Beppe Severgnini, Corriere della Sera 04/04/2013, 4 aprile 2013
LIBRAI INDIPENDENTI. REINVENTARE IL MESTIERE
Aprire un ristorante e gestire una libreria sono tentazioni dell’animo umano. Entrambe insidiose e affascinanti, ovviamente diverse. I libri non si mangiano, le pietanze non si conservano; e l’alimentazione digitale non è stata ancora inventata. Dietro le due attività c’è tuttavia una complessità spesso ignorata: approvvigionamenti, servizio, personale, ambiente, aggiornamento, capacità di intuire il gusto. La buona volontà non basta.
Un libraio non può non essere un lettore; un ristoratore deve saper mangiare (altrimenti non potrà apprezzare e aiutare lo chef). Ma bisogna imparare molte altre cose. Per questo esistono corsi di gestione del ristorante; e scuole per librai. I primi, diciamolo, vanno meglio.
Stanno per chiudersi (8 aprile) le iscrizioni al Corso di Alta Formazione in Gestione della Libreria della Scuola Librai Italiani: la settima edizione partirà il 6 maggio presso il Teatro dei Dioscuri di Roma. Le domande sono metà dell’anno scorso. È un delicato segnale d’incoscienza, non la prova di una crisi irreversibile della professione. Certo, le 2.500 librerie indipendenti affrontano concorrenti possenti: grandi catene, grande distribuzione, vendite online. Ma sono convinte di farcela, e hanno ragione. A una condizione.
Le librerie di domani non possono vendere solo libri ma, come spiega il vicentino Alberto Galla, presidente dell’Associazione Librai Italiani (Ali), «devono diventare luoghi dove si creano e si distribuiscono servizi immateriali in grado di migliorare la qualità della vita delle persone». Traduzione: luoghi dove la scuola, le imprese e le professioni incrociano le opere e gli autori, i lettori trovano scrittori e altri lettori, i bambini scovano libri interessanti (e un tappeto per sfogliarli in santa pace). Non è un’idea ingenua del futuro. È una strategia di sopravvivenza. L’alternativa è scomparire. Sta accadendo in America, che in queste faccende ci precede sempre. Nella parte centrale di Manhattan è rimasta solo la libreria Rizzoli. Il dio delle parole la conservi, ma non basta.
I librai italiani sanno i pericoli che corrono; ma non tutti, forse, hanno capito quant’è urgente reinventarsi il mestiere. Non c’è più margine di errore. Occorrono nuove tecniche commerciali e nuovi strumenti (quanti usano facebook e twitter per quanto valgono?). Occorre collaborazione tra librerie: il tempo dei solisti è finito. In Sardegna lo stanno facendo (bravi Aldo Addis & C!); ma non accade dovunque. Col nuovo libro ho girato quattordici regioni in sei mesi: lo so.
Editori e autori devono aiutare. L’editoria ricordi quanto è successo alla musica e alla cucina: la gente vuole conoscere/ascoltare musicisti e chef, in cambio offre attenzione e acquisti. Non dobbiamo vergognarci di offrirci ai lettori: sono i nostri padroni. Dobbiamo farlo con buonumore, buona organizzazione e buon senso. Incontri e presentazioni costano tempo e denaro. Non servono al nostro ego e al nostro rendiconto, ma a far girare pagine e parole.
Beppe Severgnini