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 2013  aprile 05 Venerdì calendario

Vite da pendolari Corriamo a cento all’ora sulla pelle di un malato. Ce ne andiamo su e giù lungo un corpo sdraiato dalle Alpi alla Sicilia

Vite da pendolari Corriamo a cento all’ora sulla pelle di un malato. Ce ne andiamo su e giù lungo un corpo sdraiato dalle Alpi alla Sicilia. Lo guardiamo scorrere nei finestrini dei treni e dei pullman: montagne, mari e meravigliosi monumenti dentro gli occhi di migliaia di lavoratori che imprecano e si aggrappano agli appositi sostegni. L’Italia dei pendolari è il termometro di una febbre che sale. Quattordici milioni di persone, una nazione in marcia due volte al giorno: quel mondo che già alle sette del mattino misura fino a che punto si è spinto il pubblico disservizio. Dal tabellone dei ritardi nella stazione liberty di Cremona ai treni guasti per sempre sul binario morto della Circumvesuviana. Dai precari costretti da Napoli a Roma a svenarsi lo stipendio sui Frecciarossa, ai pullman che da Venezia, Torino, Como, Milano, Bologna scendono in Calabria. Sono anche gli effetti della recessione galoppante. I manager che per risparmiare lasciano l’auto o la moto a casa. Dirigenti e piccoli imprenditori ammassati con operai e impiegati, su mezzi insufficienti ad accogliere i tempi che cambiano. I bus a secco di gasolio in Campania. Gli autisti pagati in ritardo. Le officine senza pezzi di ricambio. I passeggeri pigiati come bestie. E poi il modello Calabria e Sicilia: da quando le Ferrovie dello Stato hanno tagliato i diretti per il Sud, il servizio pubblico è stato sostituito dalle compagnie private. Come nel Sahel africano, come nella pampa dell’America Latina, quaggiù chi viaggia deve prendere la corriera. Costa meno, è più pulita, è più sicura. ADDIO TRENO L’autostazione è in centro a Bologna. Partenza la sera. Arrivo a Reggio Calabria dopo 13 ore. L’importante è non sbagliarsi. Perché i pullman che vanno al Sud sono una decina. Questo lo mette la Lirosi, società privata di Gioia Tauro. Alle tre del pomeriggio è a Como. Alle quattro e mezzo a Milano. Oggi, venerdì, arriva un po’ in ritardo. «Colpa del traffico del fine settimana», dicono Francesco Di Masi, 47 anni, e Domenico Corrao, 52, i due autisti che si danno il cambio al volante. Cinquantacinque posti. Quarantasei biglietti venduti. Sessanta euro l’uno. Sconto di dieci euro, se si compra andata e ritorno. Si viaggia di notte. Film con Aldo, Giovanni e Giacomo in prima serata. Poi luci soffuse. Vietato togliersi le scarpe. Tre fermate in autogrill per il caffè. Firenze. Roma. Sala Consilina, provincia di Salerno. Oppure si resta a bordo sui sedili reclinati. Non parlano i pendolari del weekend. Ora dormono tutti. Il confronto con il treno è presto fatto. Lo confessa l’orario di Trenitalia. Se si parte alle 19 da Milano Centrale fanno undici ore di viaggio, due cambi a Roma e Villa San Giovanni e un minimo di 125,90 euro di biglietto. Se si prende l’Intercity-notte delle 23.20 sono quindici ore e mezzo di viaggio, due cambi a Napoli e Paola, 85,80 euro la tariffa base. E arrivo alle 14.50, più il probabile ritardo, più il fatto che a questo punto metà del sabato se ne sarebbe già andata. Maria Carmela Musumeci, 25 anni, da due insegna in una prima elementare a Bologna. Stipendio da precaria. Assunta a settembre, licenziata a giugno. Anche il ministero dell’Istruzione da tempo impone contratti da caporalato. Lei fa parte della generazione che non può. Non può ottenere un finanziamento per pagarsi il telefonino o il computer o l’auto. Figuriamoci il mutuo per la casa e sposarsi. Perché le banche, si sa, rifiutano prestiti ai lavoratori precari. Maria Carmela sta tornando per il fine settimana dai genitori a Bagnara Calabra: «Quasi sempre scendo in pullman. È il viaggio più comodo. Ed è anche una scelta economica. Lo stipendio di un’insegnante è quello che è. Il prezzo dei Frecciarossa è inavvicinabile e viaggiare in treno la notte no, non mi fido». All’autogrill di Sala Consilina il caffè è gratis. «Da mezzanotte alle cinque, tutte le notti», racconta Giuseppe Russo, 28 anni, calabrese di Nicotera Marina. Dice che si è laureato a Parma in zootecnia e sicurezza alimentare: «E sono disoccupato». Rivela che la sua è una migrazione controcorrente. Torna in Calabria per sempre. Almeno spera: «Ho fatto di tutto a Parma. Hostess alle fiere, cameriere, volantinaggio. Cerco di andare a stabilirmi giù per ricominciare. Abbiamo tre ettari di giardino. Penso di aprire un’attività mia». Al bar, Russo tiene banco. Fa ridere i compagni di viaggio e soprattutto le compagne più giovani. Forse proprio per questo ha detto così: che ha fatto la hostess. Alle cinque si entra nello slalom di cantieri della Salerno-Reggio. Mezz’ora dopo si apre la lunga discesa verso il mare. Albeggia. Il Pollino alle spalle con la neve sottile appena caduta. Sul fondovalle il velo rosa dei peschi fioriti. L’aurora è di fronte. Entri in una galleria. Esci. Te la ritrovi a sinistra. Al posto dei peschi, la prima mattina rischiara adesso il grigio di una gigantesca distesa fotovoltaica. Ci si rivede finalmente in faccia. Mariangela Tommasello, 59 anni, insegnante alla scuola media di Melito, era andata a Bologna per la laurea in giurisprudenza del figlio. Antonio Mazza, 52 anni, agente di commercio nel settore edile, per una riunione di lavoro. Rossella Musumeci, 20 anni, studentessa a Cosenza in scienze del servizio sociale, ascolta i discorsi dei vicini. E guarda oltre il vetro le onde del Tirreno nel golfo di Sant’Eufemia. Cosa ha votato chi viaggia in pullman? Russo: «Movimento 5 Stelle». Mazza: «Grillo. Per protesta». Maria Carmela: «Non ho votato perché nessuno mi rappresenta». Sua sorella Rossella: «Sicuramente non voto Berlusconi che ci ha portato al di sotto di ogni aspettativa. Però la gente purtroppo lo vota. Sono gli italiani ad avermi deluso. No, Grillo non è una persona che può governare un Paese. Renzi, secondo me, sarebbe stato il candidato più idoneo». DEFAULT SUI BINARI Da Napoli a Sorrento, la Circumvesuviana potrebbe essere l’altra Corniche. Il Vesuvio a sinistra. Una fermata alla Villa dei misteri a Pompei. A destra il mare, "chi ha girato tutto ’o munno, nun l’ha visto comm’a ccà". Di turisti a bordo non ce ne sono però. Questi treni hanno perso anche il diritto alla loro identità. La burocrazia regionale ora li chiama ex-Circumvesuviana. E infatti non sono più quello che erano. «Su 140 treni in dotazione», spiega Franco Di Fiore, macchinista e delegato Cgil, «riescono a farne uscire ogni giorno 50. Poi, durante la giornata, ci sono sempre altri due o tre elettrotreni che si guastano». Anno di costruzione: 1974, 1978, 1988. E non ci sono più soldi per le riparazioni. La stazione di Porta Nolana è intasata di carrozze che non partono. Oggi diluvia e alcune sono allagate. Hanno il tetto bucato. Queste le possono usare quando splende il sole. Un’altra ventina è ferma in un’area di lavaggio, da settimane in attesa di andare in officina. I treni che proprio non si muoveranno più sono allineati sul binario morto a Volla e in altre fermate minori. Decine e decine di carcasse senza più motori, impianto elettrico, comandi. Li hanno cannibalizzati per ricavarne pezzi di ricambio. Ma con 50 treni in movimento, il servizio è ridotto di un terzo. Le carrozze contengono quattro, cinque volte il numero di passeggeri consentito. «Scusate per il disagio ma c’è mancanza di materiale», dice la mattina all’interfono il capotreno del 7.22 Sorrento-Napoli ai pendolari stremati, pigiati e bagnati dall’acqua che piove dal tetto: «Vi auguriamo una splendida giornata e buon lavoro». L’orario ovviamente è soltanto una formalità. Non è solo disservizio. Ormai è la manifestazione del default latente. Un miracolo di San Gennario. Al contrario. Sono riusciti a mandare in crisi un consorzio che ancora nel 2010 dichiarava 40 milioni di passeggeri all’anno. E forse non è solo colpa della politica. La mattina basta stare un’ora all’ingresso di una delle stazioni dell’hinterland. Il 90 per cento, uomini eleganti, donne, studenti, scavalca i tornelli. Entrano quasi tutti da un passaggio su cui è grande il cartello di divieto d’accesso. Forse perché hanno l’abbonamento a vista. Ma anche senza biglietto è facilissimo passare. E nella calca nessuno controlla. La cronaca della roulette quotidiana la ascolti nella voce dei pendolari che la sera a Vico Equense si sentono fortunati per essere arrivati a destinazione in tempo per la cena. Salvatore Guadagnuolo, 49 anni, operatore teatrale, il biglietto l’ha sempre pagato: «Treni soppressi senza nessun avviso o ci avvertono dieci, cinque minuti prima», dice: «È capitato l’altro giorno che sono riuscito a prendere il treno delle sette e mezzo la mattina, ma non son potuto ritornare. Ho preso altri mezzi: così un viaggio di cinquanta minuti è durato due ore e un quarto. E una sera son dovuto arrivare a casa a piedi. Dieci chilometri. Sì, a piedi». Debora Ostieri, 18 anni, studentessa al liceo linguistico, racconta che a ogni ritardo bisogna andare dal capostazione a farsi scrivere la giustificazione da portare alla preside. Antonino Rapicano, 20 anni, studente universitario alla Federico II: «Il risultato è che nessuno quasi fa più l’abbonamento. Si sono attivate agenzie di privati che con i pullman raccolgono studenti a Sorrento, Vico, Castellammare. Almeno con loro sei sicuro di arrivare». Altrimenti con il mare calmo c’è l’aliscafo: 17 euro al giorno, però. E nessuno protesta? «È stata fatta una manifestazione di genitori che, pur avendo pagato l’abbonamento annuale, dovevano accompagnare i figli in auto», ammette Valeria Esposito, 48 anni, «io ho partecipato. La gente ci guardava con indifferenza. Perché chi non ha il problema, in effetti, se ne frega». amici di carrozza Al confronto, la Cremona-Milano è un lusso. I comitati di pendolari quassù protestano e ottengono. Sul 7.33 di stamattina ci sono ancora posti liberi. E forse è anche grazie alla battaglia di un blog: inorario.com. Max Gabbiani, 44 anni, uno dei fondatori con Matteo Casoni, lavora vicino al Duomo negli studi di una tv satellitare. Un’ora e mezzo all’andata. Più la metropolitana. Altrettanto al ritorno. Salvo ritardi. «Il comitato», spiega, «è riuscito a far sostituire i Vivalto che avevano soltanto 560 posti con i treni attuali che ne hanno 740. Ma molto spesso si fanno 90 chilometri in piedi o seduti sul predellino. Perché i treni oggi hanno otto, nove carrozze contro le undici di un tempo. E non è degno viaggiare così». Novantanove euro al mese per il biglietto integrato. Treno più metrò. In realtà è un biglietto disintegrato. Perché soltanto tre sportelli a Milano rilasciano la tessera magnetica. Tutti gli altri vendono il tagliando di carta che però non apre i tornelli della metropolitana. E dopo le otto di sera, con le stazioni senza sorveglianti, bisogna scavalcare. «Sì, ci tocca scavalcare», conferma Caterina Marchiori, 43 anni, laureata alla Bocconi e dirigente dei sistemi informatici in una società che produce software. Max, Caterina e gli altri fanno gruppo fisso sull’ultima carrozza. Marina Sfondrini, 49, dirigente amministrativa di una società americana, ascolta e lavora a maglia. Sabrina Sangiovanni, 44, grafica pubblicitaria, e Francesca Fugal, 37, impiegata all’università, sorridono. Gli amici del treno. Il viaggio allucinante? Ride Max Gabbiani: «Una sera il regionale ha abbattuto la linea elettrica in una zona a binario unico. Sì, ancora a binario unico. Due ore immobili, linea bloccata nei due sensi. È arrivato il Badoni, il rimorchiatore verde a gasolio. E siccome era buio, pure il Badoni si è incagliato nei cavi dell’alta tensione. A quel punto abbiamo camminato sui binari fino alla stazione successiva». Marina Sfondrini: «Ricordo di non essere riuscita ad arrivare a casa in tempo per la festa di compleanno di mia figlia. I bambini piccoli sanno benissimo come farti sentire in colpa». Ieri Max non c’era: «Avevo un appuntamento alle nove a Milano», risponde lui, «e ho visto sul telefonino che il treno era in ritardo. Ho preso la macchina». Sul telefonino? Gabbiani mostra sul suo smartphone la posizione attuale del treno. È l’app che lo avverte se è meglio infilarsi in autostrada: «Andare a Milano e tornare in auto però fanno di pedaggio, gasolio e parcheggio 40 euro al giorno». ALTA VELOCITà obbligatoria Correre al lavoro a 300 all’ora può sembrare un privilegio. Ma non lo è per i pendolari appisolati nella carrozza 5 del Frecciargento che sale a Venezia. Partenza alle 7.30 da Napoli. Antonio Trani, 44 anni, perito informatico al ministero della Difesa viaggia sempre con Gianluca Schiavone, 40, riparatore di orologi e Mariella Iacono, 33, funzionario pubblico. Abitano a Napoli e provincia. Scendono a Roma Termini.Lavorano nella capitale. Dicono di non avere alternativa. I regionali impiegano anche tre ore. L’unico Intercity in tempo utile parte alle 6. Tra andata e ritorno sarebbero tra le cinque e le sei ore. Troppo. «Da quando è stata inaugurata l’alta velocità, il resto del servizio è peggiorato», racconta Trani: «L’abbonamento mensile Napoli-Roma costa 356 euro. Poi pago 60 euro di Circumvesuviana, 35 di metro a Roma. Fanno 451 euro. Più 500 di affitto. Il primo di ogni mese vanno via quasi mille euro così. E mi considero fortunato. Anche se la mia famiglia è monoreddito, moglie e due bambini a carico, prendo 1.800 euro di stipendio. Gli altri pendolari no. Siamo 3 mila tra Napoli e Roma, il 70 per cento sono precari con mille, 1.200 euro al mese. Io ho dovuto tagliare le spese per il quotidiano. Leggo le news sul telefonino». E in dieci giorni di viaggi su e giù per l’Italia all’ora dei pendolari, soltanto tre volte appare un giornale. Gli altri se leggono, scrivono o giocano, hanno in mano un telefonino o un tablet. La beffa è che i lavoratori autonomi possono scaricare fiscalmente il costo dell’abbonamento. I dipendenti no. «Proprio per una questione economica», racconta Gianluca Schiavone, «da settembre a dicembre 2012 ho preso l’Intercity delle 6. L’unico. Le dico la verità, su quattro mesi il Roma-Napoli del ritorno sarà partito in orario 50 volte. Le altre o era in ritardo o veniva cancellato». Mai pensato di trasferirsi a Roma? «No, vivere a Roma costerebbe di più». RITORNO AL NORD Stasera Messina al di là dello Stretto è un lunapark di luci sospese tra il mare buio e il cielo di Scilla. I collegamenti ferroviari da Sud a Sud sono un altro progresso al contrario. Da Reggio a Bari sul sito di Trenitalia fanno 9 ore e 35 minuti. Tre cambi. Due regionali e due autobus. Il pullman diretto, privato, impiega sei ore. «Lo prende tantissima gente, per lo più forze dell’ordine e immigrati», racconta Francesca Stilla, giovane magistrato della Procura dei minori, pendolare del fine settimana, papà ferroviere e casa sui binari. Si torna al Nord adesso. Partenza la domenica dal lungomare di Reggio. Arrivo a Bologna lunedì mattina, in tempo per l’ufficio. Nino Cannatà, 36 anni, regista calabrese con studio a Firenze, ha filmato l’Aspromonte arcaico che scompare. Manuela Gervasio, dietista, va a Verona per il suo nuovo lavoro. Un contratto a termine, ovviamente. Chiudono le porte. L’autista spegne le luci interne. Un’altra notte a guardare l’Italia, mentre scorre dentro i finestrini.