Fabrizio Paladini, Panorama 4/4/2013, 4 aprile 2013
CHI VIENE A LETTO CON NOI
Fateci caso: se andate in giro e vedete un ragazzo e una ragazza uscire di casa sempre insieme, andare a passeggio, al cinema, al supermercato, penserete che sono fidanzati. Se poi vedete due persone dello stesso sesso fare la stessa cosa, e siete mentalmente più «aperti», penserete che quella è una coppia omosessuale. Ma se incontrate per strada un ragazzo disabile, fisico o mentale, su una carrozzina, accompagnato da una ragazza, penserete che lei è la sua badante, o sua sorella, o sua cugina, forse una sua vecchia amica. Ma mai, non negatelo, vi verrà in mente che quella è una coppia che si ama, che sta insieme e che, perbacco, farà anche sesso.
IL GRANDE TABÙ È difficile immaginare che anche i disabili abbiano una sessualità e una vita sessuale, che ne sentano l’esigenza, che cerchino un rapporto d’amore importante o una relazione fugace. Raramente ci sforziamo di comprendere quanto molte delle sue esigenze siano esattamente come le nostre.
Il dibattito sulla sessualità dei disabili è qualcosa che respinge. Non se ne parla: è un tabù. «Perfino molti genitori di ragazzi disabili ignorano o rimuovono il problema» dice Gianluca Nicoletti, giornalista che ha appena pubblicato Una notte ho sognato che parlavi (Mondadori), libro che racconta l’autismo di suo figlio Tommy.
Scrive Nicoletti: «Con l’adolescenza Tommy si è fatto pure parecchio esuberante. Questa è l’età in cui i maschietti si accorgono di avere risposte niente male da quell’attrezzo che usano per far pipì, di conseguenza si ingegnano a interrogarlo con lena e costanza. Lo fa anche Tommy, ma a differenza degli altri, lui non lo fa di nascosto: quando gli va, sfodera e opera. Per fortuna mai fuori di casa, almeno per ora, ma in casa è diventato normale per la famiglia assistere alla sua attività amanuense».
L’argomento sta emergendo. Il network britannico Channel 4 manderà presto in onda Can have sex, will have sex, reality in cui alcuni giovani affetti da disturbi fisici o mentali affrontano il sesso. Terapeuti, psicologi, sessuologi e disabili stessi hanno iniziato la discussione sulla rete e hanno incoraggiato via via tanti commenti di disabili e dei loro familiari. Dopo l’uscita del film americano The Sessions (storia di una donna che fa la terapista sessuale) si è parlato ancora un po’ di più dell’argomento. Priscilla Berardi è un medico psicoterapeuta con formazione in sessuologia. Lei (che è disabile) con il regista Adriano Silanus hanno scritto e girato un documentario forte e vero che si chiama Sesso, amore e disabilità: un viaggio in Italia che racconta questo aspetto così ignorato ma così sentito dai disabili che, per inciso, rappresentano il 5 per cento della popolazione italiana. Dice Silanus: «La gente pensa: "Ma come, con tutti i problemi che ha, il disabile vuole pure fare sesso?". Quindi si è doppiamente emarginati. Poi, il sesso è associato a un corpo perfetto ed è difficile accettare che anche qualcuno un po’ storto, con una muscolatura poco sviluppata, senza gambe, voglia avere una vera vita sessuale».
Nel film, che viene proiettato ancora in circuiti di settore ma che meriterebbe un vero palcoscenico televisivo, parlano decine di persone, uomini e donne, etero e omosessuali. Valentina Boscolo di Chioggia: «Nessuno mi considerava come ipotetica fidanzata ma solo come un’amica in carrozzella. Magari io volevo una storia così, una botta e via, ma lui mi diceva: "No perché poi ti affezioni, ci soffri". Non lo sfiorava nemmeno l’idea che volessi divertirmi e basta». Oppure Antonino Aloisio di Catania: «Qualche ragazza che sarebbe venuta a letto con me l’ho pure trovata, ma mi diceva: "Basta che non ci facciamo vedere in giro insieme". Insomma, il giudizio degli altri era determinante». O Gabriele Viti di Cortona: «Vi diamo la salute, lo studio, forse il lavoro. Volete pure il sesso? Sono spastico e dalla mia bocca esce spesso la saliva. Questa cosa respinge e non è molto bella, effettivamente. Allora quando ero adolescente immaginavo quanto fosse bello baciare. Queste due lingue che si toccano e che si intrecciano. Ecco, per me baciare con la lingua voleva dire essere accettato». E Sofia Righetti di Bologna: «La carrozzina è una mia caratteristica, come gli occhi o il naso. Lui l’ho conosciuto in discoteca, ero sulla carrozzina, doveva essere una cosa da una botta e via e invece poi ci siamo conosciuti e piaciuti. Come succede a tutti, né più né meno».
A Tarek Ibrahim Fouad di Villongo sul lago d’Iseo successe nel bagno dei disabili: «Era una ragazza curiosa, voleva vedere se a un disabile funzionava e come. Fu una cosa così, solo di sesso. Poi ho conosciuto mia moglie, in discoteca. Lei ha notato prima me e poi la mia carrozzina. La prima volta l’abbiamo fatto in macchina, nella sua Punto. Ho capito che noi disabili dobbiamo uscire, prenderci la vita, non stare a piangerci addosso. Perché la vita è una sola e può essere bella anche se sei in carrozzina».
CHE FARE? Molti non hanno però la forza di Tarek, di Sofia o di Gabriele. Il problema non viene riconosciuto, le famiglie cercano spesso di soffocare queste pulsioni. La società non aiuta con il pudore, la morale, la religione, la paura del giudizio degli altri. Per fortuna c’è internet e per molti si apre la possibilità di incontri in chat o di contatto con il mondo della prostituzione che, anche se non risolve, certo può aiutare. Perché immaginiamo anche quanto sia difficile per un ragazzo che è sulla sedia a rotelle, che vive in casa con i genitori, frequentare una prostituta. I genitori non sanno che fare. Molti negano il problema, altri accompagnano i figli a questi incontri, altri ancora provvedono personalmente. Racconta Antonia Benasso, 83 anni, volontaria dell’Anfass (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale) di Pavia: «Ho fatto l’assistente sociale per tanti anni e ne ho viste di tutti i colori. Ci sono genitori disperati che aiutano i loro figli ad avere rapporti sessuali. C’era una nonna che a insaputa di sua figlia portava il nipote dalle prostitute. O alcune madri che mi confessavano, tra lacrime e senso di colpa, che avevano fatto direttamente sesso con il proprio figlio per calmarlo. Io rispondevo che era un bellissimo atto d’amore».
Bruno Tescari, storico militante radicale presidente della Lega Arcobaleno, morto un anno fa, aveva scritto un libro (Il Kamasabile, accesso al sesso) che è una raccolta di testimonianze. Illuminante in tal senso il racconto di Aldo, padre di un disabile psichico di 27 anni: «Un giorno, mentre mia moglie era fuori, l’altro mio figlio mi dice: "Vogliamo fare una prova? Troviamo una donna a pagamento che venga a casa". Leggo degli annunci su un giornale, le telefono, la vado a prendere e la porto a casa. Mio figlio l’avvicina e l’annusa. La donna ha preso una caramella dalla borsetta e gliela ha data, allora lui l’ha baciata sulla guancia. Lei l’ha portato nella stanza di sopra. Hanno chiuso la porta ma io guardavo dal buco della serratura. Lei s è spogliata completamente, mio figlio l’ha toccata dappertutto: seni, spalle, davanti, dietro. Ma lo faceva solo per vedere le differenze tra il corpo della donna e il proprio. Non hanno fatto niente, tanto che quella donna non voleva nemmeno essere pagata».
L’ASSISTENTE Quella dell’assistente sessuale è una battaglia per ora impossibile in Italia. Niente a che vedere con Svizzera, Paesi Bassi, Belgio, Germania, Svezia e Danimarca, dove questa figura esiste. Lì l’assistente sessuale è una/un terapeuta che deve seguire un corso di formazione, conoscere i vari tipi di disabilità e sapere come comportarsi. Deve avere un altro lavoro come principale fonte di reddito, non può incontrare lo stesso cliente più di due volte al mese e non può avere rapporti sessuali completi. Dunque: niente a che vedere con la prostituzione. Seppure in forme di welfare diverse, in questi paesi l’assistenza sessuale per uomini e donne disabili è gestita da associazioni che si occupano della formazione e della logistica.
In Italia tutto è di là da venire, ma ovviamente ci sono diverse persone che, per denaro, sono disposte ad andare con i disabili per il sesso. Racconta Alessandro, uomo tetraplegico di Roma con due lauree, in filosofia e teologia, e un tentativo fallito di diventare sacerdote, che ha trovato il suo angelo con cui fare l’amore: «Mi costa un po’ troppo, 200 euro ogni volta, mentre Mirella (nome della «sua» prostituta) con i normodotati prende solo 150 euro. Quando posso vado da lei, mi illumina la giornata, mi apre il mondo, mi fa sentire uguale agli altri e perfino bello, uno come me, che normalmente viene guardato quasi con fastidio».
Max Ulivieri è un blogger disabile sposato con Enza. Uno di quelli che sul web sta conducendo in modo molto determinato la battaglia per l’assistente sessuale: «Ovviamente la barriera culturale è enorme, ma mi chiedo: perché l’assistente che viene a lavarti va bene e quella che ti masturba no? Ditelo a quelli che magari non hanno le mani e che non hanno mai potuto toccarsi. E poi l’assistente sessuale non è una o uno con cui fai l’amore. È chi ti aiuta a scoprire la tua sessualità: ti tocca, ti accarezza, ti fa conoscere il tuo corpo. Mi ha scritto un ragazzo tetraplegico: "Non vorrei scopare. Mi basterebbe che una donna si mettesse nuda vicino a me e mi abbracciasse. Dopo, fumerei una sigaretta, felice e soddisfatto". Questa gente ha bisogno di scoprire aspetti del proprio corpo che magari ignora».
Debora Galli scrive nella sua tesi di laurea (con il professor Emmanuele Jannini dell’Università dell’Aquila, uno dei più conosciuti e preparati sessuologi italiani) dedicata a questo argomento: «La differenza tra assistenza e prostituzione sta nel fatto che gli assistenti sessuali sono professionalmente e umanamente preparati alle reali esigenze delle persone che hanno di fronte: non hanno come priorità assoluta la necessità di offrire rapporti sessuali completi e mettono al primo posto le persone». Dice Jannini: «La deriva verso la perfezione della sessualità catodica, plastica, rende ancora più difficile proporre l’idea del corpo deforme o alterato del portatore di handicap come soggetto sessuale, come persona che può essere soggetto od oggetto di attenzioni sessuali e quindi, se mai si riuscisse a vincere la battaglia dell’assistente sessuale, questa avrebbe una portata rivoluzionaria». Il problema non è l’atto sessuale, ma le barriere che ci sono prima. Fa notare Viti: «Nell’atto sessuale l’handicap sparisce. Se ti trovi a letto con qualcuno, vuol dire che già tante diffidenze sono cadute. Quindi entra in gioco il vero essere dei due. E qui comincia il bello».