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 2013  aprile 06 Sabato calendario

IL TIMORE DI RENZI: UN PATTO PER LASCIARLO IN PANCHINA

A guardare la faccenda da lontano, uno potrebbe dire: ma cos’ha Matteo Renzi per essere così inquieto? I sondaggi lo danno in continua ascesa.

Swg ieri: fiducia in lui al 56%, in Bersani al 29; centrosinistra al voto con lui 36%, con Bersani 28; il consenso intorno a lui cresce, anche nel Pd; l’Università americana John Hopkins gli chiede di chiudere con un discorso l’anno accademico (in precedenza era toccato anche a Mario Draghi); il suo competitor alle primarie, Bersani, sembra finito in un vicolo cieco, e il tempo - il futuro, cioè - è inesorabilmente dalla sua parte. E allora perché le interviste a muso duro, il «si sta perdendo tempo» e ieri - ancora - l’affondo contro “l’Unità”? Uno potrebbe dire: è tutta colpa di una foto. Sarebbe una semplificazione. Eppure una foto c’è...

Roma, Galleria Colonna, mattina del 23 marzo: Denis Verdini, plenipotenziario berlusconiano, e Ugo Sposetti, storico ex tesoriere del Pd e uomo delle missioni delicate, fanno colazione assieme e conversano fitto al tavolino di un bar. Ad alcuni quella foto dice poco. A Matteo Renzi - che conosce a memoria profilo e mansioni del fiorentino Verdini - dice invece molto. E ieri mattina se ne è andato a Radio 105 a spiegare - in chiaro - che cosa e perché: «O Bersani riuscirà a spaccare i 5 Stelle oppure farà un accordo con il Pdl. Si stanno parlando: Migliavacca ha parlato più volte con Verdini...». Dunque non solo Sposetti ma anche Migliavacca. E perché? «Se proprio si deve parlare di alleanza col Pdl, Berlusconi si fida molto di più di Bersani o D’Alema che dei nuovi del Pd. Si conoscono da tempo, è più facile che trovino un accordo tra loro...».

Eccolo, allora, il sospetto: che all’ombra della Grande Lite, Bersani e Berlusconi si stiano parlando per tentare di far nascere un governo che avrebbe - tra i diversi risultati - quello di tenere Renzi in panchina chissà quanto ancora. Non è solo il leader Pd, infatti, a considerare il sindaco di Firenze un problema: c’è anche Berlusconi che teme, fortissimamente teme, di ritrovarselo come sfidante alle prossime elezioni. E l’affondo del sindaco di Firenze e l’avviso a Bersani nascono dunque da qui: o un’intesa col Pdl o il voto. Con l’ovvia difficoltà, per il leader Pd, di fare un governo col Cavaliere dopo aver detto per mesi mai e poi mai...

«E in ogni caso - spiegava Renzi ieri - io ho solo chiesto: fate qualcosa, qualunque cosa, ma fatela. E sono sconcertato da Bersani che dice che io temo un suo successo, e offeso dal fatto che appena apro bocca mi attaccano ad alzo zero, dicendo che sono come Berlusconi, trattandomi come fossi di un altro partito e tirando fuori la balla della scissione. È una logica aberrante: la stessa che ha già portato “l’Unità” a darmi del fascistoide». Tira un fiato, poi conclude con amarezza: «A volte reagiscono come persone che non hanno la minima idea di cosa succede fuori del Palazzo... Io ho solo detto “non si perda tempo”, che è quel che pensa la gente. Qui nessuno ha chiesto le dimissioni di Bersani, cosa che pure qualcuno poteva fare, dopo quel che è accaduto».

Sia come sia, la tregua ora è rotta. Pier Luigi Bersani lo ha capito da diversi segnali; e la stessa cosa ha inteso Renzi. Le trattative di Verdini, le accuse di lavorare per il nemico, i sussurri che dicono che se si vota in fretta sarà difficile fare le primarie... Ce ne era già a sufficienza. E poi, ieri, l’uscita di Fabrizio Barca - invocato da molti in chiave anti-Renzi - che si candida a un ruolo nel Pd. «Vogliono puntare su lui come candidato-premier? Lo facciano - spiega il sindaco agli uomini del suo staff -. Io sceglierei uno che vince. Ma se la linea è “meglio perdere, piuttosto che vincere con Renzi”... allora alzo le mani. Io ho tempo però: e citando De Andrè posso dire che “ho un treno da perdere”... Ma questo non significa che sia disposto ad accettare offese e falsità».

Una falsità - secondo Renzi - sarebbe sostenere che è pronto ad una scissione dal Pd. «Una follia - ribatte uno dei più stretti collaboratori del sindaco -. Per altro, una cosa senza senso, proprio ora che i consensi per Matteo crescono anche nel partito». Renzi ne parlava la settimana scorsa nella hall di un hotel di Roma con un importante manager pubblico che lo segue con simpatia: «Sapesse quanti e da quanto tempo mi spingono a fare un partito... C’è il mio amico, De Laurentiis, per esempio - simpaticissimo presidente del Napoli col quale parlo spesso di calcio - che ogni tanto telefona e mi chiede “allora, lo fai o non lo fai questo partito?”. Io gli rispondo “buono, presidente, che ce ne è già troppi: e poi, fino a prova contraria, io sto nel Pd”...».

Fino a prova contraria. E fino a prova contraria, però, Renzi già una volta ha rinunciato a mettere in campo sue liste che potevano essere, appunto, l’embrione di una «cosa nuova». È accaduto dopo le primarie e prima delle elezioni: uno dei più stretti collaboratori di Pier Luigi Bersani gli propose delle «Liste Renzi» da mettere in campo, a sostegno della coalizione, nella battaglia del Senato. Il sindaco non era granché entusiasta dell’idea perché va bene perdere le primarie e restare leale: ma anche la lealtà ha un limite... Alla fine, però, arrivò il no di Bersani e la si chiuse lì. «Metti che la Lista Renzi prendeva il 15-20% dei voti annota oggi un ultrà renziano - che cosa sarebbe successo nel Pd?».

Fino a prova contraria, dunque, Renzi resterà nel Pd, cercherà di non rimanere prigioniero della temuta trappola Berlusconi-Bersani e continuerà a spronare i democratici a darsi una mossa. Ma questo, appunto, fino a prova contraria. E la prova contraria potrebbe arrivare se si precipitasse in fretta verso il voto e qualcuno andasse a spiegargli che non c’è tempo per fare le primarie. Col manager pubblico che lo interrogava qualche giorno fa, Renzi era stato chiarissimo: «Stia tranquillo, a Bersani l’ho già detto: Pier Luigi sono leale e sosterrò il tuo tentativo di fare un governo. Ma sappi che se ci sono le elezioni, io ci sarò. In un modo o nell’altro, ma ci sarò...». Che non è l’annuncio di sue liste, non è il preludio ad una scissione ma è un modo semplice per dire «io sono stato leale, ma trucchi e giochini alle primarie non ne accetterò più». O primarie o scissione, dunque? Lo si vedrà quando sarà...