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 2013  aprile 05 Venerdì calendario

LA CONCEZIONE MARXISTA DEL PARTITO POLITICO DELLA CLASSE OPERAIA*


[Raccolta di scritti e discorsi di Palmiro Togliatti a cura di Romano Ledda, Il partito, Editori Riuniti, Roma, 1972]

È stato presentato a questa riunione un ampio documento, frutto di una elaborazione assai lunga, cui hanno partecipato molti compagni. A questo documento sono state fatte parecchie osservazioni critiche. Sarà compito di tutta l’assemblea e in particolare del relatore valutarle e, credo, di un’apposita commissione tenerle in giusto conto per la redazione definitiva di un testo sul quale si aprirà un dibattito nel partito. Non intendo, ora, entrare nel merito di queste osservazioni critiche, ma soltanto dire poche parole su alcuni temi di ordine generale, circa la nostra concezione del partito politico della classe operaia e, alla fine, sul modo di porre, oggi, la questione dell’unità politica tra differenti partiti, che si richiamino e alla classe operaia e ai principi del socialismo. Anche quest’ultimo tema, infatti, deve essere trattato partendo da considerazioni di ordine generale relative alla struttura della società, ai nostri criteri di giudizio della lotta politica che in essa si svolge e agli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere.
Nel documento che qui si sta discutendo vengono posti numerosi problemi e compiti, di ordine generale e particolare, relativi alle strutture organizzative, alla loro maggiore o minore aderenza al tessuto sociale, alla loro efficienza, alle trasformazioni che debbono subire e così via. Tutti questi temi sono trattati e debbono essere trattati alla luce della fondamentale definizione che noi diamo del partito nostro, cioè del partito politico della classe operaia come partito di massa e partito di lotta. Questo è un momento essenziale, non rinunciabile, della nostra dottrina del partito. Queste qualità si possono concretamente realizzare in modo diverso, secondo le diverse situazioni, e possono dar luogo, quindi, a diverse strutture; non si debbono però perdere mai. Derivano da questo punto notevoli differenze tra la nostra concezione del partito politico e altre concezioni, che noi critichiamo e respingiamo.
Noi siamo d’accordo, anzi, noi insistiamo nell’affermare e sottolineare che l’esistenza del partito politico — anzi, precisiamo, l’esistenza dei partiti politici — è indispensabile per l’esistenza stessa e per lo sviluppo di un regime di democrazia. Non è concepibile, oggi, una società democratica nella quale non esista il partito politico. La tendenza a ridurre, in questa società, la funzione del partito politico e la sua importanza; la tendenza a denunciare la presenza e l’intervento continuo del partito politico nella vita democratica come elemento di disturbo e quasi di degenerazione, è una tendenza da considerarsi nettamente reazionaria. Ciò non vuol dire che non possano esservi, nella attività dei partiti e soprattutto dei partiti di governo, momenti che devono venire criticati e respinti, in quanto tendono a sostituire alla democrazia una specie di oligarchia di gruppi dirigenti. L’essenziale, però, è che senza una attività continua dei partiti, non può esistere democrazia politica.
Considero quindi anche antidemocratica e da respingersi la tendenza a sostituire al partito politico il cosiddetto gruppo di pressione e al sistema dei partiti un sistema di gruppi di pressione. Se si considerano le cose con attenzione, si può agevolmente scoprire che questa è la tendenza propria di quello che si è oramai soliti chiamare il neocapitalismo. Il punto di arrivo di questa tendenza è una società priva di democrazia politica, di cui, del resto, non mancano gli esempi nell’attuale mondo capitalistico.
Non intendo aprire la questione di cosa sia, oggi, la democrazia americana. Certo è che essa si è presentata al mondo, nei giorni scorsi, con lineamenti spaventosi. E non colpisce soltanto l’assenza di confine tra il contrasto di diversi gruppi dirigenti e la delinquenza comune. Colpisce l’assenza di una opinione politica organizzata e di massa, la quale riesca, di fronte a fatti di indicibile peso politico e morale, ad esprimersi liberamente e in modo efficace. I gruppi di pressione sono diventati gruppi di potere e questi gruppi di potere è difficile sapere che cosa in realtà siano, come si dispongano e si colleghino con le forze reali della società, ma si sa che sono pronti a combattersi con tutte le armi, facendo ricorso anche ai mezzi piú criminali. Nessun difetto di un sistema democratico fondato su una articolazione di partiti politici eguaglia questa vera degenerazione della vita politica e civile.

Tra la concezione del gruppo di pressione, che agisce per diventare gruppo di potere, e la nostra concezione del partito politico vi è un sostanziale punto di differenziazione, che sta precisamente nella affermazione del carattere che noi attribuiamo al partito politico della classe operaia, come organizzazione di massa e organizzazione di lotta, che si propone di guidare le grandi masse popolari verso questi obiettivi di profonda trasformazione sociale, che sgorgano dallo stesso sviluppo oggettivo della economia e dalla coscienza delle classi lavoratrici.
Sviluppiamo ampiamente il dibattito e la ricerca relativi alle strutture del partito e al suo lavoro, ma non distacchiamoci mai da questi principi, che sono essenziali. Il punto di partenza deve essere, senza dubbio, una critica, volta a stabilire se vi è corrispondenza tra le nostre strutture e la nostra attività da una parte e le nuove realtà della vita economica e sociale dall’altra. Modifichiamo e correggiamo ciò che apparirà necessario. Non abbandoniamoci però a previsioni e soluzioni che siano soltanto o prevalentemente tecnico-organizzative. La struttura del partito deve essere tale che, facendolo aderire alle strutture sociali, gli consenta sí una piú tempestiva, piú articolata e piú efficace elaborazione politica, ma allo scopo, sempre, di essere in grado di esercitare, tra le masse e alla testa di un movimento di massa, la necessaria direzione di un’azione politica.
È evidente che il partito fa parte della sovrastruttura della società; esso è però strettamente legato alla struttura e la esprime. I partiti, diceva Gramsci, sono una nomenclatura delle classi sociali. Gramsci stesso però ci ha insegnato a non considerare in modo meccanico il rapporto fra struttura e sovrastruttura. La sovrastruttura non è un elemento passivo; ha anche una sua autonomia di sviluppo e di movimento. Tra il partito e la sua base sociale esiste un rapporto complesso, un movimento interno che il partito si sforza di comprendere e dominare, per poter adempiere la propria funzione.
Anche le forze reazionarie, soprattutto quando si propongono compiti di aperta rottura, tentano di crearsi basi organizzate tra le masse. Valgano gli esempi del fascismo, del gollismo, dello hitlerismo. Il nostro rapporto con le masse lavoratrici è però cosa profondamente diversa, per la sua natura organica e perché esprime un processo di libertà. In questo senso esso è diverso anche dal rapporto che stabilisce con le masse il partito democristiano, per esempio, con intenti prevalentemente di conservazione dell’ordinamento economico attuale.
La classe operaia e le masse lavoratrici ad essa piú vicine vogliono affermarsi come forze dirigenti della società, allo scopo di compiere una rivoluzione degli ordinamenti sociali. Il nostro partito è quindi organo di lavoro e di lotta per realizzare questo obiettivo. E questo si raggiunge in diversi e concorrenti modi.
La classe operaia, infatti, si afferma come classe dirigente per il suo programma, che indica mète piú lontane, presenta soluzioni adeguate per i problemi vicini e urgenti, e che spetta al partito, in contatto con altre forze democratiche, elaborare e rendere popolare, facendolo diventare il programma di un grande movimento di lavoratori. La classe operaia si afferma come classe dirigente per la sua capacità di lottare per la realizzazione di questo programma e imporla, in forme e in condizioni determinate. La classe operaia, infine, si afferma come classe dirigente per la sua capacità di esercitare sulla opinione pubblica un certo grado di egemonia politica anche prima di avere conquistato il potere. Ciò dipende dal grado di sviluppo della stessa società capitalistica e quindi dal grado di maturità dei germi di socialismo che sono in questo sviluppo; dipende dalla avanzata del socialismo nel mondo e dalle condizioni della lotta politica in ciascun paese. Il complesso di questi tre momenti è decisivo perché si possa avere una avanzata democratica verso il socialismo ed è attraverso la elaborazione politica, il lavoro, la organizzazione e le lotte del partito che in questi tre campi si riesce a progredire. In tutti e tre questi campi, però, ogni progresso è subordinato ai legami del partito con le masse, alla loro direzione, estensione e solidità e cioè al carattere di massa del partito.
Gramsci parlò del partito della classe operaia come intellettuale collettivo. In questa definizione confluiscono tutti i momenti cui ho brevemente accennato. Nel partito è superata la coscienza soltanto corporativa: si giunge alla politica. Il partito opera nella società civile e nella società politica per trasformarle. L’adesione al partito e la costruzione del partito sono quindi atti di libertà. L’operaio, il lavoratore incomincia a liberarsi, entrando nel partito e lottando nelle sue file, dalla condizione puramente oggettiva, individuale, economico-naturale della sua esistenza e della sua vita di cittadino. La sua attività diventa creazione, cultura, costruzione consapevole di un mondo nuovo.
Anche nelle condizioni in cui la classe operaia già sia diventata classe dirigente e si lavori alla edificazione di un nuovo ordinamento sociale, la presenza e l’attività del partito sono indispensabili, come momento della direzione consapevole di un processo complicato, talora difficile, di cui sono protagoniste le grandi masse lavoratrici. E qui ci si scontra con il problema del partito dirigente unico e della corrispondente struttura politica. Questo problema è stato risolto in un certo modo nell’Unione Sovietica, in modo già diverso in altri paesi socialisti, dove esistono e collaborano diversi partiti politici. Noi abbiamo da tempo elaborata, per quel che ci riguarda, una posizione nostra. Riteniamo possibile e necessaria, nelle condizioni che stanno davanti a noi, la pluralità dei partiti politici durante la costruzione di una società nuova. Né si deve credere che questa nostra posizione sia dettata soltanto dalle circostanze del nostro paese; né soltanto dalle cosí aspre critiche che sono state fatte di errori, violazioni di legalità e persino crimini commessi sotto il potere di Stalin. Il motivo di fondo delle nostre ricerche ed elaborazioni sta nella consapevolezza da un lato delle complicate differenziazioni politiche e sociali che sono proprie di società capitalistiche molto sviluppate e di tradizione democratica; dall’altro lato del nuovo sempre piú grande prestigio che stanno acquistando i principi e i programmi del socialismo. Mentre un tempo si poteva considerare che si sarebbero potute orientare verso il socialismo solo le avanguardie della classe operaia, oggi questo processo si compie in ampi strati di masse lavoratrici e anche di ceti intermedi e del ceto intellettuale. Vi sono quindi larghe e nuove possibilità di estensione del campo delle forze politiche che accettano, anche se in forme diverse, una prospettiva socialista, e che, evidentemente, non possono appartenere tutte a un solo partito. È una situazione del tipo di quella cui accennava quel classico della nostra dottrina il quale ha scritto che, qualora noi riuscissimo a staccare dalla adesione passiva all’ordine borghese grandi parti delle masse contadine e del ceto medio, allora la stessa questione della dittatura del proletariato si dovrebbe porre in modo diverso.
Noi, intanto, teniamo conto che nella situazione odierna possono esistere partiti politici diversi che si richiamino al socialismo, che vogliano rendere possibile la costruzione di una società socialista e intendano parteciparvi. Intendo partiti diversi per le loro tradizioni e anche per i loro programmi, cioè per il modo come concepiscono e vogliono costruire una società nuova. Questa è una delle condizioni da cui deriva la esistenza, anche dopo che la classe operaia già sia diventata classe dirigente, di partiti diversi, tra i quali potrà esservi collaborazione ma potranno anche esservi contrasti, derivanti da posizioni differenti.

Si presenta quindi, sia per il momento presente, sia in una prospettiva piú lontana, la questione delle relazioni tra questi partiti, e cioè tra tutte quelle forze politiche organizzate che abbiano una base nella classe operaia, che veramente tendano a una trasformazione socialista degli ordinamenti attuali, che siano consapevoli della possibilità e necessità di una avanzata democratica verso il socialismo, che siano portatrici nel mondo di oggi sia della spinta oggettiva al socialismo, sia della coscienza che l’accompagna. I problemi che si pongono sono di avvicinamento, di contatto, di reciproca conoscenza e di collaborazione, cioè di unità. E debbono essere considerati nel presente e per il futuro.
La stessa concezione di una avanzata democratica verso il socialismo richiede, per potersi attuare, che la classe operaia e le masse lavoratrici che aspirano a trasformazioni socialiste riescano ad avere, nel campo della sovrastruttura politica e anche nel campo governativo, un peso e una parte crescenti. Se non si ottiene questo risultato, non è verso il socialismo che si avanza, ma in direzione opposta. Per questo i dirigenti conservatori della Democrazia cristiana hanno sin dall’inizio concepito il centro-sinistra come una manovra di rottura nei confronti della classe operaia. Il loro obiettivo è di diminuire il peso che hanno oggi in Italia le forze sociali e politiche che tendono al socialismo, separandole le une dalle altre, eventualmente spingendole a una lotta tra di loro. Dati, poi, i rapporti di forza oggi esistenti, è chiaro che la loro azione non mira tanto a isolare dalla classe operaia e dalle masse lavoratrici il nostro partito, obiettivo che è impossibile raggiungere, quanto a isolare il partito socialista dal campo in cui si lotta per il socialismo, facendo di esso un puro strumento della loro azione di governo. È chiaro che contro questo tentativo noi dobbiamo combattere, per evitare che si creino fratture le quali facciano ostacolo alla avanzata verso il socialismo. Di qui il valore attuale e il valore di prospettiva del problema, che noi poniamo, del rapporto tra i partiti politici che alla lotta per il socialismo non vogliano rinunciare.
Nel passato, già venne posto da noi, nello sviluppo del fronte unico e del fronte popolare, il problema della unificazione politica. Le condizioni e la situazione erano però molto diverse. Si pensò che tendessimo soltanto a estendere, con un nuovo espediente, le posizioni nostre e a risultati concreti non si giunse.

Oggi le cose si presentano in circostanze nuove e in modo nuovo. Si tratta di trovare, in queste circostanze, un sistema di contatti e articolazioni particolari, tra forze le quali accettino una certa base unitaria, pur avendo e conservando ciascuna una propria tradizione, organizzazione e personalità. È facile a comprendersi che una base unitaria di questa natura non può uscire dalle menti dei dirigenti di un solo partito. Essa dovrebbe essere il risultato di una grande elaborazione, di princípi e politica, da compiersi a contatto e con la partecipazione diretta delle masse lavoratrici stesse, degli operai e intellettuali di avanguardia, di tutti coloro che sentono la necessità di contestare il processo di sviluppo neocapitalistico, cioè il processo di rafforzamento del potere dei monopoli per avviare, invece, il passaggio a una società fondata su princípi nuovi.
Le linee della ricerca e della elaborazione sono molteplici. Tre se ne presentano a prima vista. La prima riguarda i punti programmatici, le trasformazioni alle quali si tende in una prospettiva piú lontana e le misure di valore immediato e anche urgente. La seconda riguarda il metodo. Non basta dire che si vuole avanzare verso il socialismo per una via democratica, seguendo il metodo della democrazia. Nella lotta per il socialismo e nella costruzione socialista la classe operaia apporta molte cose nuove nello stesso sviluppo del metodo e degli istituti democratici. La ricerca, in questa direzione, è appena iniziata. Si presenta una folla di problemi, che investono le funzioni specifiche delle organizzazioni della classe operaia e di tutte le classi lavoratrici; riguardano il sindacato e l’affermarsi di un potere operaio nella fabbrica; riguardano le associazioni contadine e il loro intervento per determinare gli sviluppi della economia agricola; riguardano la vita e il coordinamento tra le cellule dell’attività produttiva e il complesso dell’organismo sociale. Uno sterminato campo di ricerca e di azione, e che è appena affrontato nei suoi termini generali, per ora. Infine, si pongono i problemi specificamente organizzativi, di rapporti reciproci interni ed esterni, di collaborazione e di unità nelle sue varie forme possibili.
Saremmo dei presuntuosi se per ognuno di questi campi pretendessimo di essere senz’altro in grado di presentare delle soluzioni. Ho già avuto occasione di affermare, e ripeto ora, che il problema dell’unità politica delle forze che vogliono avanzare verso il socialismo non lo poniamo, oggi, come problema di scelta, ma come problema di dibattito. Vorremmo riuscire, impegnando la forza e la capacità del nostro partito, le quali sono grandi soprattutto nei centri economicamente e socialmente decisivi, ad aprire questo dibattito nelle fabbriche tra operai di diverse tendenze, nei campi, nelle scuole, in un proficuo confronto e in una elaborazione comune con gruppi di altri partiti, del partito socialista, di quello socialdemocratico, di organizzazioni cattoliche. Non bisogna scoraggiarsi per la iniziale ripulsa, che certo vi sarà, ma andare avanti, scavare piú profondamente, con la convinzione che vogliamo assolvere un compito di decisiva importanza per tutti gli sviluppi futuri.
Si sente oggi parlare di svolte storiche, periodi nuovi che si aprono e cosí via. Io son sempre diffidente verso definizioni di questa natura, che sono, spesso, l’espressione un po’ retorica di certi propositi, ma non ancora di una realtà. Certo la situazione che oggi affrontiamo è per molti aspetti nuova? La manovra ritardatrice e conservatrice del vecchio ceto dirigente è in pieno sviluppo. La lotta che noi proponiamo, per affrontare il problema della unità politica della classe operaia e delle forze socialiste, può essere un grande contributo per spingere questa manovra, com’è necessario, al fallimento e piú speditamente far avanzare il nostro paese, per una via democratica, verso il socialismo.


* Testo di un intervento alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del PCI del 4-7 dicembre 1963.