Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 04/04/2013, 4 aprile 2013
MISTERO TRISTE A CINQUE STELLE
Tutti nemici, moltissimo onore? Dopo avere espresso il loro disprezzo per tutti i partiti («Noi vogliamo una cosa nuova. Una iper-democrazia senza i partiti. Che non contempla i partiti»: Beppe Grillo), per tutti i giornalisti italiani («Mi stanno tutti sul c...»: il capogruppo al Senato Vito Crimi), per tutti gli accordi («Noi non faremo mai accordi coi partiti»: la capogruppo alla Camera Roberta Lombardi), nel mirino dei pentastellati sono finiti tutti gli intellettuali.
«Abbiamo sottolineato che nel nostro Movimento non ci sono intellettuali», ha spiegato come se rivendicasse l’assenza di ladri o stupratori il portavoce a Montecitorio Enrico Massimo Baroni raccontando dell’incontro all’ambasciata americana, «E quando loro hanno citato il nome di Fo abbiamo fatto notare che non è un intellettuale perché ha scritto Mistero Buffo dove dà voce alla gente comune». Tesi interessante perché escluderebbe dalla repellente categoria Charles Dickens (scrisse dei bassifondi londinesi) o Victor Hugo (si occupò di miserabili) lasciando però un dubbio: e Montale, Sciascia, Calvino? Gente da evitare?
Ora, che si possano attaccare molti intellettuali è legittimo. Fu durissimo, tra gli altri, Indro Montanelli ricordando che «la cultura italiana è nata nel Palazzo e alla mensa del Principe, laico o ecclesiastico che fosse e non poteva essere altrimenti visto che il principe era, in un paese di analfabeti e quindi senza pubblico mercato il suo unico committente». Ma da qui a fare di ogni erba un fascio, ne corre. E sarebbe troppo facile ricordare i precedenti agghiaccianti di chi a destra e a sinistra mostrò lo stesso spregio sommario per gli intellettuali in quanto tali.
Dice Beppe Grillo: «Ma noi siamo boy scout, senza di noi verrebbero avanti le camicie brune!». È vero. Ed è giusto dargliene atto, in questi momenti di sbandamento, con sollievo. C’è però un abuso di manicheismi, insulti e giudizi sommari, nei dintorni del leader genovese, che offusca le buone ragioni e mette inquietudine. Di qua i buoni, di là i cattivi. Di qua «quelli con noi», di là «quelli contro di noi». Tra i quali è facilissimo scivolare agli occhi dei più accigliati guardiani della rivoluzione grillina alla prima perplessità o ironia che lasci uno schizzetto (si pensi a Fiorello) non sui bersagli soliti ma sulla purezza adamantina del Movimento.
È rischioso giocare con la parola «tutti». Ed è rischioso scommettere, come sembra fare il M5S anche al di là delle volontà dei singoli eletti e di tanti elettori, sui fallimenti altrui. Alla larga dall’idea delle virtù magiche e salvifiche di una alleanza che tenga dentro tutti meno il Grande Intruso. Anzi, potrebbe essere perfino una scelta pessima. Ma il punto non è questo: è che fare il tifo perché tutto si impantani e i «nemici» siano costretti a mettersi tutti insieme in una ammucchiata «inciucista» nella convinzione che finirebbe poi in una rissa disastrosa alla quale il Paese si ribellerebbe chiedendo d’essere salvato al Movimento 5 Stelle, è una brutta scommessa. Già vista, purtroppo, nella nostra storia. Dove spesso quei partiti detestati dai grillini, in nome del «tanto peggio tanto meglio», hanno badato agli interessi di bottega prima che a quelli dell’Italia. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Vogliamo ricominciare?
Gian Antonio Stella