Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 05 Venerdì calendario

NUOVO INDIZIATO PER LO SCOPPIO DELLA PRIMAVERA ARABA: IL CLIMA


Dietro alcuni degli avvenimenti di politica internazionale più dirompenti di questi ultimi anni non ci sarebbero solo spinte culturali e sociali, ma anche (e forse soprattutto) il cambiamento climatico, del quale a torto continuiamo a preoccuparci poco immaginando che i suoi effetti siano destinati a farsi sentire solo in un futuro remoto. La verità è che il clima impazzito governa anche il nostro presente, come sostiene il Center for Climate Change and Security di Washington, diretto dall’italoamericano Francesco Femia e da Caitlin Werrel, consigliera di Hillary Clinton. Nel rapporto intitolato The Arab Springs and Climate Change, il surriscaldamento del Pianeta è indicato come una delle cause non solo delle rivolte arabe scoppiate all’inizio del 2011, ma anche della sanguinosa guerra civile in Siria. Non si tratta di una relaziono diretta, come quella che, secondo il meteorologo inglese Fraser Lott c’è stata con la devastante siccità in Somalia del 2011, costata 50 mila morti. Con le rivolte arabe il rapporto è più sfumato. Ma c’è.
«La connessione» spiega Femia, trentatreenne di famiglia calabrese laureato in Scienze politiche negli Usa e in Economia a Londra, «si può individuare studiando l’andamento dei prezzi del cibo nel corso del 2010-2011, quando una serie di eventi meteo estremi, come la terribile ondata di calore estivo in Russia e le alluvioni in Australia, hanno portato a un calo nella produzione mondiale dei cereali. A questo si è aggiunta una forte siccità in Cina, che ha spinto il governo ad aumentare le importazioni, facendo salire il prezzo del grano fino al raddoppio in pochi mesi».
In effetti l’indice dei prezzi alimentari Fao fra luglio 2010 e gennaio 2011 è passato da 170 a 230, toccando un massimo mai raggiunto prima. L’aumento del costo dei cereali è stato ben sopportato nei Paesi sviluppati, dove solo il 10 per cento del reddito è speso in alimenti, ma ha avuto un effetto devastante in quelli arabi, nei quali le popolazioni spendono quasi il 40 per cento del reddito per sfamarsi e dipendono, più che in ogni altra area del mondo, dalle importazioni (fra i primi dieci maggiori importatori di grano, nove sono in Medio Oriente). «L’aumento del costo del pane non è stato l’unico fattore nello scoppio delle rivolte in Tunisia, Egitto e via via negli altri Paesi arabi» continua Femia. «Ma probabilmente ha dato un’ulteriore, decisiva spinta a una rabbia popolare che montava da molto tempo per fattori socio-politici, dalla disoccupazione giovanile alla corruzione».
A dire che gli eventi meteo del 2010 non rappresentano variazioni di routine, ma il frutto del cambiamento climatico, sono varie ricerche, come quella condotta da Stefan Rahmstorf e Dim Coumou, dell’Università di Harvard: i due sostengono che, all’80 per cento, l’ondata di calore russo non si sarebbe verificata in un clima non alterato dai gas serra. Un’altra ricerca, pubblicata da Martin Hoerling del Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration), dice che è decisamente anomalo il succedersi di una dozzina di siccità nel bacino mediterraneo in questi ultimi venti anni. E proprio la siccità mediterranea potrebbe aver innescato la feroce guerra civile in Siria.
«Molti esperti di politica mediorientale» dice Femia «pensavano che quel Paese, sotto il pugno di ferro di Assad, sarebbe stato impermeabile alle rivolte. Ma mentre si tenevano d’occhio le città, la sollevazione è partita dalle campagne, devastate da una siccità che continuava dal 2006». In effetti la rivolta siriana è iniziata a Daraa, un paese agricolo al confine con la Giordania, dove la popolazione si è ribellata contro i funzionari del regime, che pretendevano mazzette sulla vendita delle terre da parte dei contadini impoveriti.
E a confermare lo «zampino» del clima nel malessere mediorientale è arrivata di recente anche una ricerca condotta da Katalyn Voss per la Nasa. Questo studio, che ha usato i satelliti Grace per la misura della gravità, ha scoperto che fra Giordania e Iran, tra il 2003 e il 2010, la massa d’acqua sotterranea è diminuita di 144 miliardi di tonnellate, abbastanza per i bisogni annuali di 150 milioni di persone: le falde, svuotate da consumi agricoli e urbani, non vengono più ripristinate dalle piogge. Lo Yemen è il Paese più colpito dall’inaridimento: ogni abitante ha a disposizione solo 85 metri cubi di acqua dolce l’anno, contro i 1000 raccomandati dall’Onu e la stessa capitale Sana’a rischia di rimanere a secco. Non a caso una delle cause della rivolta in Yemen è stata la crescente mancanza di acqua potabile, resa ancora più grave dallo scavo di pozzi abusivi da parte degli esponenti del regime.
Pasquale Steduto, vicedirettore della Divisione acqua e terra della Fao, è convinto che ci sia una strada per «disarmare» il cambiamento climatico. «È indubbio che il riscaldamento clima possa ridurre la produzione alimentare mondiale, ma, anche negli anni peggiori, c’è sempre stato cibo sufficiente a sfamare tutti. Non si capisce quindi l’esagerato aumento dei prezzi alimentari a cui abbiamo assistito nel 2008 e 2011, se non si considerano anche altri fattori, sui quali possiamo intervenire più facilmente che sul clima. Per esempio, nei Paesi che in questi ultimi anni le hanno diminuite per risparmiare, occorre ripristinare adeguate scorte di cereali che agiscano come «cuscinetto» contro gli sbalzi di prezzo. Ci si deve poi coordinare meglio fra nazioni, per evitare che si reagisca in modo esagerato ai cali di produzione, per esempio accaparrando cereali sul mercato mondiale o limitando le esportazioni. Infine bisogna intervenire sui sussidi ai biocarburanti, sui prezzi dell’energia e sulla speculazione finanziaria sui cereali. Quando questi interventi saranno operativi, il cambiamento climatico, almeno per quanto riguarda i prezzi alimentari, farà meno paura». Bisogna però fare presto perché, dopo il picco del 2011, i prezzi del cibo non sono mai più scesi ai livelli degli anni precedenti, e partendo da una base così alta, i prossimi eventi meteo estremi potrebbero farli schizzare a cifre ancora più alte.