Carmelo Abbate, Panorama 4/4/2013, 4 aprile 2013
ABILE AD AMARE (E A FARE L’AMORE)
Francesca ha 29 anni. Soffre di atrofia spinale, una patologia neuromuscolare che provoca un indebolimento generale di tutti i muscoli. Ha smesso di camminare all’età di sei anni, in prima elementare. Fisioterapia e massaggi quotidiani sono le sue uniche armi contro la malattia. Diploma al linguistico, qualche anno di giurisprudenza, poi un master ad Alessandria, oggi Francesca Penno è «counselor», un’operatrice del benessere che lavora sul potenziamento delle risorse della persona.
Handicap che parola è? Offensiva?
Preferisco essere definita persona con disabilità. Prima di tutto c’è la persona, con i suoi desideri, i suoi bisogni, la sua vita. E dopo con un determinato problema.
Che persona è?
Io sono Franci. In passato, quando chiamavo per esempio in università, mi presentavo: sono Francesca Penno, e per farmi identificare dicevo la ragazza in carrozzina. Poi al master, un bel giorno, ho telefonato a una mia docente: sono Francesca, quella bionda.
Chi è Franci?
Una persona con tanta energia e anche tante paure. Metto il cuore in tutto quello che faccio e quando voglio qualcosa ci provo fino all’ultimo.
E con quali difetti?
A volte sono troppo ansiosa, per esempio in questo periodo. Ho i miei momenti in cui sono arrabbiata con il mondo, e mi capita di prendermela con gli altri perché non mi capiscono. Ma alla fine la prima cosa da chiedersi è questa: io cosa faccio per gli altri? La tua femminilità, la tua sessualità, perché parlarne è tabù?
Per chi è tabù?
Per tutti. Io vivo la mia vita. E nella mia vita c’è anche la sessualità. Come nella sua vita, in quella di mia madre, mio padre e di tutti gli esseri viventi.
Forse ho capito, continui.
Io sono qui, con la mia vita, i miei bisogni, i pensieri, i desideri, le voglie. Non c’è nulla di diverso dai suoi. A parte, nel caso specifico, la diversità di genere. Le uniche differenze sono di natura pratica.
Cioè?
Da sola non riesco a spogliarmi. Se devo mettermi a letto, ho bisogno che qualcuno mi aiuti. Se devo togliermi pantaloni, mutande e reggiseno, mi serve una mano. Poi è la stessa cosa. Fra l’altro, per fortuna, la mia disabilità non mi toglie sensibilità, quindi...
È fidanzata?
Sono stata sette anni con un ragazzo senegalese.
Quando è finita?
L’anno scorso. Io ero vista come la disabile e lui come il badante che mi portava a fare la passeggiata. Siamo andati in vacanza al mare in Liguria e gli hanno chiesto se era il mio baby sitter. Lui ha detto che era mio marito e allora tutti hanno iniziato a chiamarmi signora.
Lei disabile, lui nero.
Io disabile, quindi l’angioletto, lui nero... E vai con le leggende. Alla fine c’era tanto amore e una vita e una sessualità normale, bella, piacevole.
Si guarda allo specchio?
Certo.
Che cosa le piace di lei?
Amo i miei capelli. Tagliarli è da sempre una sofferenza atroce.
Sotto i suoi capelli cosa vede?
(Pausa). Le parlo molto francamente, come non ho mai fatto neppure con la mia più cara amica. La cosa che più mi mette a disagio con gli uomini non è la carrozzina, ma il fatto di spogliarmi. Mi vergogno, ho avuto una operazione alla schiena per la scoliosi. E c’è una parte di me che odio.
Quale?
Il seno. Da una parte è più piccolo. Non credo si noti molto. Ma è così che mi vedo.
Quando un ragazzo le piace come si pone?
Per facilitare l’approccio uso la carrozzina manuale, è vista in maniera diversa, non so perché ma è così.
E l’abbigliamento?
Vesto sportiva, comoda, con abiti che non segnino troppo i difetti, jeans, look hippy, zingaresco, d’estate con le treccine fatte dalla mia amica senegalese.
Vanità?
Mi piace truccarmi, amo gli orecchini, ne ho 50 paia.
Il primo bacio?
A 16 anni, con un ragazzo di cui non ero innamorata. È stata una sfida, finalmente avevo una persona a cui piacevo. E tra le amiche ero tra le prime ad avere il fidanzato.
Cosa si portava dietro?
Insicurezza, rabbia. Per un paio di anni sono stata incazzata con il mondo. Andavo in giro con le amiche, che venivano guardate. Oppure incrociavamo qualcuno, una coppia, e partivano i commenti: guarda lui che bel ragazzo, sta con una che è un cesso. Io marcivo dentro. Pensavo: alla fine rimarrò sola. Avevo paura di restare sola.
Quindi con il primo ragazzo è stata quasi una rivalsa.
Il fatto che lui fosse molto innamorato mi faceva sentire potente. Io gli volevo un gran bene, però alla fine era un rapporto un po’ malato, perché giocavo troppo con queste cose. Lui si era fatto tatuare l’iniziale del mio nome. E invece io ero fiera di essere stata quella che lasciava e non veniva lasciata.
La prima volta è stata con lui?
Sì, dopo qualche mese. Ma non ho ricordi particolari. Siamo stati insieme per tre anni. Poi ho avuto qualche storia, un po’ di ragazzi a cui piacevo. Alcuni li ho fatti allontanare.
Perché?
Sono troppo gelosa, e non va bene.
Ha avuto grosse delusioni in amore?
Questa appena finita. Devastante. Sono arrivata quasi al punto di desiderare di morire. Dopo sette anni insieme, lui è andato in vacanza in Senegal e ha deciso di tornarci per sempre. Per me lui è stata la persona più importante della mia vita, dopo i miei genitori, e saperlo felice è la sola cosa che conta.
Nel suo futuro cosa vede? Famiglia, figli? Può avere figli?
Sì, non è semplice ma non impossibile. Dovrei stare a letto per tutta la gravidanza. E può portare a un peggioramento della malattia.
Un rischio che vuole correre?
Fio a poco tempo fa sì. Oggi non lo so, ci sono tanti bambini soli che soffrono e che non hanno una famiglia.
Che mamma sarebbe?
Una madre che cercherebbe di trasmettere la voglia di lottare per i propri sogni.
Che cosa sogna la notte?
Sogno tantissimo, qualsiasi cosa. Quando vado a dormire dico: chissà che film mi farò questa notte.
Me ne dice solo uno? Il primo che le viene in mente...
L’incontro con Fernando Alonso, che mi fa salire in macchina con lui. Sono appassionata di Formula uno.
Nel sogno è in carrozzina?
Senza carrozzina.
Che cosa significa?
Significa che mi vedo così, che mi sento così.
Che vorrebbe essere così?
Non lo so. Non riesco a immaginarmi senza carrozzina. Avrei paura. Sono cresciuta così, ho sempre vissuto così. Se qualcuno mi dicesse, tieni una pastiglia, prendila e camminerai, per me sarebbe uno shock. Non posso dire che non la prenderei, non lo so. Faccio fatica a pensarlo. La carrozzina a volte mi fa sentire soffocata, altre volte mi dico: meno male. Se non avessi avuto la carrozzina, non so chi sarei stata... Forse non sarei qua.
E dove sarebbe?
Nei sogni a occhi aperti mi vedo su un treno che parte all’avventura in giro per il mondo.
Lei fa parte di un comitato che si batte per l’introduzione della figura dell’assistente sessuale per i disabili. Che cos’è esattamente un assistente sessuale?
È una figura professionale, presente in molti paesi europei, che aiuta una persona con disabilità a vivere il proprio corpo e soddisfare i propri bisogni.
In cosa è diverso da un gigolò o una prostituta?
L’assistente non ha rapporti completi, non ci sono baci. Aiuta in modo professionale a soddisfare un bisogno fisico. Ci sono ragazzi con disabilità che non riescono a muoversi. Non riescono a masturbarsi. Anche le donne hanno lo stesso problema.
E come fa una persona disabile?
Durante uno dei nostri incontri, una mamma dietro le quinte ha raccontato di avere aiutato il figlio.
L’assistente sessuale serve per non essere costretti a tanto.
Tanto rispetto nei confronti di questa madre. E del figlio. Ma vivi già una situazione complicata e per soddisfare un bisogno naturale ti devi pure mettere in contesti imbarazzanti, spiacevoli. Non è giusto.
Lei ha mai fatto ricorso all’assistente sessuale?
No, ho sempre avuto la possibilità di soddisfare i miei bisogni.
Farebbe ricorso?
Perché no?
In certi momenti non è facile.
Lei può anche ricorrere alla masturbazione.
Esatto. Ma c’è chi è meno fortunato di me.
Che cosa mi devo portare da questo incontro?
Mi ha trasmesso la fiducia per mettermi a nudo e dire certe cose. Ciò che le vorrei lasciare è un momento di crescita reciproca.
Mentre Francesca posa per le foto di questo servizio la madre, sindaco di Felizzano, 2 mila abitanti in provincia di Alessandria, racconta al cronista del giorno in cui prese la figlia di sei anni sulle ginocchia per dirle più o meno questo: «Francesca, non potrai più camminare». E lei rispose: «Pace» con un leggero movimento della spalla.