soste in Italia? Anche da noi c’è una struttura segreta per gli interrogatori? Richards risponde che non lo sa: decideva tutto la Cia, a loro arrivava solo l’ordine con la rotta da seguire.
La parte più interessante, però, arriva quando l’avvocato Heller interroga il presidente di Richmor, avversario del suo cliente Don Moss. Heller vuole dimostrare che la Sportsflight era completamente all’oscuro della dinamica dei voli, e quindi innocente sul piano dei pagamenti. L’interrogatorio va così: Heller: «Ci spiega cosa erano i voli rendition?»
Richards: «È un volo dove il governo pensa che ci sia un cattivo ragazzo e lo prende».
Heller: «Un cattivo ragazzo. Un rapinatore di banche, o altro?». Richards: «Terroristi». Heller: «E lei sa dove volava tra il maggio del 2002 e il novembre del 2002 l’aereo in questione?».
Richards: «In ogni posto del mondo».
Heller: «Sì, ma dove andò quell’aereo?
Richards: «Andò in Italia, a Roma. In Afghanistan. Ovunque».
Heller: «Un rendition flight. Lei ha detto cattivi ragazzi. Andavano a Roma e prendevano qualunque ragazzo cattivo, o uno in particolare?».
Richards: «Noi non avevamo informazioni su chi loro (gli agenti Cia ndr) facevano volare e chi prendevano».
Le risposte di Richards non ci interessano solo per la loro teatralità, ma anche perché dimostrano che la storia del coinvolgimento del governo italiano nelle “rendition” dell’amministrazione Bush è ancora tutta da scoprire. Il presidente della Richmor è in tribunale, e sa che mentire è un reato punito molto seriamente negli Stati Uniti. Quando l’avvocato Heller gli chiede dove andavano i voli segreti della Cia, il primo Paese che gli viene in mente è proprio l’Italia. Anzi Roma, la capitale, dove i passeggeri passano anche la notte. Le ricevute fornite che riguardano il nostro Paese sono due, per fini processuali, ma è ovvio sospettare che i passaggi siano stati molti di più. Infatti sono anche le date a colpire. Il rapimento di Abu Omar avviene il 17 febbraio del 2003 a Milano, e noi lo consideriamo un episodio isolato gestito dalla Cia, con la collaborazione dei servizi italiani. La domanda di Heller a Richards, però, è molto precisa: vuole sapere con esattezza dove era andato il volo N85VM tra il maggio e il novembre del 2002, ossia quasi un anno prima del caso Omar.
La risposta di Richards, dopo un primo debole tentativo di aggirare l’ostacolo, è altrettanto netta: «Andò in Italia, a Roma». Ma la ricevuta numero C43318, quella del volo con sosta nella nostra capitale, è datata 3 aprile 2003, ossia dopo il rapimento di Omar. La numero C52743, quella di Napoli, è addirittura del maggio 2004. Prima o poi, allora, qualcuno dovrà rispondere a queste domande: tra il maggio del 2002 e il maggio del 2004, quanti voli segreti della Cia sono passati dall’Italia? Autorizzati da chi, e per fare cosa?