Andrea Nicastro, Corriere della Sera 5/4/2013, 5 aprile 2013
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
MADRID — «Una gabbianella monarchica, confesso, devo ancora incontrarla». Luis Sepúlveda si autodenuncia. «Sono repubblicano sino al midollo e, per casa o nei libri, ho avuto solo cani e gatti intimamente egalitari. In materia di teste coronate anche la mia storia familiare congiura contro l’imparzialità: ho avuto un nonno che scappò dalla Spagna sognando di ritornarci una volta che fosse diventata una vera Repubblica. A questo punto credo che sarò io a veder realizzato il sogno del nonno».
Cileno con passaporto francese vive da oltre 15 anni nella provincia spagnola. «Per un poeta la patria è la sua lingua — spiega al Corriere — e dopo aver vissuto in Russia, Germania, Francia, ho sentito il bisogno di un Paese che parlasse spagnolo».
La monarchia?
«Solo folclore».
La Famiglia Reale?
«Gente senza spessore intellettuale».
Lo scandalo dell’Infanta Cristina?
«Un problema di presunzione e corruzione che non riguarda l’essere o meno aristocratici. Non c’è un Danton che prepara la ghigliottina. È vero, vedo sempre più bandiere repubblicane per le strade, ma la fortuna dei Borbone è che, per il momento, ci sono problemi più gravi da affrontare: dalla crisi economica ai milioni svizzeri del tesoriere del partito di governo».
Siamo all’ultimo capitolo?
«Ci siamo vicini. Lo stesso titolo di Infanta fa capire l’anacronismo del sistema. Infanta deriva da infantile. Anche avesse 100 anni, Cristina deve continuare ad essere considerata una bimba da cullare, ma sostanzialmente irresponsabile. Invece al giorno d’oggi esistono cose come le leggi. Il costo della corona è inutile e insopportabile. La Spagna sarà presto una Repubblica».
Sepúlveda è un autore amatissimo. In Italia il suo racconto sulla gabbianella è un long seller da 2 milioni di copie, la nuova «Storia del gatto e del topo che diventò suo amico» in 5 mesi ha superato le 300 mila copie. Per maggio è atteso «Ingredienti per una vita di formidabili passioni». A 63 anni conserva lo spirito del poeta ribelle e dell’attivista politico che l’ha portato nelle carceri di Pinochet, sulle navi di Greenpeace e in esilio. Ha vissuto dal 1996 il cambio di clima che ha segnato la Spagna.
Se lo immaginava?
«Tutto era molto diverso. L’ottimismo si respirava ovunque, ma spesso gli ottimisti sono anche irresponsabili che non si chiedono dove stanno andando. La maggioranza era favorevole a Juan Carlos come possono esserlo dei tifosi di calcio. Juancarlisti non borbonici visto che i Borbone non hanno mai fatto bene al Paese».
Perché juancarlisti?
«Perché lo spagnolo medio si identificava nei suoi limiti come l’italiano medio si è identificato in Berlusconi. Juan Carlos era un cacciatore e un cattolico come piace agli spagnoli, ma soprattutto uno sciupafemmine. La vox populi era che uscisse di notte in moto per andare a donne. Invece di scandalizzarsi il macho spagnolo drizzava la cresta. Il tempo però passa per tutti. Non sarebbe generoso accusarlo delle sue difficoltà di anziano. Però starebbe a lui farsi da parte e limitarsi a giocare con i nipotini. Invece si è fatto cogliere con nuove amanti e nuovi eccessi quando l’ottimismo nazionale era svaporato. Ha perso la sintonia con la gente».
Dimentica il merito d’aver sventato il golpe dell’81?
«Un mito. E la sua fortuna è che agli spagnoli piace credere ai miti. La mia personalissima versione dei fatti è che Juan Carlos aspettò fino all’ultimo prima di prendere posizione a favore della democrazia. Per di più il merito non fu suo. Magari dell’ambasciatore Usa, ma soprattutto della moglie Sofia, che da greca aveva già vissuto il regime dei colonnelli. Fu lei, secondo me, a farlo ragionare: scegli la democrazia o perdiamo tutto».
La regina Sofia?
«È rimasta la sola a tenere tutto e tutti assieme. Nei 5 minuti passati con Sofia a tu per tu è riuscita a parlarmi di Petros Markaris, greco come lei, a dirmi che le era piaciuto il suo ultimo romanzo. Non credo che al mio amico Markaris, rosso nell’anima, faccia piacere essere letto da una regina. Però almeno fa onore a lei».
Non basterà?
«Il problema è nella successione. Il principe Felipe appare un ragazzo per bene, senza i vizi del padre, ma anche totalmente privo dei suoi guizzi, anodino. Noioso, insomma. In tanti anni non si ricorda di lui alcuna frase, alcuna presa di posizione degna di merito. Perché continuare a mantenerlo?».
Andrea Nicastro