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 2013  aprile 07 Domenica calendario

LA BEFFA DELLE ASTE AL RIBASSO

Accettiamo scommesse: i lavori per salvare Pompei dureranno una vita e costeranno una tombola. Lo dicono i ribassi di certe gare d’appalto: fare un’offerta del 57% inferiore alla base d’asta significa puntare sul trucco che da anni devasta i cantieri pubblici italiani. Vinto l’appalto, si tirano in lungo i lavori il più possibile per poi pretendere più soldi, più soldi, più soldi. È un andazzo che conosciamo bene. Si pensi al museo archeologico di Reggio Calabria che ospita i Bronzi di Riace.
Decisero di restaurarlo in tutta fretta, dopo anni di pensamenti, perché fosse riaperto il 17 marzo 2011, nel centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Essendo lavori improvvisamente urgentissimi (e chi se lo immaginava che dopo 150 anni arrivasse il centocinquantenario?) non si badò troppo al prezzo. Base d’asta 14 milioni di euro, appalto assegnato per 11. Era il febbraio 2008. Da quel momento è cominciata una litania: «Ah, ma non c’era questo…», «ah, ma non c’era quest’altro…», «ah, ma non si era tenuto conto di quest’altro ancora…». Risultato: sono passati cinque anni, i Bronzi sono malinconicamente sdraiati come atleti infortunati nell’androne della Regione Calabria e i costi sono saliti finora, come ha ricostruito Antonietta Catanese sul Quotidiano della Calabria, a 33.010.835 euro. Il triplo. In cinque anni. Con la prospettiva che le più belle statue di bronzo del Pianeta possano essere restituite in piedi ai visitatori (e guai a ipotizzare intanto un eventuale prestito al Louvre in cambio di qualche opera strepitosa: «Sono calabresi! Non si muovono di qui!») solo nella primavera 2014. Auguri.
«Terroni!», strillerà qualche padano. Errore: anche il Nord trabocca di giochetti simili. Vogliamo rileggere quanto disse Giuliano Pisapia nel settembre 2011 dopo il primo appalto per l’Expo? «Sono molto preoccupato che la prima gara abbia determinato la vittoria di chi ha fatto un ribasso del 42,8%: non voglio parlare di sospetti, ma servono verifiche». Come volevasi dimostrare, ecco la cronaca un anno dopo: «Dopo essersi aggiudicata la prima gara di Expo con un ribasso record del 42,8% l’azienda che sta lavorando per ripulire il milione di metri quadrati a Rho-Pero da tutti gli ostacoli ha battuto cassa. La richiesta: circa 30 milioni di extra costi». Ed ecco che dopo essere partiti da 90 milioni per scendere a 52 si ritornava a 82 milioni. Come se il ribasso vero fosse stato dell’8,8%.
Un altro esempio centro-settentrionale? I lavori per i Grandi Uffizi, segnati anche da una serie di arresti. Il primo lotto nel maggio 2006 ha come base d’asta 50 milioni. Vince una cordata che i grillini definirebbero di inciucisti: di qua una coop rossa, di là costruttori amici del pidiellino Denis Verdini. Ribasso d’asta: 40%. L’importo dei lavori scende a 30 milioni di euro. «Troppo pochi per farcela», scriverà l’Espresso, «infatti, il consorzio comincia subito a chiedere adeguamenti tariffari. Dall’inizio del 2008 ai primi di febbraio del 2010, poco prima degli arresti, i ritocchi di prezzo riguardano sette stati di avanzamento lavori su otto».
Una situazione inaccettabile. Che l’attuale presidente della Corte dei conti Luigi Giampaolino, quando guidava l’authority sugli appalti, denunciò più volte: «Il mancato rispetto delle regole e la presenza radicata e diffusa della corruzione è causa di una profonda e sleale alterazione delle condizioni concorrenziali che può contribuire ad annientare le imprese oneste».
Per non dire di un altro trucchetto, in qualche modo rovesciato (gli accordi tra le imprese perché i ribassi fossero contenutissimi) che gioca appunto sulla scelta di tante amministrazioni di fissare una base d’asta alta per costringere i vincitori, per quanto ribassino, a fare delle offerte decenti. Record della sfrontatezza a Porto Empedocle per l’ultimo troncone di una circonvallazione in costruzione da mezzo secolo: tutte le offerte (tutte) presentavano lo stesso identico ribasso del 7,1352 per cento. Una «coincidenza» che doveva poi garantire l’assegnazione a un’impresa «amica».
Ci spostiamo al Nord? Roberto Formigoni si indignò tempo fa per un appalto da 8 milioni per la sorveglianza di tutti gli edifici della Regione: tutte le aziende in gara avevano presentato la stessa offerta: 19,08 euro a persona l’ora la «Allsystem», 19,08 euro a persona l’ora la «Vcm», 19,08 euro a persona l’ora l’«Italpol». Un miracolo miracoloso concluso con un «sorteggio».
Qualcosa contro le offerte anomale, va detto, è stato cambiato con la nuova legge del 2010 che prevede ad esempio il taglio delle ali estreme. Cosa che dovrebbe portare (dovrebbe) all’esclusione di chi punta a vincere con ribassi folli contando di raddoppiare o triplicare poi gli incassi con le perizie di variante. O magari con qualche arbitrato finale. Arbitrati che, com’è noto, sono orchestrati in modo che nel 94,6% dei casi danno torto agli enti pubblici e ragione ai privati.
Qualche spazio per chi gioca sui ribassi, però, deve evidentemente esistere ancora. Basti vedere, come dicevamo, cosa sta succedendo a Pompei. I lavori alla Casa dei Dioscuri sono stati assegnati con un ribasso del 52%. Quelli alla Casa del Criptoportico addirittura del 56%. Che senso hanno offerte così? Le ipotesi sono tre: 1) erano esageratamente alte le basi d’asta; 2) le aziende vincitrici sono autolesioniste; 3) chi conquista la commessa conta sui rincari successivi.
Eppure, proprio a Pompei dovrebbero avere imparato certe lezioni. Lavori interminabili? La ristrutturazione dell’Antiquarium iniziò nel 1976: trentasette anni fa. Lavori rincarati all’inverosimile? Quelli per il Teatro: dovevano costare meno di mezzo milione di euro, sono costati secondo la magistratura (che ha aperto un’inchiesta e spiccato un po’ di ordini di arresto) oltre sette. Per un’opera, tra l’altro, devastante.
Nel frattempo, come denuncia Antonio Irlando, il presidente dell’Osservatorio archeologico vesuviano in una lettera a Fabrizio Barca, non solo i famosi 105 milioni per restaurare Pompei non si sono ancora visti ma manca la cosa più necessaria: «Una amorevole e quotidiana manutenzione ordinaria».
Gian Antonio Stella