Paola Pilati, l’Espresso 5/4/2013, 5 aprile 2013
So io cosa fare di impregilo Le forze in campo. Il big delle costruzioni lancia il suo guanto di sfida
So io cosa fare di impregilo Le forze in campo. Il big delle costruzioni lancia il suo guanto di sfida. Dicendosi pronto a governare da solo. Ma anche a cedere le sue quote– [Colloquio Con Pietro Salini Di Paola Pilati] Anche se è difficile immaginarsi Pietro Salini come una sirena - il costruttore romano è piuttosto un gladiatore - la sua offerta al mercato di rilevare le azioni di Impregilo, la prima società di costruzioni italiana, a 4 euro per azione, usa le armi di una moderna seduzione, quella del denaro. «Ci sarà un guadagno certo per tutti gli azionisti», sottolinea Salini, e c’è la promessa di dar vita a un campione di calibro internazionale, anch’esso quotato, su cui converrà scommettere di nuovo in futuro, dice, visto che lui punta a un ritorno sul capitale investito di almeno il 14 per cento, un sogno di questi tempi. Ma il "Financial Times", nella sua affilata rubrica di commenti "Lex column", insinua dubbi sulla congruità di quei 4 euro (troppo pochi) e sull’intenzione di Salini di tenere davvero il titolo in Borsa. «Not so champion», chiosa il giornale londinese. In questa intervista l’amministratore delegato della Salini e della Impregilo spiega qual è la sua strategia in vista della scadenza, il 12 aprile, dell’opa lanciata a febbraio e cosa farà se non dovesse raggiungere almeno il 50 per cento delle adesioni. Dal successo vi divide un dettaglio non da poco: l’altro socio forte di Impregilo, la Igli dei Gavio, che ha in mano una quota come la vostra (vedere il grafico), non sembra convinto di aderire e punta almeno a un rilancio. Può far saltare i suoi piani? «Meno di quanto si possa immaginare. Ma innanzitutto voglio ricordare come ci siamo mossi: il primo passo è stato quello del proxy fight, l’opposizione alla vecchia gestione, spiegando il nostro progetto di unificazione a tutti gli azionisti, culminata nell’assemblea che il 18 luglio scorso ha mandato a casa il vecchio consiglio e instaurato il nuovo corso per Impregilo. Sebbene buona parte degli azionisti fosse d’accordo e ci abbia dato la fiducia necessaria a guidare l’impresa, il nostro progetto di una fusione carta contro carta tra Salini e Impregilo non è stato possibile, per la fiera opposizione di una parte dell’azionariato. Opposizione che è rimasta pervicace, nonostante il fatto che Salini negli ultimi dieci anni abbia dimostrato di avere un progetto di crescita vincente, che le ha permesso di passare da un fatturato di 75 milioni ai 2 miliardi di oggi, mentre Impregilo dieci anni fa stava a 2,3 miliardi e lì è rimasta». L’opposizione pervicace, quella dei Gavio, non sembra essersi ammorbidita. «Il progetto di fusione non è stato possibile. L’alternativa? Non restava che la strada del lancio di un’opa. Abbiamo fatto un’offerta che tiene conto dei vantaggi che l’aggregazione comporta per le due aziende e abbiamo ritenuto di offrire la parte di competenza di Impregilo ai soci Impregilo. Con prezzo molto generoso. Quando noi siamo entrati, un anno e mezzo fa, il titolo era a 1,57 euro. Senza la nostra battaglia, con ogni probabilità, sarebbe rimasto a quel livello. Noi abbiamo offerto ai soci Impregilo una grande crescita del titolo». Adesso gli offrite di metterli alla porta. «Se non possiamo realizzare il progetto mantenendoli nell’azionariato, chiediamo di darci le azioni per farcelo realizzare e poi magari rientrare». La società tornerà in Borsa? Qualcuno ne dubita. «Tornerà in Borsa. Quello che ci preme è che sia una fusione impeccabile, che non ci sia alcun dubbio sui concambi. La società passerà attraverso un periodo di turbolenza del titolo, per via di un grande dividendo, e per la poca liquidità: potrebbe essere un periodo di forti oscillazioni del prezzo e non vogliamo che questo tocchi i rapporti con gli azionisti». E l’azionista che non ci sta? «Gavio ha comprato a 3,60 euro, e per questo è stato considerato un pazzo. Ma ha comprato da signori che non sono dei benefattori, i Benetton e la Fondiaria Sai - che oltretutto erano azionisti da tempo e conoscevano i pregi intrinseci della società - e con il parere di congruità di importanti banche d’affari, tra cui Mediobanca. Ora, dopo un anno, noi offriamo 4 euro per azione. Quello che andava bene un anno fa, ora magicamente va male?». Girano voci che Gavio rastrelli azioni di risparmio per trattare sul prezzo: è vero? «Non è vero: sono voci alimentate da speculatori. Nella partita sono entrati anche fondi hedge che hanno comprato a 4 euro perché sperano nel rilancio, tanto il titolo incorpora una opzione che è una put implicita, ma anche una call gratuita. Possono guadagnarci o semmai non rimetterci nulla». Qual è il suo feeling sulla conclusione della vicenda? «Sono sereno: e se qualcuno vuole comprare da me a 4 euro sono diposto a mettere a disposizione le mie azioni». E il suo progetto di crescere che fine farebbe? «Troveremo un altro soggetto; ci sono tante occasioni sul mercato. Questo è un bellissimo progetto industriale, ma se la fusione non si fa gestirò l’azienda come azionista di controllo». Il mercato italiano offre ancora un futuro per i costruttori o non resta che andare all’estero? «Noi facciamo l’85 per cento del nostro giro d’affari fuori, mentre l’Italia - che è uno dei 60 Paesi in cui operiamo - rappresenta il 15 per cento del fatturato complessivo, ma soprattutto non dà prospettive di crescita dei ricavi sui prossimi cinque anni, che è l’arco temporale su cui noi fondiamo i nostri piani strategici. Qui si faranno al massimo piccole cose, mentre noi siamo un’organizzazione che gestisce grandi lavori complessi, dal canale di Panama, alla diga sul Nilo, alla metro di Riad. Accontentarci del rifacimento di uno svincolo autostradale non ci consente di mantenere l’eccellenza tecnica, il nostro ruolo mondiale». Ponte di Messina: Impregilo aveva vinto l’appalto (con il consorzio Eurolink) e il governo Monti ha stracciato gli impegni contrattuali. Quali saranno le vostre mosse ora? «È stata fatta una gara internazionale per l’opera italiana più famosa al mondo, dopodiché il governo si è sostituito alle parti contrattuali sostenendo che non si applicano più le penali del contratto. Di fatto, un esproprio. Questo è un esercizio che in un Paese civile non può essere consentito: è da repubblica delle banane». Una soluzione sbagliata per un’opera che aveva pochi sostenitori. «Che il ponte sia o meno una priorità per il Paese non lo decidono i costruttori ed è giusto così, ma non accetto stupidaggini: dire non lo facciamo perché non si regge è da imbecilli». Si favoleggia di una richiesta di danni miliardaria... «I danni sono largamente superiori ai potenziali risparmi. Al di là del contratto, della compensazione degli espropriati, degli studi buttati, delle ditte da risarcire, c’è un’altra cosa: in quell’area avremmo creato 10 mila posti di lavoro direttamente e tra i 25 e i 30 mila nel complesso. Gente per la quale saremo obbligati ora a usare gli ammortizzatori sociali. Per il Ponte lo Stato interveniva con un miliardo e mezzo di euro negli otto anni della costruzione; calcolando quanto si spenderà per dare a quelle 25 mila persone 800 o mille euro al mese per campare, si arriva a una cifra che in otto anni è superiore al costo dell’intervento dello Stato. Senza avere il Ponte». Perché non funzionano i project financing? «Non funzionano in Italia: ma chi ce li mette i soldi, quando ci vogliono 15 anni a varare un progetto e intanto cambiano il piano tariffario, il costo degli interessi, le condizioni del prestito?» Così tutte le grandi opere in project rischiano di saltare? «In questo Paese manca una cosa fondamentale: la percezione di che cosa vogliamo. Sì o no alla metropolitana? E alla tangenziale di Milano? Sa qual è il problema numero uno del Paese?». Qual è? «L’incapacità di prendere decisioni. Viviamo in un sistema fatto apposta per scansare le responsabilità».