Gianni Dragoni, Il Sole 24 Ore 5/4/2013, 5 aprile 2013
CALCIO IN CRISI, DEBITI IN CRESCITA
La marcia di avvicinamento al Fair Play finanziario voluto dalla Uefa che scatterà dalla stagione 2014-2015 vede il calcio italiano ancora ampiamente perdente. Aumentano le perdite di gestione e i debiti, mentre è insufficiente l’apporto dei ricavi da stadio, a causa del ritardo negli investimenti nelle infrastrutture.
Questo nonostante gli incoraggianti risultati sportivi della nazionale guidata da Cesare Prandelli e di alcune rappresentative giovanili, delle quali è coordinatore Arrigo Sacchi.
La fotografia dei conti del calcio professionistico evidenzia ancora perdite elevate, -388 milioni di euro è il risultato netto aggregato nella stagione al 30 giugno 2012 dei club di serie A, B e Lega Pro (prima e seconda divisione), secondo il rapporto curato dalla PricewaterhouseCoopers, nell’ambito del «Report Calcio 2013» curato dall’Arel, in collaborazione con Federcalcio e PwC.
L’analisi sui conti è stata fatta - ha spiegato Emanuele Grasso, partner di PwC - analizzando 547 bilanci delle squadre che hanno partecipato ai 4 campionati professionistici dal 2007 al 2012. Mancano 95 bilanci (il 15% del totale) a seguito di mancata ammissione o non iscrizione. Tutti censiti i bilanci dei club di serie A, che incide per l’81% sui ricavi di vendita (plusvalenze escluse), 1.718 milioni su 2.123.
Le perdite nette del 2012 per l’intero comparto professionistico sono inferiori del 10% ai 430 milioni dell’esercizio precedente, ma il miglioramento è solo apparente. Alla riduzione del passivo concorrono in maniera determinante le plusvalenze per la cessione di giocatori, che sono aumentate del 20,9%, da 444 a 537 milioni: senza le plusvalenze il «bilancione» aggregato del 2012 si sarebbe chiuso con una perdita di 925 milioni, superiore agli 875 milioni del 2011.
È questa la vera dimensione del buco gestionale del calcio professionistico, perché le plusvalenze tranne qualche caso (per esempio la cessione di Pastore dal Palermo al Psg) sono realizzate nel mercato tra squadre italiane, quindi andrebbero annullate come operazioni «intercompany» se si facesse un bilancio consolidato del settore e non un semplice aggregato, che è la somma algebrica di tutti i club. E un buco di 925 milioni su un settore che ha ricavi di vendita (escluse le plusvalenze che sono operazioni straordinarie) di 2.123 milioni (+4% sul 2011) significa che il calcio professionistico macina perdite pari a 43,57 euro ogni 100 euro di ricavi.
Il passivo è dovuto in gran parte alla serie A, che nella stagione al 30 giugno 2012 ha riportato una perdita netta aggregata di 282 milioni, inferiore ai 300 milioni dell’anno precedente; ma se si considerano le plusvalenze nette sul calciomercato, aumentate da 308 a 375 milioni, il rosso gestionale della serie A è aumentato, da 608 milioni del 2011 a 657 milioni. In serie A sono aumentati i debiti complessivi, in crescita dell’8,8% a 2,9 miliardi di euro. I debiti finanziari netti, cioè l’esposizione verso le banche, è un po’diminuita, da 885 a 826 milioni, mentre c’è stato un aumento del patrimonio netto, il capitale versato dai soci più le eventuali riserve, da 150 a 209 milioni. Il settore tuttavia rimane sottocapitalizzato.
In totale solo 22 squadre hanno il bilancio in attivo, di cui otto in serie A (9 nel 2011). Otto hanno il bilancio in attivo in B che nell’aggregato ha una perdita netta di 56 milioni.
Rispetto ai parametri di altri Paesi, ha detto Grasso, «l’Inghilterra sta peggio dell’Italia, nell’ultimo anno la perdita netta complessiva è aumentata a 434 milioni di euro. In Spagna c’è una perdita netta di 147 milioni, ma il settore è condizionato dai due club maggiori. La Germania rappresenta il punto di forza, un risultato aggregato positivo è un aspetto sorprendente, +37 milioni». Anche nel calcio, come nell’economia di Eurolandia, domina la Germania.