Elena Masuelli, La Stampa 6/4/2013, 6 aprile 2013
COL VIOLINO IN AMAZZONIA LA MUSICA NON HA CONFINI
«La gioia di comunicare agli altri le proprie emozioni fa parte della vita di un artista, che non è niente se non trasmette le sue esperienze, i suoi incontri». Uto Ughi presenta in anteprima a La Stampa la sua autobiografia, Quel diavolo di un trillo (Einaudi) e insiste sul ruolo dell’artista come formatore. «Lo dice bene Baudelaire: nella poesia Les Phares paragona i grandi creatori a fari che rischiarano il cammino delle generazioni future».
Per questo ha deciso di scrivere un libro sulla sua vita?
«Volevo raccontare, come dice Goethe, che “il genio è metà ispirazione e metà traspirazione”, sudore, sacrificio, impegno. Il libro era inevitabile. La mente ha bisogno di un continuo nutrimento e leggere allarga i confini dello spirito, ci rende più consapevoli. Da ragazzino avevo insegnanti privati e nessun amico della mia età. I romanzi di Salgari mi hanno tenuto compagnia. Poi c’è stato Dostoevskij, Zweig, Buzzati... Sono d’accordo con Montanelli che ha definito Il deserto dei Tartari il più bel romanzo degli ultimi vent’anni. Recentemente ho letto Cristo si è fermato a Eboli , di Carlo Levi».
Poi c’è la letteratura latinoamericana.
«Quando visito un Paese cerco di conoscerne gli scrittori e i valori che hanno saputo esprimere. In Sudamerica mi sono portato García Márquez, Neruda, Coelho. Sono stati fondamentali per comprendere l’anima dei luoghi. Jorge Luis Borges l’ho conosciuto, mi ha dedicato Storia dell’eternità e Finzioni. Quando lo rileggo me lo vedo davanti, sento il timbro della sua voce. Mi ha lasciato una grande impressione, così come Amado. Sono un avido lettore, anche di giornali. In compenso guardo poca tv, so a malapena mandare un sms, internet lo lascio agli altri. Saranno tre anni che non vado al cinema: sono antico, il mio preferito resta Ingmar Bergman, Il posto delle fragole, La fontana della vergine, Il settimo sigillo . Oggi mi piacciono i fratelli Taviani».
Nel suo libro un concetto che ritorna è quello delle «affinità elettive».
«Con i partner artistici bisogna essere in simbiosi. Gli incontri sono fondamentali per la vita di chiunque: ci vuole la mente aperta, lo spirito pronto a captare le sollecitazioni. Se no si rischia di perdere occasioni importanti. A me è successo tante volte. Rostropovich mi voleva per un disco, ma ci fu un malinteso e non si fece più. Comencini mi chiese di interpretare il violinista di La sonata a Kreutzer di Tolstoj, ma ero paralizzato dalla timidezza. Così come mi è mancato il coraggio di partire per la Russia, a 16 anni, a studiare con Ojstrach».
Con il tempo è diventato un grande viaggiatore.
«L’approccio con diverse culture rappresenta per me una boccata d’ossigeno, una trasfusione di sangue. La penso come Tiziano Terzani, che ha saputo cogliere l’essenza dei Paesi che ha visitato. Ho lasciato un registratore agli aborigeni dell’Amazzonia per ascoltare Mozart. Suonato con l’imperatrice del Giappone che mi accompagnava al pianoforte. Tenuto un concerto per i nativi sudafricani, che applaudivano in continuazione, fischiando per esprimere approvazione. La musica supera le barriere ideologiche, le incomprensioni del linguaggio».
Tutta la musica?
«Nessun ramo è superiore a un altro. Una musica sublime, interpretata male diventa banale e l’importante è non esserlo mai. Conta la personalità di chi vive quelle note. Mi piace Giorgia, stimavo moltissimo Renato Carosone».
Cittadino del mondo e sempre in tournée: quando si ferma?
«Amo le isole, essere circondato dall’acqua, con un senso di infinito, di selvaggio: mare, natura e orizzonte. Deve essere meraviglioso essere guardiani di un faro. L’isola del Giglio è il “mio” posto. Genuino, generoso. I suoi abitanti hanno mostrato la faccia migliore dell’Italia, nell’emergenza hanno reagito uniti, superando gli interessi privati, con dignità e decoro. Dovremmo pensarci mentre il Paese rischia di finire sugli scogli. Glielo dico con Dante: ”Ahi serva Italia, di dolore ostello. Nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”».