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 2013  aprile 05 Venerdì calendario

LA PERICOLOSA FRAGILITÀ DI KIM


Le dichiarazioni diplomatiche degli ultimi giorni provenienti dalla penisola coreana, inclusa la clamorosa affermazione di Pyongyang sull’esistenza di un presunto "stato di guerra" tra le due Coree, non possono che destare preoccupazione, solo temperata dal fatto che non è la prima volta che volano parole grosse da parte della Corea del Nord e quindi si può sperare che anche questa volta, come le altre, si tratti di molto rumore per nulla.
Ciò nonostante, un rischio di escalation esiste ed è quindi utile analizzare fattori di continuità e di discontinuità nelle difficili relazioni con la Corea del Nord. Dopo l’armistizio concluso nel 1953 che poneva fine a 3 anni di combattimento e all’unico confronto diretto tra grandi potenze (Stati Uniti e Cina) dal 1945, la situazione non si è mai normalizzata con un Trattato di Pace, rimanendo una tregua armata interrotta da vari incidenti. Come prima della guerra le due Coree sono oggi divise da una zona smilitarizzata che corre attorno al 38° parallelo. Dalla fine della guerra fredda, la tensione ha riguardato soprattutto i tentativi di proliferazione nucleare della Corea del Nord, allora incentrati su un reattore per l’arricchimento del plutonio a Yongbyon costruito negli anni ’60 con tecnologia sovietica. Nel 1994, l’amministrazione Clinton siglò un accordo per il quale la Corea del Nord fermava la sperimentazione militare in cambio della fornitura di due reattori nucleari ad uso civile. Questo accordo terminò nel 2003, quando la Corea del Nord si ritirò dal Trattato di Non Proliferazione, concludendo poi tre anni più tardi il suo primo test nucleare. Una nuova fase di negoziati, questa volta con il concorso di 6 paesi (Corea del Nord, Corea del Sud, Stati Uniti, Cina, Russia e Giappone) riuscì nel 2007 a portare ad una nuova intesa, che prevedeva il congelamento del programma nordcoreano in cambio di aiuti.
Anche questo secondo accordo venne meno quando nel 2009 la Corea del Nord fece un secondo test nucleare ammettendo per la prima volta pubblicamente la sua proliferazione e lanciò (senza successo) un missile balistico (Taepodong-2) che avrebbe potuto colpire con testate nucleari bersagli intercontinentali lontani sino a 6mila chilometri. Nel Marzo del 2010, una nave da guerra sudcoreana venne affondata da un siluro non identificato, provocando la morte di 46 marinai. Nel novembre dello stesso anno la Corea del Nord bombardò l’isola di Yeonpyeong, uccidendo due soldati e due civili. Questa terza fase di inasprimento della tensione non si è ancora conclusa. Nel dicembre 2012, è stato lanciato un satellite orbitale, dimostrando che il Taepodong-2 poteva raggiungere gli Stati Uniti. Il 12 Febbraio del 2013, è stato compiuto un terzo test nucleare con una potenza circa doppia rispetto al precedente (8 kilotoni, mentre la bomba di Hiroshima era di circa 16). Come in altre simili occasioni, le Nazioni Unite hanno inasprito, con l’avallo di Russia e Cina, le sanzioni contro il regime. L’attuale irrigidimento di Pyongyang è in risposta a queste misure.
La determinazione con la quale la Corea del Nord ha perseguito il suo programma di proliferazione a dispetto delle reazioni internazionali è dovuta a due debolezze. Da un lato, dal punto di vista interno, il regime comunista di Pyongyang è tra i più totalitari al mondo, con una leadership paranoica guidata da una dinastia famigliare che riesce a mantenere il potere solo con la repressione più feroce e capillare. Al fondatore della Repubblica Democratica Popolare di Corea, Kim Il-Sung (1912-1994), è succeduto il figlio Kim Jong-il (1941-2011) e poi il nipote Kim Jong-un (1983) il giovane ed estroverso leader attuale. Sebbene non vi siano segnali di ribellione, la povertà del paese è una fonte di costante potenziale vulnerabilità, soprattutto al confronto con lo spettacolare successo economico della Corea del Sud (che ha un pil pro capite di oltre 30.000 $ a fronte dei soli 1.800 del regime comunista), che rischia di sottolineare lo scontento della popolazione così come è successo alle due Germanie prima della riunificazione. La Corea del Nord è dipendente dall’estero per i prodotti alimentari e circa la metà della popolazione di 26 milioni soffre di denutrizione. L’arretratezza economica della Corea del Nord è visibile ad occhio nudo guardando le foto satellitari notturne. Come è già avvenuto nel 1994 e nel 2007, la leadership potrebbe quindi avere la tentazione di estorcere fondamentali aiuti in cambio di una nuova sospensione dei programmi diriarmo.
Dall’altro lato la Corea del Nord è debole militarmente. Nonostante sulla carta sia dotata del quinto esercito al mondo, sostenuto da una spesa militare che secondo alcune stime arriva a un quarto del Pil, dal punto di vista convenzionale è decisamente inferiore alla Corea del Sud, che ha forze armate moderne e l’aiuto del contingente americano. Questa vulnerabilità si è acuita con il crollo dell’Urss, che prima offriva protezione al regime e ne alleviava le difficoltà economiche. L’opzione nucleare pare quindi l’unica speranza agli occhi della Corea del Nord di poter resistere ad un attacco esterno.
La comunità internazionale sembra riluttante a voler cedere per una terza volta al ricatto della proliferazione nordcoreana, ed è per questo che ha risposto all’ennesima provocazione inasprendo le sanzioni dell’Onu e non dando segni di cedimento nel successivo confronto. Si stima che, da un lato, il regime di Pyongyang non abbandonerebbe comunque i suoi piani nucleari mentre, dall’altro, è difficile che si prenda la responsabilità per una guerra che con ogni probabilità porterebbe alla sua fine. Pesano però alcune circostanze che potrebbero far perdere il controllo all’escalation. In primo luogo la dottrina militare occidentale è al momento un fattore di pericolosità, in quanto si basa su attacchi aerei paralizzanti che minaccerebbero da subito il potere centrale, incentivandolo ad un uso precoce delle armi non convenzionali. In secondo luogo, sia in Corea che in Giappone, le leadership sembrano più bellicose che in passato e meno disponibile ad un compromesso.
In terzo luogo ed ultimo luogo la Cina, se da un lato continua a proteggere il regime - perché un suo crollo porterebbe ad instabilità regionale, ad un flusso incontrollabile di rifugiati e all’avvicinamento delle potenze occidentali verso i propri confini - dall’altro lato sembra più riluttante a sostenere incondizionatamente un regime che resiste ad ogni invito alla riforma. In sintesi, nell’attuale crisi il regime nordcoreano, con un recente cambio di leadership non ancora consolidato, potrebbe sentirsi - più che in passato - con le spalle al muro. Questa potrebbe essere una situazione pericolosa, in quanto una guerra, una volta iniziata, potrebbe facilmente attraversare il confine nucleare, e anche in caso contrario (non è chiaro se l’arsenale di Pyongyang sia operativo) potrebbe portare ad una significativa distruzione di Seul, a pochi chilometri dalla frontiera e a ripercussioni su tutta l’Asia orientale, oggi al centro dell’economia globale. Anche se non hanno intenzione di comprare la collaborazione nordcoreana con ulteriori concessioni, sarebbe auspicabile che le principali potenze coinvolte (Cina e Stati Uniti, e i loro alleati) si astenessero dall’alimentare la paranoia del regime, in attesa che la Corea del Nord trovi la sua strada per riforme che sono essenziali per il benessere del suo popolo e per una stabilità duratura del sistema internazionale.