Nicola Porro, il Giornale 23/3/2013, 23 marzo 2013
QUANDO LA «CARNE DI CAVALLO» FINISCE NELLA PANCIA DEL LEONE
Oggi vogliamo indagare su quanta carne di cavallo ci hanno spacciato nelle nostre polizze vita. Beh la storia la conoscete. È successo un gran casino per una piccola percentuale di carne equina (meno dell’1 per cento)ritrovata nei ravioli e nei tortellini di manzo della Buitoni del gruppo Nestlè.
I prodotti finanziari non sono proprio dei tortellini, ma spesso vengono trattati come tali e dentro ci mettono di tutto. La prova è avvenuta grazie alla pulizia (parziale) che il numero uno delle Generali, Mario Greco, ha iniziato a fare sulle sue polizze vite. Più che sue, sono nostre. Vediamo cosa abbiamo scoperto. Nel 2007 le Generali si sono trovate in mano circa il 4 per cento di Telecom Italia. Con l’uscita di scena di Marco Tronchetti Provera fu all’epoca costituita una scatoletta societaria (Telco) non quotata in cui vari azionisti (tra cui Generali, ma anche Mediobanca e Intesa) impacchettarono i propri titoli Telecom e che con poco più del 20 per cento ha permesso di controllare la società di Tlc. Che cosa pensarono gli amministratori dell’epoca del Leone di Trieste: piazziamo piccole dosi di cavallo (cioè di azioni non quotate Telco) nelle nostre gestioni. È così che nelle polizze sottoscritte dagli assicurati Generali entrarono questi titoli. Dal 2007 ad oggi, l’investimento Generali si è rivelato molto sfortunato: e da 1,3 miliardi di euro iniziali, la quota oggi vale circa 250 milioni. In cinque anni è stato bruciato un miliardo di euro. Ma il punto vero è che questa pardita non l’hanno subita gli azionisti di Generali, ma i sottoscrittori di polizze.
Greco, pochi giorni fa, ha reso la cosa eplicita. Le azioni Telco (che rappresentano il valore delle Telecom quotate) sono state per l’ennesima volta svalutate per circa 290 milioni da Generali. Ma solo 148 milioni di rettifica sono state fatte dal gruppo assicurativo. Il motivo è semplice: solo metà della partecipazione era scritta nel patrimonio della compagnia, il resto era nelle gestioni separate, per cui non è necessaria una svalutazione. O meglio le perdite se le subiscono i detentori delle polizze. Le Generali, sentite dalla Zuppa, sostengono che circa il 75 per cento della carta Telco sia stata nel passato piazzata nelle gestioni e il restante tenuta a patrimonio. La nuova gestione afferma inoltre che ha correttamente ripreso parte di queste azioni e spostate dalle gestioni a patrimonio: e oggi si è così ridotta la quota delle Telco in capo alle gestioni al 50 per cento.
Qual è la morale di questa storia? Semplice la più importante compagnia assicurativa italiana ha partecipato ad un’«operazione di sistema» (tenere in mani italiane la Telecom) ma l’ha fatta pagare ai suoi assicurati. D’altronde con più di 400 miliardi di masse gestite, un miliardo di Telco-Telecom si possono annacquare. È una piccola dose di carne di cavallo. Ma resta la cattiva pratica. Liberi ovviamente i gestori di Generali di mettere nelle polizze anche investimenti un po’ a rischio. Ma ci si chiede per quale dannato motivo gli assicurati debbano pagare i giochetti della finanza italiana.
In tutto ciò (e nella graduale pulizia che sta facendo Greco) c’è anche un aspetto più pettegolo- finanziario. Le Generali sono controllate di fatto da Mediobanca. E il vecchio sistema di governare il capitalismo italiano con piccole quote, poi sindacate, e come abbiamo visto poi spalmate nelle polizze assicurative, è destinato a cessare. Quando Mario Greco dice che non vuole partecipare più a patti di sindacato dice pure che non è disponibile a comprare posizioni in società solo per garantirne la governance. Sarebbe inoltre auspicabile che Greco ci dicesse con chiarezza e una volta per tutte quanta carta Telco,o di altre società«strategiche», sono state piazzate nelle sue polizze. Avrà il coraggio di farlo?
Ps Ieri sul Sussidiario.net il primo presidente della Regione Lombardia Piero Bassetti a precisa domanda su Maroni ha detto: «Può essere un buon presidente». Un mese fa sul Corriere della sera , il medesimo Bassetti, sosteneva che il piano di Maroni e del Carroccio «è lo stesso che condusse alla Repubblica di Salò», motivo per il quale era indispensabile votare Ambrosoli. Non c’è osservatore finanziario milanese che, consocendo bene i rapporti di Bassetti con Giuseppe Guzzetti numero uno della Fondazione Cariplo, non scommetta su un repentino cambio di passo politico della Fondazione azionista di Intesa. A proposito di politica e credito.