Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 07 Domenica calendario

LA SCRITTRICE CHE INSEGNA AGLI SCIENZIATI COME TRASFORMARE LE FORMULE IN POESIA

Nel Dipartimento di Biologia della Columbia University c’è una nuova stanza, che porta sulla targa la scritta writer-in-residence. Tra quelle pareti occupate dalle fotografie dei premi Nobel americani siede Meehan Christ, la prima scrittrice «residente» nella facoltà scientifica della prestigiosa università newyorkese. Un ruolo nato lo scorso anno per volontà del capodipartimento Stuart Firestein, appassionato studioso della relazione tra scienza e arte e convinto del potere dello storytelling applicato a formule matematiche e modelli.
La storia è piena di scrittori eccellenti prestati alla scienza: da Dante Alighieri, che si unì alla corporazione dei medici e degli speziali, fino all’autore di La strada, Cormac McCarthy, proprietario di una scrivania al prestigioso Santa Fe Institute nel New Mexico, dove si diletta tra paper di astronomia ed editing di pubblicazioni scientifiche. Ma è la prima volta che un’università apre le porte del suo sapere scientifico a una giovane professionista della scrittura, affidandole il compito di tradurlo in un linguaggio comprensibile ai non-addetti ai lavori.

Christ, nata a San Francisco 34 anni fa, alla Columbia insegna tecniche di scrittura ai ricercatori di biologia e assiste nella scrittura professori e studenti al lavoro su saggi, libri o articoli da pubblicare. Ci incontriamo al Museo di storia naturale di New York, dove — insieme con Carter Emmart, direttore della sezione astro-visualizzazione dell’American Museum of Natural History, l’information designer Jer Thorp e lo storico direttore di «American Scientist» John Rennie — la studiosa, occhi azzurri e sorriso luminoso da californiana, ha parlato delle difficoltà e delle nuove opportunità di chi racconta la scienza oggi.
Il suo background non è scientifico: Christ è laureata in lettere con una specializzazione in non-fiction, ma da quindici anni la scienza è diventata la sua passione, coltivata con la determinazione di chi è spinto dall’amore. Nel suo caso, quello filiale. Durante gli anni del college, in seguito a una caduta, sua madre subisce una lesione cerebrale. «Ho cominciato a studiare manuali, a partecipare a seminari e a intervistare medici solo per capire cosa le fosse successo», racconta.
Quella che nasce come una «missione» per trovare le cause del dramma materno diventa un’ossessione professionale: «La scienza mi è apparsa presto come la metafora perfetta di ciò che unisce il certo e l’incerto, della relazione tra fatti e immaginazione, delle alchimie che abbiamo concepito per dare un senso al mondo». Poesia e scienza non sono così diverse: «Entrambe vogliono rispondere alla stessa domanda: perché siamo su questa Terra?».
Meehan sembra richiamare il maestro McCarthy che, in una delle rare interviste concesse alla stampa, ha dichiarato: «La scienza e l’arte di scrivere hanno parecchie cose in comune. Riguardano la curiosità, la capacità di assumersi dei rischi, e l’inclinazione ad affermare verità che nove persone su dieci smentiranno». Lavorare su un paper di biologia è un po’ come entrare in contatto con una lingua straniera: «Le parole sono sul foglio, ma il contenuto non è immediatamente accessibile. L’importante è trovare la scaffalatura retorica che si nasconde in ogni testo». Per spiegare il suo lavoro l’autrice, cofondatrice di un collettivo di scrittori e ricercatori della Columbia, ricorre al famoso videogioco Tetris: «L’obiettivo è trovare i buchi, incastrare i tasselli, e convincere della bontà del tuo gioco anche i lettori esperti in grado di decodificare i colori e le forme».
Le difficoltà di comunicazione sono un problema talmente sentito nella comunità scientifica che tre anni fa è partita una conferenza annuale, «Comm4Biotech», con lo scopo di aiutare i «cervelloni» a esprimersi al meglio. Durante l’edizione del 2011 è stato distribuito ai partecipanti un catalogo degli errori più ricorrenti, tra questi: «abuso di ringraziamenti e citazioni»; «utilizzo di fraseologia scientifica»; «elusione della notizia». Meehan è molto clemente con gli scienziati: «Quando hai passato la vita a lavorare su un particolare minuscolo è molto difficile tenere presente il contesto, quello che effettivamente i cittadini sanno dell’argomento».

L’impresa della californiana consiste nel trasformare il procedimento scientifico in una bella storia senza perdere le ambiguità e le complessità dei risultati. Un esercizio diventato fondamentale da quando argomenti come il cambiamento climatico o le risorse energetiche sono usciti da laboratori e università per entrare nelle agende dei governi: «Le persone hanno fame di scienza e oggi c’è maggiore consapevolezza del ruolo pubblico degli scienziati e delle loro responsabilità. Essere informati correttamente ci aiuta a prendere migliori decisioni: da che cosa mangiamo a come morire». Meehan condanna la tendenza dei media a «sensazionalizzare e iper-semplificare le scoperte scientifiche»: «Dai libri di pop science ai magazine e ai siti — puntualizza — tutti sentono di dover divertire e intrattenere. Non c’è nulla di male, ma quando lo fai a spese della verità allora stai infliggendo un grave danno ai tuoi lettori». Se, come dice Umberto Eco, ogni traduzione porta con sé un tradimento, nel taglia-e-cuci delle redazioni giornalistiche spesso si rischia di perdere valore: «La stampa popolare travisa così tanto i contenuti che spesso si perde il senso delle scoperte».
Tra un paper di neurobiologia da correggere e una lezione di scrittura, Meehan lavora sul suo libro, a metà strada tra il memoir e la saggistica: «Sono partita dalla vicenda di mia madre per approfondire la natura delle lesioni cerebrali traumatiche lievi». Nel testo esempi provenienti dalla storia delle neuroscienze e reportage dai laboratori più all’avanguardia si uniscono a interviste a medici e veterani di guerra in Iraq e Afghanistan. «È interessante notare — spiega la scrittrice — come l’idea di cervello cambia a seconda delle diverse culture e del significato attribuito di volta in volta all’essere umano. Le lesioni cerebrali sono un argomento ampio e complesso da capire perché multidisciplinare, crocevia di differenti discipline: neuroscienza, scienza cognitiva, neurologia, ingegneria meccanica, filosofia». Ma è solo un impulso umanitario a stimolare i ricercatori che ogni giorno bussano alla porta di Christ? «È provato che quelli capaci di comunicare il loro lavoro hanno più chance di essere pubblicati e finanziati». In poche parole, vuoi essere uno scienziato di successo? Impara a scrivere.
Serena Danna