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 2013  aprile 05 Venerdì calendario

I CAPOLAVORI FALSI SONO L’ECCELLENZA DELLA FRODE

Tutto si può simulare, i sentimenti come i capolavori. È la morale, magari un po’ cinica, dell’ultimo film di Giuseppe Tornatore, La migliore offerta. Il paradigma è nell’arte dell’imitazione, così fine da competere con l’originale. Il falsario sfida l’autenticità inserendo nella replica impercettibili dettagli, per essere apprezzato anche nell’anonimato. Indizi così ben camuffati da ingannare investigatori ed esperti. Emblematico uno degli ultimi manufatti recuperati dal Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza, diretto dal comandante Massimo Rossi: una kylix (coppa da vino in ceramica) databile intorno al 520 a.C., rarissima per la presenza della doppia firma, del ceramista Eufronio e del ceramografo Onesimo.
Gli uomini delle Fiamme Gialle vengono informati della sua circolazione sul mercato clandestino per la somma di due milioni di euro: nell’ambiente dei tombaroli, si vocifera che sia stata scavata nella necropoli della Banditaccia a Cerveteri. Scattano le perquisizioni e la kylix viene ritrovata nella bottega di un commerciante di opere d’arte di Tuscania. Il pezzo diventa subito un caso. Le analisi al carbonio 14 confermano l’originalità, ma alcuni elementi risultano ambigui. «I lati dei frammenti», spiega il maggiore Rossi, «erano troppo taglienti, a vivo, per essere rimasti 2.500 anni sotto terra». Nuove indagini a cura del Dipartimento di fisica applicata ai beni culturali della Sapienza di Roma confermano le perplessità. «La composizione chimica dell’impasto» spiegano i tecnici, «dimostra l’incongruità del reperto rispetto all’argilla utilizzata per i vasi greci e l’assoluta analogia con i componenti organici dei manufatti prodotti in Italia, sia antichi sia moderni». Conclusione: la coppa non è attica, semmai etrusca o risalente alla Magna Grecia. Il pubblico ministero che coordina le indagini si insospettisce e autorizza le intercettazioni telefoniche. Si scopre che la tecnica di contraffazione è sofisticata: l’opera falsa ingloba frammenti sminuzzati di vasellame antico, ma è retrodatata al VI secolo a.C. utilizzando la strumentazione per la radioterapia oncologica di un ospedale lombardo (il trattamento comporta il decadimento degli isotopi che compongono la materia e il conseguente invecchiamento dei componenti). Complice il medico “basista”. La banda, composta da cinque persone, finisce in carcere con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla truffa tramite la contraffazione. Alla vicenda si interessa anche Dyfri Williams, curatore del Dipartimento di antichità greche e romane del British Museum. Lo studioso vuole esaminare la kylix per confrontarla con analoghi manufatti conservati nel museo londinese: il timore è che nella collezione possano essere finiti falsi della stessa tipologia.

La sindrome dell’artista mancato. Come nel film di Tornatore – memorabile la scena nella quale il battitore d’asta Virgil Oldman (l’attore Geoffrey Rush) riesce ad accaparrarsi un pregiato ritratto di donna del pittore fiammingo Petrus Christus fingendo che sia opera di un abile falsario – anche tra i ceramisti allignano personaggi affascinanti con la sindrome dell’artista mancato.
È il caso di M. M., ex tombarolo di Cerveteri, noto per la bizzarra abitudine di invocare Zeus. Non solo. L’uomo ha identificato l’acquisizione di pezzi falsi da parte di musei stranieri, svelando la “firma” del falsario nascosta all’interno: una foglia, la moneta corrispondente all’anno di realizzazione o, citazione colta, baffi di lepre nell’impasto (si narra che le setole di animali fossero utilizzate per dipingere i particolari più minuti nelle ceramiche a figure rosse e nere).

I mecenati in cerca di pezzi rari. Se la simulazione è un’arte, le prede più vulnerabili sono gli amanti del bello, così smaniosi di arricchire il proprio tesoro personale da cadere in trappola. Succede a un nobile romano, desideroso di ampliare la sua collezione per donarla a istituzioni pubbliche. Su consiglio di esperti, cerca di procurarsi pezzi rari: idrie ceretane e anfore nicosteniche. Il mecenate di sangue blu finisce nella rete di una banda capeggiata da uno pseudo-archeologo laziale, in combutta con un antiquario di Latina e un ceramista della Tuscia. Il gruppo, per convincerlo ad acquistare le opere contraffatte corredate da finti certificati di autenticità e di lecita detenzione, inscena pantomime con comparse sempre diverse: il fine collezionista, la badante del notabile deceduto che vuole disfarsi del suo patrimonio. Dopo un anno, il nobile inizia a fiutare il raggiro e decide di sporgere denuncia: la Guardia di Finanza individua nella sua raccolta oltre 400 pezzi contraffatti, per un valore di un milione di euro. Nella base dell’associazione si scoprono oltre 32 mila falsi e 1.400 opere autentiche: un business a dir poco fiorente, se un vaso “taroccato” si vende a 30mila euro. La contraffazione, anche in questo caso, avviene inserendo nel pezzo di nuova fattura frammenti polverizzati di vasellame antico e sottoponendolo al trattamento con la radioterapia. Dei sette complici, tutti condannati, due sono ancora in carcere. Ai diversi filoni dell’inchiesta, partita nel 2010, lavorano le procure di Roma, Velletri e Civitavecchia.

I neoclassici cinesi. Nel circuito degli antiquari romani del Tridente, tra via del Corso e via del Babuino, gli uomini delle Fiamme Gialle intercettano statue di gusto neoclassico, corredate da autorevoli perizie: le sculture sono attribuite alle scuole di Antonio Canova e Bertel Thorvaldsen, ma in realtà sono made in China. Dopo una serie di controlli, si scopre che i capolavori falsi con la patina antichizzata provengono da laboratori asiatici a Tor di Quinto, nella periferia romana, o sono importati dall’Oriente su commissione. Le opere in marmo bianco di Paros, con tanto di expertise, oscillano tra i 200 e i 300 mila euro. Il mercante spericolato che le spaccia per originali, discendente da una famiglia di antiquari, riesce a ingannare personaggi della Roma bene e del jet-set televisivo. «Un delinquente seriale, inconsapevole dei rischi», il maggiore Rossi lo definisce così; «appassionato d’arte per contaminazione, ma soggiogato dalla brama di denaro». Nell’alterazione dei documenti, rimane leggendaria la figura di un capomastro che millanta fama di storico dell’arte, scomparso qualche anno fa. Tradito dai falsi Rembrandt e Vermeer forniti come fido alle banche tra i quali, di tanto in tanto, infila anche insospettabili tele di polistirolo imballate.