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 2013  aprile 03 Mercoledì calendario

GIANFRANCO FINI, SESSANT’ANNI PER UN LEADER MANCATO

Se non ci fosse il suo compleanno, ci si sarebbe scordati di lui, da tanto è sparito senza lasciare tracce. Dov’è Gianfranco Fini? Le sue ultime parole sono una chiosa del discorso di fine anno di Napolitano. «Tutti gli italiani devono essere grati al Presidente della Repubblica», ha detto. E poi? Qualche tweet e status di facebook: dà l’addio all’amico Mirko Tremaglia, manda gli auguri per il 2012 e cerca di dare fiducia a un paese che la fiducia non l’ha più. E poi, certo, ringrazia: oggi è il suo compleanno. A fargli gli auguri sono Napolitano, Cicchitto e Schifani. Forse meglio non riceverli. Sessant’anni, di cui 44 prestati alla politica italiana. Ma chissà dov’è finito.
La scintilla di tutto fu John Wayne. Era il 1969: lui aveva 17 anni e nessun interesse per la politica.Voleva solo vedere Berretti Verdi, un film a favore della guerra in Vietnam, ma un piccheto di studenti di sinistra lo blocca, lo spintona, lo picchia. Lui, di destra in una città di sinistra, reagì. Si iscrisse alla Giovane Italia, gruppo studentesco dell’Msi. E da lì, forte anche di un pedigree familiare fascistissimo, cominciò la scalata.
Dopo John Wayne, venne Benito Mussolini: «direi ancora che è stato il più grande statista del secolo», disse nel 1994. Poi fu il tempo di Almirante, che lo scelse come delfino. Poi Pino Rauti, l’avversario, sconfitto e messo all’angolo. E poi, un giorno, un endorsement inaspettato. Era un uomo che girava in un supermercato del milanese, che chiacchierando con la stampa, consigliò di votare per Fini sindaco di Roma. Non fosse stato Berlusconi, l’altro più grande statista del secolo, sarebbe finita lì. Invece, le cose andarono in modo diverso. Fini lascia il fascismo, punta su Forza Italia e sbanca: viene accettato nella buona società politica, porta Alleanza Nazionale alle elezioni e vince. Un trionfo: manca solo un passo e diventa un vero leader. È storia nota.
Il leader sopra di lui, però, è troppo sopra di lui. Allora Gianfranco si accontenta e aspetta. Per venti lunghi anni, rimane immerso come un sub in apnea. Passa per il Popolo della Libertà, si affianca alla Lega, lascia la moglie e ne trova un’altra. Ma il capo, intanto, resta sempre un altro. Se prova a superarlo, partono le bacchettate. Il padre politico non si lascia sorpassare: anzi, lo caccia dal partito, lo massacra su Tulliani, lo sconfigge nella conta dei voti. A Fini non basta nemmeno smarcarsi sterzando (un poco) a sinistra. Ma deve diventare un leader, anche se piccolo, e allora nasce Futuro e Libertà, un partito minuscolo e liquido, che si allunga e si restringe in poco tempo. Ma resiste fino a vedere Berlusconi che si sbriciola e Napolitano che interviene. Le sue ultime parole ufficiali, per ora, sono un elogio al Presidente della Repubblica: forse non è un caso.
Ma le stagioni politiche, lui lo sa bene, non sono eterne. Mussolini non c’è più, Almirante non c’è più, Berlusconi (forse) non c’è più. Non c’è più neppure John Wayne. Dopo tutte le svolte, anche lui non è più lo stesso: sì, rimane Presidente della Camera (contro le sue stesse affermazioni) ma non è più un giovanotto, insomma. Adesso c’è da far passare la nuttata del governo tecnico. E poi? Nuove elezioni, forse. E con chi correrà, questa volta? Il leader che deve ancora diventarlo davvero, oggi non ha voglia di pensarci. Certo, la malinconia della ricorrenza lo avrà un po’ toccato. E l’umore, forse, sarà quello di chi, tutto sommato, comincia ad accontentarsi degli affetti delle persone che gli vogliono bene. Tanto da lasciare, ai suoi fan, questa nota sospirosa: «Vi ringrazio per gli auguri, il tempo passa, ma vi sento sempre vicini». Altro che leadership.