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 2013  aprile 03 Mercoledì calendario

CINA PIÙ FREDDA CON L’ALLEATO, RAFFORZA I CONTATTI CON GLI USA

La Corea sta cominciando a bruciare anche se non è chiaro se il fuoco acceso oggi diventerà un incendio o si spegnerà in tempo. Pyongyang ieri ha infatti minacciato di riavviare il complesso nucleare di Yongbyon, chiuso nel 2007 nell’ambito di un accordo con Stati Uniti, Corea del Sud, Russia, Cina e Giappone in cambio di aiuti in ambito energetico. La minaccia è l’ultimo grave gesto di forza dopo un crescendo di provocazioni e di inasprimento della retorica bellica. Nei giorni scorsi il Nord aveva denunciato l’armistizio che ha messo fine alla guerra con il Sud nel 1953: a questo gli Usa hanno risposto mandando due B-2, bombardieri invisibili "stealth", a prendere parte alle esercitazioni congiunte con Seul.
La denuncia dell’armistizio è stata la reazione alle dure sanzioni Onu, per una prima volta concordate con la Cina, in seguito a un terzo esperimento nucleare di Pyongyang a febbraio. Questo test è stato l’inizio di tutto. La Cina non ha lesinato critiche e consigli a Pyongyang per cercare di farla desistere dalle sue intenzioni.
Ma qui c’era stata anche una rivoluzione copernicana nell’atteggiamento di Pechino verso il vecchio alleato. Dopo il test Pechino ha appoggiato sanzioni abbastanza dure e soprattutto ha cominciato ad applicarle severamente, controllando ogni merce che passa tra Cina e Nord Corea. La Cina è di fatto l’unico canale di logistica con la Nord Corea. Pechino ha poi mobilitato truppe al confine. Ciò non in preparazione di un’invasione, tanto più che la Cina ha sottolineato che l’armistizio è ancora in vigore. Ma la mobilitazione indica che Pechino comincia a considerare più seriamente la possibilità di un crollo del Nord.
In questo snodo quello che è cambiato rispetto al passato è la collaborazione sempre più stretta tra Pechino e Seul e - attraverso la Corea del Sud - anche con Washington. Tale collaborazione si è consolidata intorno alla contesa tra Cina e Giappone sulle isole Senkaku. Seul, che pure ha una contesa simile con Tokyo sulle isole Takeshima, si è schierata con Pechino.
Washington poi aveva indicato che una maggiore sintonia con Pechino sulla Nord Corea sarebbe stata utile a un riavvicinamento globale e a una minore opposizione alle posizioni cinesi sia sulle isole Senkaku, sia sulla spinosa questione del Mar cinese meridionale. Qui la Cina ha i nervi sempre più scoperti con le Filippine e il Vietnam, i quali contestano il possesso di isole che dominano un immenso tratto di mare.
In questo senso, oggi la Nord Corea diventa il vero snodo di rapporti multilaterali che dominano tutta l’Asia. Infatti, dopo una maggiore collaborazione cinese su Pyongyang, diplomatici giapponesi dichiarano in questi giorni l’inizio di un prudente disgelo politico con Pechino. Da qui, nel 1950 è infatti cominciata la guerra fredda e forse da qui potrebbe cominciare una nuova spaccatura mondiale oppure una grande pace che riporta insieme Cina e Usa e forma una nuova geografia politica dell’Asia-Pacifico. In tal senso sta lavorando attivamente la diplomazia americana.
Sempre il mese scorso, su Asia Times, l’ambasciatore Usa Joseph DeTrani, architetto dei colloqui a sei, ribadiva che l’impegno di Pechino su Pyongyang è cruciale per una soluzione pacifica della crisi.
Con tanta carne al fuoco però, la grande incognita è l’imprevedibilità della reazione nordcoreana. Qui però c’è la più grande novità. Finora il veto cinese su ogni intervento duro aveva dato a Pyongyang una sponda per la sua politica di tensione e ricatto. Oggi Pechino non ha reagito all’incursione dei B-2 americani: sembra quindi finita la prevenzione assoluta cinese a un cambiamento della situazione politica in Corea, è caduta l’idea strategica che aveva spinto Mao a intervenire in Corea. Allora c’era il timore di avere truppe Usa a ridosso del confine cinese, oggi questo non vale più. Sarebbe meglio che Pyongyang non crollasse, ma se anche così fosse, Pechino non si straccerebbe le vesti: sta alla Nord Corea decidere il proprio destino.