Nino Sunseri, Libero 4/4/2013, 4 aprile 2013
LE AGENDE SBAGLIANO GIORNO
La prima di Moleskine a Piazza Affari non è stata proprio una “stecca” ma certo non si può considerare un successo. Un debutto piuttosto fiacco per la matricola dell’anno. La caduta complessiva del mercato sceso del 2,28%. Ha giocato un ruolo determinante. Milano, ancora una volta, è risultata essere la peggior Borsa del Vecchio Continente. La società che produce i taccuini in pelle nera usati da Ernest Hemingway ha pagato lo scotto. Partito con una fiammata, il titolo ha invertito rotta a metà seduta, arrivando a cedere oltre il 3%. Sui minimi il rimbalzo con una chiusura in calo dello 0,87% a 2,28 euro. Un passo indietro rispetto ai 2,30 euro di esordio. Forti le oscillazioni tra un prezzo minimo di 2,21 euro e un massimo di 2,39 euro. Scambiate circa 17,6 milioni di azioni. In fase di collocamento, ha raccolto 269 milioni di euro, con una valorizzazione complessiva di 487,6 milioni.
L’anno scorso a Piazza Affari c’era stato l’esordio di Brunello Cucinelli, prima e unica matricola. L’azienda umbra si occupa di cachemere. Moleskine attorno ai vecchi taccuini con la copertina rigida ha costruito un brand di fascia alta. Lentamente Piazza Affari prova a trovare una collocazione internazionale come listino dove ospitare le aziende che si occupano di produzioni di alto livello. Una vetrina dello stile di vita “made in Italy”. Una bella idea ma anche un cammino assai faticoso visto che i principali marchi si tengono ben lontani dal listino (per esempio Armani) oppure preferiscono i listini dell’Estremo Oriente (vedi Prada). Forse una spinta decisiva potrebbe arrivare se Marchionne decidesse di far sfrecciare a Piazza Affari la potenza della Ferrari. L’ipotesi, però al momento sembra assai lontana. Anzi Marchionne si è affrettato a ricomprarsi le quote che erano state vendute dieci anni fa quando il Lingotto era arrivato ad un passo dal collasso. Se ne parlerà, eventualmente dopo la fusione tra Fiat e Chrysler. In ogni caso serve una stabilizzazione dei listini.
In questo senso l’operazione fatta da Moleskine non è priva di coraggio. Caduta nell’oblio dopo la chiusura dell’ultima tipografia che la produceva in Francia dalla fine dell’Ottocento, l’azienda che ospitava gli appunti è stata rilanciata da una società milanese. Ad affiancarla un fondo di private equity che ha accelerato sul marketing fino a mettere in vendita oltre 150 gadget da aggiungere al notes. Ora il fondo Syntegra si frega le mani: nel 2010 la vendita del 17 per cento delle azioni aveva valorizzato la società 200 milioni. Adesso ne vale circa cinquecento. Per l’amministratore delegato Arrigo Berni «la quotazione è solo il punto di partenza di un percorso di crescita. È il successo di un’impresa, che i giornali hanno spesso definito non rappresentativa del made in Italy poiché non produce nulla in Italia. Io penso però che un’azienda come la nostra, il cui cervello è qui ed è gestita, nata e guidata in Italia da italiani, sia un esempio di made in Italy di successo».
Secondo il numero uno di Moleskine, la quotazione, i cui proventi verranno utilizzati per «migliorare la flessibilità finanziaria non è un punto di arrivo ma di partenza». Nei prossimi anni sono previsti tassi di crescita importanti, soprattutto in Cina, «dove oggi abbiamo un target potenziale di 9 milioni di persone (su un totale di 1,5 miliardi), come in Italia».
Certo il momento di esordio non poteva essere più difficile. Su Piazza Affari pesa l’incertezza politica da cui non si riesce a venir fuori. Martedì l’«Italia dei saggi» preparata da Giorgio Napolitano durante la pausa di Pasqua aveva ricevuto un applauso generalizzato.
Non a caso l’indice era salito dell’1,4%. Ieri il brusco passo indietro. Si è un po’ smosciato l’appeal speculativo su Telecom. L’Opa su Vodafone da parte di Varaizon e Att sembra, quanto meno, prematura. Male anche le banche. La soluzione trovata a Cipro non è certo confortante. Gli investitori che hanno comprato azioni delle banche di Nicosia stanno uscendo con le ossa rotte.