Lucio Cillis e Luca Pagni, La Repubblica 5/4/2013, 5 aprile 2013
LA GRANDE TRUFFA DEI PETROLIERI COSÌ GONFIANO I PREZZI DELLA BENZINA
L’accusa è pesantissima, di quelle che nella testa di ogni automobilista, fanno scattare un istintivo moto di rabbia. Le “sette sorelle” del settore energetico, avrebbero compiuto in Italia manovre «speculative» per tenere artificiosamente alti, o regolato «limitandone gli scostamenti», i prezzi dei carburanti negli ultimi due anni.
Ma la Commissione Ue e la Gran Bretagna hanno lo stesso sospetto e hanno aperto indagini che portano
nella stessa direzione.
Le compagnie petrolifere al centro di un’inchiesta della guardia di finanza e della procura di Varese, nata da una denuncia del Codacons, sono Shell, Tamoil, Eni, Esso, TotalErg, Q8 e Api. I reati ipotizzati dal pm Maurizio Grigo vanno dal «rialzo e ribasso fraudolento » dei prezzi a «manovre speculative su merci» fino alla «truffa».
I listini, in sostanza, non sarebbero fissati seguendo la semplice evoluzione naturale dei prezzi internazionali dei prodotti raffinati e tantomeno verrebbero decisi dalla libera concorrenza. Una ipotesi che dovrà essere verificata processualmente in Italia ma che nasce oltre la Manica, con decisioni figlie del nebuloso mondo della finanza a Londra — una delle capitali mondiali del mercato del petrolio — con un meccanismo non dissimile da quello messo sotto accusa per le manipolazioni del Libor, il tasso interbancario che arriva a determinare gli interessi di prestiti e mutui.
PREZZI CONCORDATI
La tesi, alla base dell’esposto presentato dal Codacons e fatto proprio dai giudici di Varese, poggia su una analisi di Matteo Temporin, docente dell’università Cattolica del Sacro Cuore. Secondo cui il percorso che va dal pozzo petrolifero fino al serbatoio del cliente è mosso da regole che, anche secondo i baschi verdi e il gip di Varese, puntano a limitare gli scostamenti dei prezzi e accompagnarli senza troppi scossoni al distributore.
Un tragitto che si svolge alla luce del sole, è bene ricordare, ma che è quasi interamente controllato dai marchi più noti che oggi sono coinvolti nell’indagine. Insomma, per gli inquirenti, saremmo di fronte ad un sistema coordinato al punto che il gip nel suo atto d’accusa, scrive di «artifizi e raggiri», messi in atto per «livellare volontariamente, concordandoli, i prezzi dei prodotti petroliferi alla pompa». Un comportamento che, sempre a detta del magistrato, vede danneggiati indubitabilmente i consumatori. Subisce «un danno economico un numero indistinto e indeterminabile di fruitori del servizio, indotti in errore, ma in ogni caso privi di reale possibilità contrattuale, nella considerazione che le principali compagnie petrolifere agiscono in regime di monopolio».
Ma come rispondono gli accusati? Per l’Unione petrolifera sono fatti da accertare: «Sulle indagini su presunti reati attinenti i prezzi dei carburanti, si chiarisce che dal provvedimento del gip di Varese emergerebbero semplici ipotesi investigative che dovranno essere verificate». Compito che spetterà alle procure di Milano e Roma, cui i giudici di Varese hanno inviato gli atti, per competenza territoriale, perché è lì che si trovano le sedi legali delle compagnie. Per i petrolieri non si approderà a nulla: «Allo stato, ogni affermazione in merito alla presunta esistenza di reati accertati è del tutto infondata». Insomma, uno scontro frontale che potrebbe svelare o contraddire, una volta per tutte, le tesi dei consumatori.
INEFFICENZE MILIARDARIE
In ogni caso, già le sole inefficienze del nostro sistema di distribuzione, al netto dell’inchiesta, costano miliardi agli automobilisti. Ma quanto? Se si considerano solamente le macroscopiche quanto costanti differenze tra i prezzi industriali (Iva e accise escluse) tra listini italiani e gli altri 26 Stati della Unione europea, il conto pagato dal nostro Paese ammonta, secondo uno studio del Cerm a circa 5,5 miliardi l’anno. Quei tre o quattro centesimi di euro al litro di aggravio rispetto agli altri partner europei — dovuto alle storiche inefficienze del sistema italiano — pesano da sole quanto una mini-manovra finanziaria. Ma se a questo aggiungiamo i movimenti speculativi sul prezzo del petrolio trattato sul mercato di Londra, allora le distanze tra il costo di benzina e gasolio al distributore e quelli teorici o giusti, quindi non governati dalle logiche di certa finanza internazionale, diventano astronomiche. Lecito a questo punto chiedersi: come nasce il prezzo alla pompa? Secondo l’analisi della Cattolica, «il prezzo al distributore dei prodotti petroliferi raffinati in Europa è determinato in larga misura dal prezzo del Brent», il petrolio estratto nel Mare del Nord e oggi ben più caro (sulla carta) del Wti trattato sul mercato Usa. Il Brent è infatti usato come riferimento per determinare i prezzi di altre varietà di greggio provenienti da diverse zone del mondo. In pratica, questo “benchmark” decide, dopo passaggi di mano tra società “sorelle” messi sotto accusa dalla ricerca, le sorti del prezzo finale di gasolio e benzina anche se le compagnie da anni spiegano
che è il Platt’s, mercato dei prodotti raffinati, a guidare le danze.
In sostanza «la variazione dei prezzi dei futures e delle opzioni sul Brent è sempre più pilotata da valutazioni di tipo economico-finanziario » piuttosto che dalla regola d’oro di domanda e offerta del bene, da parte di una serie di investitori internazionali. «Ognuno di questi operatori — spiega ancora Temporin — agisce con finalità diverse che condizionano il prezzo dei futures e determinano di conseguenza una serie di effetti sui mercati fisici di greggio e prodotti».
E dunque il quadro complessivo che emerge dalle carte non è certo una sorpresa. Senza spingersi a denunciare un possibile cartello, per il quale sostiene di non aver «acquisito evidenze», anche l’Antitrust è arrivata a medesime conclusioni in una indagine pubblicata il 28 dicembre scorso. L’Autorità per la concorrenza ha riferito di «un panorama di interazione oligopolistica tra gli operatori integrati nel quale i players più efficienti (Eni ed Esso su tutti) non spingono la competizione fino ai livelli che li avrebbero differenziati davvero dai concorrenti e avrebbero minacciato di far uscire questi ultimi dal mercato».
Ma i tecnici dell’Antitrust sono stati ancora più chiari: «Le sette società attive a livello nazionale nella distribuzione di carburanti in rete sembrano presentarsi sul mercato come soggetti nella sostanza allineati su comportamenti non troppo differenziati: uno scenario dalla chiara connotazione collusiva ».
RISPARMI AL CENTRO COMMERCIALE
Non per nulla, l’indagine dell’Antitrust ha portato anche alla luce il fatto che nei distributori legati alle “sette sorelle” il prezzo alla pompa è più alto rispetto agli impianti delle società indipendenti. Differenziale che diventa ancora più alto, per gli automobilisti che fanno rifornimento nei distributori legati alla grande distribuzione. Per entrare nel dettaglio, presso le cosiddette “pompe bianche”( circa 2mila sulle 22mila presenti nel nostro paese) il risparmio si aggira tra 1,5 e 5 centesimi di media e arriva fino ai 13 centesimi nei centri commerciali, con l’unico limite che, per ora, gli impianti di questi tipo sono solo un centinaio.
Un risparmio che gli automobilisti non possono che apprezzare: se un distributore legato alle società petrolifere eroga in media 1,4 milioni di litri all’anno, per quelle bianche si arriva a 1,6 milioni. Ma non ci sono paragoni con il carburante venduto dalla grande distribuzione: una media di 7,2 milioni di litri all’anno per impianto.
«In verità, le nostre medie sono anche superiori », riferisce Massimo Ferrari, presidente di Energya, la società creata per rifornire i distributori presente nei centri commerciali Coop, «i consumatori ci stanno premiando tanto che dagli attuali sei impianti pensiamo di arrivare a 50 per la fine del 2014. Ma per affrancarsi definitivamente in un mercato dominato da pochi gruppi sarà inevitabile dotarci di depositi nei porti dove approdano le navi cisterna».
Ma il problema delle infrastrutture è ancora un limite per l’ulteriore apertura del settore. Come denuncia da tempo l’Istituto Bruno Leoni, il think-tank che negli ultimi anni è divenuto il paladino delle liberalizzazioni in Italia. Per il direttore del settore Energia e Ambiente, Carlo Stagnaro uno dei limiti è dato non solo dall’eccessivo numero di pompe in Italia, senza paragoni in Europa, ma «soprattutto dalle regole imposte dalle singole legislazioni regionali che di certo non aiutano l’ammodernamento della rete: basti pensare che ci sono ancora Regioni in cui vige l’obbligo di installare impianto di gpl o gasolio per i nuovi impianti. Ma così — conclude — si favoriscono solo i grandi gruppi. I soliti... ».