Leo Sisti, l’Espresso 5/4/2013, 5 aprile 2013
L’OFFSHORE PARLA ITALIANO
È un data base colossale, che permette di penetrare nei segreti di 122 mila società create nelle British Virgin Islands, nel mar delle Antille, e nelle Cook Islands, sperduto arcipelago del Pacifico a più di tre ore d’aereo dalla Nuova Zelanda. Sono due paradisi fiscali, la patria delle società offshore e dei trust che rendono complesso individuare chi si nasconde dietro questi elaborati schemi finanziari. Ma adesso è possibile ricostruire parte dell’attività di due vere e proprie multinazionali ombra che da queste isole esotiche muovono più di mille miliardi di dollari: somme in grado di destabilizzare l’economia del pianeta. Una è la Commonwealth trust law Ltd (Ctl), sede nelle British Virgin Islands. La seconda si chiama Portcullis TrustNet (Ptn), fondata nelle Cook Islands, poi spostata a Singapore, con uffici in 16 altre località, dalle British Virgin Islands alle Caymans, da Hong Kong alle Mauritius e Seychelles. I suoi clienti provengono da 140 Paesi: tra 45 e 77 mila da Cina, Taiwan, Singapore e altre nazioni asiatiche; 4 mila da Usa e Canada; 1.300 dall’Unione europea. I servizi di questo Trust sono usati da grandi banche come Ubs, Deutsche Bank, Clariden, dal gruppo Credit Suisse e da società di revisione come Price WaterhouseCoopers, Deloitte e Kpmg.
È un sistema opaco, scandagliato dal media network di Washington, The International consortium of investigative journalists (Icij), con la collaborazione di 86 giornalisti investigativi di 46 Paesi, appartenenti a 38 testate: dal "Washington Post" al "Guardian", da "Le Monde" a "El Pais" e a "Suddeutsche Zeitung". Inoltre, tra le televisioni, la "Bbc" e la "Canadian broadacsting corporation (Cbc)". Per l’Italia Icij ha scelto come partner esclusivo "l’Espresso".
In 15 mesi di lavoro sono stati esaminati due milioni e mezzo di file che abbracciano un arco di trent’anni in 170 Paesi. Per avere un’idea delle dimensioni, basta pensare che WikiLeaks di Julian Assange ha diffuso 252 mila cablo delle ambasciate Usa con una pen drive da 1,64 GB mentre questa radiografia della finanza offshore è 160 volte più grande: 260 GB. Un flusso di dati che analizza decine di migliaia di transazioni finanziarie, tra quelle perfettamente legali, e altre, illegali, a volte utilizzate per far girare tangenti, in uno scenario dove spiccano anche despoti, spie, trafficanti d’armi e uomini dei cartelli della droga.
Frugando nelle carte si fanno a volte scoperte sorprendenti. Ci si può imbattere nella Candonly Ltd, una società irlandese già entrata nell’indagine milanese su "Oil for food", cioè il programma umanitario delle Nazioni Unite che, durante l’embargo posto all’Iraq di Saddam Hussein fu usato dal regime per finanziare politici e imprenditori amici. Ebbene, la Candonly era un canale usato da un affarista italiano, prima condannato e poi salvato dalla prescrizione, vicino all’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, per far circolare tangenti. Ora però salta fuori che chi l’amministrava era Jesse Grant Hester, gestore di 1.500 altre entità, tra Isole Vergini, Gran Bretagna e Nuova Zelanda.
Ma ci sono altri esempi. Emergono dai file i patrimoni accumulati da miliardari indonesiani legati al dittatore Suharto, morto nel ’98. L’americana Denise Rich, moglie del finanziere Marc, residente in Svizzera e accusato di evasione fiscale negli Usa, ma salvato dal perdono di Bill Clinton, disponeva nel 2006 di 144 milioni di dollari in un trust delle Cook Islands. Qui è approdata anche la baronessa Carmen Thyssen-Bornemizsa per acquistare, alle aste di Sotheby’s e Christies, alcuni quadri, tra cui il dipinto di Van Gogh "Mulino ad acqua a Gennep", per il suo museo spagnolo.
In queste pagine "l’Espresso" presenta i primi quattro casi di società legate a cittadini italiani, su circa 200 che risultano collegati al sistema offshore, senza che dai documenti emergano illeciti. Un trust delle Cook Islands che ha come "protector" Gaetano Terrin, all’epoca commercialista dello studio Tremonti. Una offshore che indica come beneficiario Fabio Ghioni, hacker dello scandalo Telecom. Un complesso sistema finanziario legato a tre famiglie di imprenditori e gioiellieri. Infine un trust che riporta come direttori i commercialisti milanesi Oreste e Carlo Severgnini. È un data base colossale, che permette di penetrare nei segreti di 122 mila società create nelle British Virgin Islands, nel mar delle Antille, e nelle Cook Islands, sperduto arcipelago del Pacifico a più di tre ore d’aereo dalla Nuova Zelanda. Sono due paradisi fiscali, la patria delle società offshore e dei trust che rendono complesso individuare chi si nasconde dietro questi elaborati schemi finanziari. Ma adesso è possibile ricostruire parte dell’attività di due vere e proprie multinazionali ombra che da queste isole esotiche muovono più di mille miliardi di dollari: somme in grado di destabilizzare l’economia del pianeta. Una è la Commonwealth trust law Ltd (Ctl), sede nelle British Virgin Islands. La seconda si chiama Portcullis TrustNet (Ptn), fondata nelle Cook Islands, poi spostata a Singapore, con uffici in 16 altre località, dalle British Virgin Islands alle Caymans, da Hong Kong alle Mauritius e Seychelles. I suoi clienti provengono da 140 Paesi: tra 45 e 77 mila da Cina, Taiwan, Singapore e altre nazioni asiatiche; 4 mila da Usa e Canada; 1.300 dall’Unione europea. I servizi di questo Trust sono usati da grandi banche come Ubs, Deutsche Bank, Clariden, dal gruppo Credit Suisse e da società di revisione come Price WaterhouseCoopers, Deloitte e Kpmg.
È un sistema opaco, scandagliato dal media network di Washington, The International consortium of investigative journalists (Icij), con la collaborazione di 86 giornalisti investigativi di 46 Paesi, appartenenti a 38 testate: dal "Washington Post" al "Guardian", da "Le Monde" a "El Pais" e a "Suddeutsche Zeitung". Inoltre, tra le televisioni, la "Bbc" e la "Canadian broadacsting corporation (Cbc)". Per l’Italia Icij ha scelto come partner esclusivo "l’Espresso".
In 15 mesi di lavoro sono stati esaminati due milioni e mezzo di file che abbracciano un arco di trent’anni in 170 Paesi. Per avere un’idea delle dimensioni, basta pensare che WikiLeaks di Julian Assange ha diffuso 252 mila cablo delle ambasciate Usa con una pen drive da 1,64 GB mentre questa radiografia della finanza offshore è 160 volte più grande: 260 GB. Un flusso di dati che analizza decine di migliaia di transazioni finanziarie, tra quelle perfettamente legali, e altre, illegali, a volte utilizzate per far girare tangenti, in uno scenario dove spiccano anche despoti, spie, trafficanti d’armi e uomini dei cartelli della droga.
Frugando nelle carte si fanno a volte scoperte sorprendenti. Ci si può imbattere nella Candonly Ltd, una società irlandese già entrata nell’indagine milanese su "Oil for food", cioè il programma umanitario delle Nazioni Unite che, durante l’embargo posto all’Iraq di Saddam Hussein fu usato dal regime per finanziare politici e imprenditori amici. Ebbene, la Candonly era un canale usato da un affarista italiano, prima condannato e poi salvato dalla prescrizione, vicino all’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, per far circolare tangenti. Ora però salta fuori che chi l’amministrava era Jesse Grant Hester, gestore di 1.500 altre entità, tra Isole Vergini, Gran Bretagna e Nuova Zelanda.
Ma ci sono altri esempi. Emergono dai file i patrimoni accumulati da miliardari indonesiani legati al dittatore Suharto, morto nel ’98. L’americana Denise Rich, moglie del finanziere Marc, residente in Svizzera e accusato di evasione fiscale negli Usa, ma salvato dal perdono di Bill Clinton, disponeva nel 2006 di 144 milioni di dollari in un trust delle Cook Islands. Qui è approdata anche la baronessa Carmen Thyssen-Bornemizsa per acquistare, alle aste di Sotheby’s e Christies, alcuni quadri, tra cui il dipinto di Van Gogh "Mulino ad acqua a Gennep", per il suo museo spagnolo.
In queste pagine "l’Espresso" presenta i primi quattro casi di società legate a cittadini italiani, su circa 200 che risultano collegati al sistema offshore, senza che dai documenti emergano illeciti. Un trust delle Cook Islands che ha come "protector" Gaetano Terrin, all’epoca commercialista dello studio Tremonti. Una offshore che indica come beneficiario Fabio Ghioni, hacker dello scandalo Telecom. Un complesso sistema finanziario legato a tre famiglie di imprenditori e gioiellieri. Infine un trust che riporta come direttori i commercialisti milanesi Oreste e Carlo Severgnini.