Marcello Zacché, il Giornale 4/4/2013, 4 aprile 2013
PAGATE, CIALTRONI
Questa è una presa in giro. Ci riferiamo ai pagamenti dei debiti contratti dalle pubbliche amministrazioni con le imprese. E al decreto governativo che ieri doveva sbloccarli, ma che è stato rinviato. Dei 90 miliardi di crediti delle imprese si è parlato inizialmente di soli 70. Poi si è deciso di rimborsarne 40, scesi però a 38. E di questi solo sette sarebbero sicuri. Nel frattempo, tutto fermo. Problemi di copertura finanziaria: è la spiegazione ufficiale. Scontro a tutto campo all’interno del governo Monti: è la parte non detta.
Sta di fatto che mentre le imprese muoiono, e con loro tutti noi, il governo non riesce a capire quali sono le priorità del Paese. E non ci riesce adesso, che è più debole che mai, perché non ci è riuscito prima, quando aveva sia il tempo, sia la congiuntura politica interna ed europea favorevole. Il tema è noto: le imprese vantano nei confronti di enti e aziende sanitarie locali almeno 90 miliardi di crediti. Un male antico che, con la recessione in atto, non può più essere tollerato. Lo Stato, che queste stesse imprese torchia regolarmente attraverso le imposte, dovrebbe ora intervenire: sembra un principio di elementare equità. Ma con quali fondi? Se questi vengono erogati «per competenza» nel 2013, allora vanno ad aumentare il deficit e a sforare il tetto del 3% fissato dall’Europa nel rapporto con il Pil: vietatissimo. Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Ue che da mesi si batte per questa causa, sostiene invece che i debiti sono lì da anni e come tali già di «competenza» dei deficit passati. Quindi andrebbero finanziati «per cassa», cioè emettendo nuovi titoli di Stato che andrebbero solo ad aumentare il debito. Il che, al momento, è ancora permesso.
Ma Monti non gradisce nemmeno questa soluzione perché porterebbe il rapporto debito/Pil a livelli non congeniali alla propria reputazione a Bruxelles. Avete capito? Ecco il paradosso in cui ci troviamo: preferiamo rispettare i paletti e il rigore imposti dall’Europa, cioè da un regime tecnocratico, piuttosto che provvedere alla salvezza dell’economia di una delle maggiori democrazie mondiali. Unici, su questa strada, a differenza non solo della Germania, ma anche di Francia e Spagna, che quegli stessi paletti hanno saputo gestirli anche nel loro interesse, e non solo in quello del partito europeo.
Eppure questo esecutivo ha mostrato di avere ben altro piglio: lo scorso anno, in pochi giorni, ha cambiato la vita di qualche decina di milioni di italiani posticipando loro l’età della pensione e riducendone l’entità. Poi ha introdotto una tassa patrimoniale sulla prima casa. E ancora ieri era pronto a risolvere il problema dei debiti che lo Stato ha con le imprese facendoli pagare di nuovo a noi, attraverso un aumento delle imposte sul reddito. Possibile che sul fronte delle entrate sia sempre tutto possibile senza domandarsi mai se sia ancora sostenibile? Mentre quando si tratta di restituire ad altri cittadini (le imprese e i loro dipendenti) i propri soldi non si riesca a combinare nulla? Ecco perché il balletto sui debiti delle Pa ci sembra offensivo e pericoloso. E così rischia di uccidere, con l’economia, anche la speranza.