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 2013  aprile 07 Domenica calendario

«CON MONTI HO FATTO UNA SCELTA SBAGLIATA. LA PROSSIMA VOLTA IL CENTRO SI SCHIERERA’»

Davanti all’Italia vera, la politica è in ritardo inammissibile. Le aziende chiudono. Gli esodati si suicidano. L’edilizia è ferma. Un sistema politico che, in questa situazione, non riesce in 40 giorni a formare un governo dà di sé una prova devastante».
Pier Ferdinando Casini, lei per 40 giorni ha praticamente taciuto. Del resto ha preso una bella botta.
«Nella vita si vince e si perde; l’importante è avere il tempo per la rivincita. È successo questo: il bipolarismo che io ho sempre combattuto, secondo me con buone ragioni, è stato messo in crisi non dall’irruzione dal centro, ma dall’esplosione di Grillo. Un fenomeno che unisce tante cose: antipolitica, invidia sociale, giusto bisogno di partecipazione, il senso dei giovani di una mancanza di futuro. Un fenomeno che si nutre di sentimenti anche divaricanti; per questo non si può contaminare, Grillo deve fare il cane da guardia e dire no a tutto. Alla prima scelta che il movimento fa, si spacca, fosse pure il no alla Tav; perché c’è anche chi le infrastrutture le vuole. Nel frattempo immette nel sistema politico tossine oggi molto sottovalutate. Il ritiro immediato dall’Afghanistan, subito apprezzato da una certa sinistra, sarebbe una Caporetto, uno "sciogliete le righe" che comprometterebbe i sacrifici che l’Italia ha fatto per avere voce nella comunità internazionale».
Tra le cause del boom di Grillo dimentica i ritardi di voi "professionisti della politica".
«Chi è senza peccato scagli la prima pietra; però bisognerebbe riportare un po’ tutti al senso della realtà. Vengono annunciate come svolte epocali cose sempre accadute: i dipendenti della Camera mi hanno visto spesso alla loro mensa, e nell’appartamento presidenziale credo di aver dormito non più di due o tre sere in cinque anni. Noi politici dobbiamo liberarci dal complesso di colpa: l’esperienza e la tecnica sono necessarie; guardi questa discussione surreale sulle commissioni, che palesemente non si possono costituire finché non c’è un governo e non si sa quale sia la maggioranza e quale l’opposizione. Il problema vero non è mangiare alla mensa dei dipendenti; è rendere la politica efficiente”.
Il centro è pronto a un governo con Pd e Pdl?
«Oggi la sfida non è più tra destra, centro e sinistra, ma tra un’idea della democrazia rappresentativa che si vuole conservare e un’idea della democrazia diretta via Web, che porta alle drammatiche contraddizioni di parlamentari scelti on line con 50 voti, che arrivano a Roma convinti che la perestrojka l’abbia fatta Stalin. Oggi questa è la nostra sfida. Abbiamo cercato di fare una battaglia limpida per superare il bipolarismo, e l’hanno superato gli altri. Noi abbiamo scosso l’albero, altri hanno raccolto i frutti. E il tentativo di Monti di ammiccare all’antipolitica non ha intercettato gli elettori, che all’imitazione preferiscono l’originale».
È deluso da Monti?
«Monti ha fatto sino in fondo il suo dovere: l’Italia rischiava la deriva greca, lui l’ha evitata. Va ricordato da una parte che tutti hanno votato i provvedimenti di Monti ma solo noi ci abbiamo messo la faccia, e dall’altra che Monti non può essere responsabile di tutti i ritardi italiani. Questo calcio dell’asino collettivo, questo tentativo di rimozione mi pare prova di immaturità».
Ma come leader politico Monti ha fallito.
«Non sono deluso da Monti, sono deluso da una scelta cui anche io ho concorso e che si è rivelata sbagliata. Io ne porto parte di responsabilità: non vado a emendare gli altri, emendo me stesso. Abbiamo cambiato noi stessi i connotati di Monti: da servitore dello Stato, da Cincinnato che era, abbiamo pensato potesse essere l’uomo della Provvidenza per l’affermazione del centro. E in campagna elettorale noi abbiamo donato il sangue, ma alla fine il centro ha preso appena 3 o 4 punti in più di quando andai da solo contro Veltroni e Berlusconi».
Quindi ora cosa farete?
«Oggi noi dobbiamo essere i collanti di chi ritiene che la partita sia tra populismo e difesa della democrazia rappresentativa. In questo senso si deve affrontare la sfida del Quirinale e del governo. Se il calvario cui Bersani si è sottoposto con i Cinque Stelle era il modo per tranquillizzare un’ala del Pd e dimostrare che lui non ha pregiudizi ma li ha subìti, lo capisco. Se invece l’idea è sperare di governare con la complicità un movimento che non solo non intende essere complice ma rischia di cambiare i connotati della nostra idea di democrazia, allora è un gravissimo errore. Non possiamo inseguire Grillo, mettendoci metaforicamente con i cronisti che devono raccontare le pratiche quasi esoteriche cui sottopone i suoi adepti. L’unico modo di battere Grillo è riformare le istituzioni».
Sono vent’anni che parlate di legislatura costituente.
«Sì. Oggi però c’è l’occasione per farlo davvero. Capisco che per i militanti di sinistra pensare di sostenere un governo con il Pdl sia un pugno nello stomaco; lo stesso vale per gli aficionados che vanno in piazza con Berlusconi. Ma se noi vogliamo vincere questa sfida dobbiamo fare un percorso limitato nel tempo, di uno o due anni, affidato a un governo che prenda i provvedimenti più urgenti per l’economia e faccia le riforme indispensabili: superamento del bicameralismo, abolizione del Senato — e parlo da senatore —, legge elettorale che consenta agli italiani di scegliersi i parlamentari».
Quale legge elettorale?
«Dobbiamo riflettere seriamente se tornare o meno ai collegi uninominali. Insomma, occorre un’operazione gigantesca di restyling istituzionale. Solo così i partiti possono sconfiggere l’antipolitica; perché l’antipolitica non si farà mai cooptare. Se no, meglio votare subito; però rischiamo di prorogare questo stallo per sei mesi avendo gli stessi risultati».
Il premier può essere Bersani?
«Monti è stato un tecnico chiamato al capezzale dell’Italia: le sue scelte migliori le ha fatte nei primi tempi, quando appariva chiaro che c’era un sostegno del Pd e del Pdl; più si è appannato il sostegno, più i tecnici hanno cominciato ad avanzare senza bussola, come nel caso dei marò. Oggi occorre un’assunzione di responsabilità della politica. O accettiamo l’idea di essere tutti ladri e tutti incapaci; oppure, se vogliamo riscattare la politica, dobbiamo farcene carico. Senza delegare a terzi».
Questo implica un’intesa con Berlusconi.
«Io non sono mai stato tenero con Berlusconi negli ultimi anni. Ma dobbiamo prendere atto che una fetta di italiani crede in lui. Mi auguro un patto leale tra Bersani e Berlusconi per rimettere in moto la politica. Altrimenti, chiunque vincesse, vincerà sulle macerie».
Chi va al Quirinale?
«Un uomo o una donna frutto di una scelta condivisa, che non sia percepito dal popolo di centrodestra come nemico e dal popolo di centrosinistra come imposto da Berlusconi. La legge ha dato alla coalizione che ha prevalso per lo 0,5% un premio di maggioranza spropositato. Fare un’operazione da 51% per il Quirinale sarebbe una lesione fortissima».
Cosa pensa di Renzi?
«Leggo la sua intervista al Corriere, e penso che abbia ragione. Poi lo guardo da Maria De Filippi vestito come Fonzie, e mi cadono le braccia. Vedremo se è più un maratoneta o un centometrista».
Colpisce che proprio lei parli di collegi uninominali. Questo implica che il centro scelga dove andare. A destra o a sinistra?
«Il centro cos’è? Una cultura della responsabilità, che vuole le riforme mai fatte per i veti ideologici della sinistra e una certa incapacità della destra. Ora comincia una nuova stagione. È evidente che la prossima volta dovremo schierarci. Faremo una scelta coerente con l’idea che abbiamo della democrazia, dell’Europa, delle riforme sociali. Misureremo le alleanze sul grado di affinità che avremo nel processo costituente».
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Aldo Cazzullo