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 2013  aprile 03 Mercoledì calendario

È PEGGIO IL MONDO «USA E GETTA» O L’ECO FASCISMO?

Nel 1977 comprai una confezione di punti metallici, trentasei anni dopo continuo a usare quei punti e la confezio­ne è solo a metà. Mi commuove pensare che da ragazzo feci un acquisto per la vita. Peccato che si tratti di un’inezia come i pun­ti metallici. Per il resto i miei cel­lulari durano un anno, i compu­ter due o tre, le stampanti anche meno. E tutto, dagli alimenti ai vestiti, scade maledettamente sempre più in fretta. In epoca neofrancescana come la no­stra, acquista grande importan­za la denuncia delle cose pianifi­cate per durare sempre me­no.
È uscito in questi giorni in Italia un effi­cace libretto di Serge Latou­che - quel La­touche che piace alla nuo­va eco-sini­stra ­e alla nuo­va destra e pia­ce ora ai grilli­ni - intitolato Usa e getta che narra «le follìe dell’obsolescenza programma­ta » come dice il sottotitolo (edito da Bol­lati Boringhie­ri, come le al­tre sue opere, pagg. 114, eu­ro 14,50). La­touche è l’au­tore più noto della decresci­ta felice e del­l’abbondanza frugale, due ossi­mori per rendere dolce il sacrifi­cio e gioiosa la rinuncia. L’ob­biettivo è riproporre i limiti dello sviluppo e dei consumi, co­me si disse nel ’ 72, ma come ave­va già detto Mussolini alle so­glie degli anni Trenta criticando l’utopia dei consumi illimita­ti. Il capostipite di questa de­nuncia di Latouche fu Vance Packard, l’autore de I persuaso­ri occulti, che già nel 1960, men­tre noi ci beavamo nel boom economico, in The Waste Makers denunciava la pianifica­zione del guasto, la vita breve delle cose programmata per tenere vivo il ciclo dei consumi. Prima di lui Thorstein Veblen aveva anticipato considerazio­ni analoghe nella sua La teoria della classe agiata, anche se lui parlava di adulterazione, non di obsolescenza.
Molti arnesi sono oggi pro­grammati per sfasciarsi presto; e riparare costa più che compra­re il nuovo. La filosofia del con­sumo si basa sulla crescita illi­mitata fine a se stessa, per nutri­re il capitalismo. Ma anche, ag­giungiamo noi, per salvaguar­dare i livelli di benessere rag­giunti dalle masse come mai era accaduto. Bisogna saper ve­dere le cose interamente, da am­bo i lati. Però le risorse non sono illimitate e la popolazione cre­sce a ritmo spaventoso. Il para­metro lo indicò il presidente americano Eisenhower che già negli anni ’50 per fronteggiare la recessione disse: comprate qualsiasi cosa (mitico precurso­re di Berlusconi). Latouche così descrive «la giostra diabolica: la pubblicità crea il desiderio di consumare, il credito ne forni­sce i mezzi, l’obsolescenza pro­grammata ne rinnova la neces­sità». E cita i guru di quest’indu­stria che si autodefiniscono «mercanti di scontento» e si pre­figgono di farci «sbavare». Me­glio dieci ladri che un solo asce­ta, così Günther Anders coglie­va l’essenza del consumismo e i suoi veri nemici. Alla falsifica­zione, nota Latouche, è d’osta­col­o la tradizione che amava tra­smettere anche le cose di gene­razione in generazione e repu­tava virtù il risparmio e la dura­ta. Ma in questa prospettiva La­touche finisce con incontrare e rivalutare il fascismo, per la sua politica dell’autarchia, per il ri­ciclaggio delle cose e i prodotti a chilometro zero; ma anche per l’uso dei filobus che utilizza­vano il carbon fossile anziché la benzina.
Una lettura significativa al ri­guardo è la ricerca di Marino Ruzzenenti, L’autarchia verde (Jaca Book, 2011) dove quella politica degli anni Trenta è vista come laboratorio della green economy. Ma il fascismo, va det­to, avviò pure un processo di for­te mo­dernizzazione e industria­lizzazione. Più in generale la visione di Latouche collima con quella visione della vita basata su «non sprecare il pane quoti­diano» come diceva un manife­sto d’epoca, l’elogio del rispar­mio, l’etica del sacrificio france­scano che Mussolini definì «il più santo degli italiani il più ita­liano dei santi». Temi cari a La­touche che però poi teme nella nostra epoca il sorgere di forme di «ecofascismo».
Ma dove porta la critica cata­strofista di Latouche e Dupuy, di Susan George e Paolo Caccia­ri, degli «obiettori di crescita» contro l’obsolescenza programmata? È sacrosanta la de­nuncia della fragilità prestabili­ta delle merci, la loro deperibili­tà, sia programmata che psico­logica o simbolica. È vera la denuncia della scomparsa di tanti mestieri fondati sulla riparazio­ne. Ed è comprensibile il rim­pianto del tempo antico, con le sue cose durevoli come i senti­menti. Ricordo anch’io con te­nerezza chi risuolava le scarpe, chi riparava e rammendava ogni cosa; da noi c’era perfino chi riaffilava le lamette usate... Ma quel che vale sul piano poeti­co vale sul piano economico e sociale? Qui risale l’aspetto uto­pico, l’idealizzazione di prati­che che avevano anche il loro ro­vescio e si inserivano in un mo­dello di vita che non sarebbe più accettato. E poi come si esce da questa società? Con la cata­strofe, dice Latouche che in un altro, recente libro a più mani (Dove va il mondo?, sempre di Bollati Boringhieri) vede come una fortuna: esplode la bolla finanziaria, crolla il siste­ma finanzia­rio, finisce l’euro. Ma poi la catastrofe si abbatterà sul­la vita reale dei popoli, e saranno dolo­ri per tutti, a partire dai più poveri e più deboli. In secondo luogo la dife­sa dell’ecosi­stema, tra gre­en economy, ri­ciclaggio e li­mitazione dei consumi, ha efficacia se è una politica mondiale. Se Paesi enormi in crescita co­me la Cina o l’India si sottraggono a questi limiti, sono imprese destinate alla sconfitta planetaria. Qui emer­ge il non detto o il detto in modo contraddittorio: per fronteggiare adeguatamente la corsa folle dei consumi e la devastazione del pianeta, occorrerebbe un governo mondiale unico e auto­ritario. E Latouche da un verso teme il dominio di un Amministratore unico mondiale, un Grande Fratello «decisamente poco fraterno», ma dall’altro riconosce che le misure efficaci in tema ecologico richiedono Stati forti, ampie statalizzazio­ni, uso in comune di beni dure­voli, economie collettive e scel­te coercitive. E questo inquieta. Non so se il giogo valga la cande­la... Ma questo ci riporterebbe nei paraggi del fascismo, ecofa­scismo o socialfascismo, che al­la fine resterebbe l’unico mo­dello coerente con le richieste di Latouche per uscire da que­sto modello di società; uno Sta­to forte che decide, interviene, limita e tutela. Altrimenti non restano che risposte puramen­te locali a problemi che restano però mondiali; e poi class ac­tion, appelli e proteste circo­scritte.
O l’arcadia, il rimpianto poeti­co del passato. O la speranza mi­stica che alla fine solo un dio ci potrà salvare. A questo punto, meglio affrontare le cose con at­tivo realismo, fuori da utopie e tirannie ma anche fuori da iner­zie e complici cecità.