Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 4/4/2013, 4 aprile 2013
PRIMA RIFORMARE IL SENATO POI LA LEGGE ELETTORALE
È tempo di dire le cose come stanno. Chi pensa che il maggior problema oggi sia quello di riformare il sistema elettorale sbaglia. Certo, l’attuale sistema va modificato, ma non prima di aver cambiato il Senato della Repubblica. Questa è la prima riforma da fare. Né vale l’alibi che si tratta di una modifica della Costituzione. È su questa riforma che i saggi dovrebbero dire con forza qualcosa di chiaro ai partiti e all’opinione pubblica. Il cambiamento della legge elettorale viene dopo o va fatto insieme alla trasformazione del Senato in una camera delle regioni o delle autonomie. Il nuovo sistema elettorale - qualunque esso sia - deve essere congegnato per funzionare in una camera sola. Da qui deve partire la soluzione al problema della governabilità.
Ci sono molte buone ragioni per mettere mano a una riforma del Senato. Il sistema elettorale è una di queste ma non la sola. Ma cominciamo pure da qui. Lo abbiamo detto e ripetuto più volte. Non si possono eleggere due camere che hanno gli stessi poteri con due sistemi elettorali diversi e due corpi elettorali diversi. In passato poteva funzionare perché nella Prima Repubblica i due sistemi elettorali erano entrambi proporzionali e i giovani tra i 18 e i 24 anni, che votavano alla Camera e non al Senato, non avevano preferenze politiche nettamente difformi dalle altre generazioni di elettori. Votavano più o meno come i loro padri. Inoltre esistevano partiti strutturati capaci di orientare stabilmente il voto. Per questo i risultati nelle due camere erano molto simili pur non essendo del tutto identici.
Allora il problema di un Parlamento diviso non si poneva. Oggi invece è tutto diverso. Nel 1993 è stato introdotto un sistema maggioritario sia alla Camera che al Senato. Inoltre con la destrutturazione del sistema partitico della Prima Repubblica le preferenze elettorali sono diventate più volatili. I vecchi partiti sono spariti. Gli elettori più giovani non votano più come gli altri. L’offerta politica è diventata fluida e significativamente diversa nelle due camere. In questo contesto l’uso di regole di voto maggioritarie tende ad amplificare ancora di più piccole differenze di voti facendole diventare grandi differenze di seggi. E con ciò aumenta il rischio di un Parlamento con due maggioranze diverse. Oppure, come oggi, con una maggioranza in una camera e non nell’altra.
I dati sono lì a dimostrarlo. Sia quelli delle elezioni tra il 1994 e il 2001 che si svolsero con la legge Mattarella sia quelle tra il 2006 e il 2013 che si sono fatte con la legge Calderoli, il famigerato porcellum. E allora cosa si aspetta a prendere il toro per le corna? Date le condizioni politiche attuali, non esiste alcun sistema elettorale che possa eliminare il rischio che nuove elezioni non ci facciano ritrovare al punto in cui siamo oggi. È inutile parlare di riforma elettorale suscitando illusorie aspettative di governabilità se prima non si mette mano alla riforma del Senato. Forse solo con una offerta politica radicalmente nuova l’attuale sistema elettorale, o un altro meglio congegnato, potrebbe produrre un risultato chiaro a favore di una parte politica in entrambe le camere. Ma è un grosso rischio che non si deve correre.
Le ragioni per riformare il Senato non si fermano al sistema elettorale. Ma è mai possibile che noi si debba essere la sola democrazia parlamentare di stampo occidentale ad avere un parlamento con due camere che hanno gli stessi poteri? Ma perché Francia, Spagna, Gran Bretagna, Germania non hanno un bicameralismo perfetto e noi sì? Questi, e altri, sono paesi in cui la camera alta non dà la fiducia al governo. Fa altro. Per non parlare di paesi che nemmeno hanno una seconda camera come la Svezia, il Portogallo e perfino la Grecia. Quali sono le ragioni che giustificano la nostra costosa e rischiosa diversità?
Ci sono vari modelli di bicameralismo imperfetto. Scegliamone uno. Ecco un utile contributo che la commissione di saggi sulle riforme istituzionali potrebbe fornire. Una sua proposta, che non necessariamente deve indicare un unico modello, servirebbe a mettere i partiti davanti alle loro responsabilità. Si parla tanto di riduzione del numero dei parlamentari e di semplificazione del processo legislativo. Ebbene la riforma del Senato raggiungerebbe anche questi scopi. E si vedrà allora quale posizione prenderanno su questo punto coloro che parlano continuamente di cambiamento, compresi i senatori del M5S.