Paolo Bracalini, il Giornale 23/3/2013, 23 marzo 2013
I SEGRETI DEL BUNKER DI MUSSOLINI
«Palazzo Venezia e Villa Torlonia sono inconfondibili e né l’uno né l’altra sono dentro le 1.500 yard dalla Città del Vaticano. Se Mussolini verrà ucciso, o anche solo seriamente ferito, ciò accrescerà la possibilità di far uscire l’Italia dalla guerra. Per questo chiedo l’autorizzazione di procedere con l’operazione». Questo scriveva il capo della Raf britannica, maresciallo Charles Portal, in una lettera datata 13 luglio ’43 e indirizzata a Churchill. Il blitz aereo, nome in codice «Operazione Dux», era già nei piani inglesi da un anno. Ma non ce ne fu il tempo, e neppure il bisogno. Ci pensò il regime stesso a far fuori il suo Duce, divenuto troppo ingombrante, destituendolo nel Gran consiglio del fascismo pochi giorni dopo, il 24 luglio ’43.
Prima di allora, tuttavia, un bombardamento chirurgico per eliminare il capo del fascismo era stato messo in conto, perciò Palazzo Venezia nel ’39 viene dotato di protezioni anti-aeree e antiincendio. A queste si aggiungevano dodici bunker disseminati per Roma, alcuni per i gerarchi (quello dell’Eur), altri per proteggere organi vitali della Capitale (quello sotto la stazione Termini, da dove si potevano manovrare gli scambi ferroviari; quello sotto la caserma dei Vigili del fuoco, tuttora lì, come gli altri), e poi due a disposizione di Benito Mussolini e della sua cerchia ristrettissima, uno sotto la residenza privata di Villa Torlonia sulla Nomentana, l’altro sotto la sede del governo fascista, a Palazzo Venezia. Quest’ultimo bunker, a sedici metri di profondità sotto l’ala del Palazzo verso piazzetta San Marco (sede oggi della Soprintendeza per i Beni culturali del Lazio) è rimasto sepolto e quasi rimosso per quasi settant’anni. Un insignificante tombino, nascosto tra magazzini, bagni e uffici nel piano terra del palazzo quattrocentesco, nascondeva la scalinata in mattone che porta al rifugio: 80 metri quadri, un rettangolo diviso in nove «stanze», incastonato e difeso, oltre che dalle spesse pareti in cemento armato, delle fondamenta dell’antica torre. «Lo abbiamo scoperto per caso, durante i lavori per creare uno spazio espositivo che ospiterà opere da tutto il Lazio, in ideale continuità con l’Accademia Canoviana che sorgeva proprio qui», spiega la Soprintendente Anna Imponente. La costruzione del bunker, non completo, risale agli inizi degli anni ’ 40. Negli ambienti si notano i fori di aerazione, un accenno di passaggio (probabilmente verso il cortile), due rientranze forse destinate a casseforti. Il bunker è accessibileda un corridoio a volte quattrocentesche, collegato a un ascensore originale degli anni ’30,che porta al primo piano, quello degli uffici del Duce. Dunque, un percorso per rifugiarsi nel bunker nel giro di pochi secondi. Mussolini però non lo usò mai. «Il suo fedelissimo attendente, Pietro Carradori, che conosceva tutto della vita a Palazzo Venezia, di quel bunker non ha mai parlato» racconta Luciano Garibaldi, autore di Vita col Duce. C’è però una versione, forse leggendaria, che collega il bunker a Claretta Petacci. L’amante di Mussolini aveva una propria residenza alla Camilluccia, dove il Duce dispose la blindatura di un alloggio di servizio seminterrato, a mo’ di bunker anti-aereo. E si racconta che Claretta avesse a disposizione un alloggio anche all’ultimo piano Palazzo Venezia (che raggiungeva in incognito), proprio nell’ala sopra il bunker. Un rifugio per l’amata Claretta, dunque? Difficile discernere la leggenda dalla storia, oscurata da una sorta di damnatio memoriae che ha colpito anche le vestigia di quel ventennio. Come il balcone di Palazzo Venezia, luogo proibito da Mussolini in poi (addirittura da una legge della Repubblica, come raccontò Mattia Feltri sulla Stampa), riaperto soltanto nel 2011, dopo 68 anni di tabù. Se si eccettua questo episodio: «Dal balcone reso famoso da Mussolini- racconta un filmato d’epoca sulla Liberazione di Roma, giugno ’44 -, il sergente americano John Peter imita il Duce. Tra le risate generali».