Ugo Bertone, Libero 3/4/2013, 3 aprile 2013
LA BORSA CONDANNA I CONTI MPS
La Consob è riuscita ad ingessare, con un colpo di bacchetta magica, l’Orso che stava dilaniando quel che resta di Monte Paschi. Fuor di metafora, nel primo pomeriggio, la Commissione ha fatto scattare la sospensione delle vendite allo scoperto sulla banca senese, precipitata del 10 per cento più (il peggior titolo bancario europeo) sotto la spinta delle brutte sorprese riservate dall’uovo di Pasqua senese: perdite per 3,17 miliardi che vanno a sommarsi ai 4,6 miliardi dell’esercizio a fine 2011. Alla fine, la perdita è stata ridimensionata: «solo» il 2,81% a quota 0,179. Ma più per l’assenza di munizioni (cioè di titoli da prendere a prestito per alimentare le vendite) che non per un’inversione degli umori. Com’è comprensibile, di fronte a un salasso in due anni superiore ai sette miliardi che conferma, al di là di qualsiasi dubbio, i peggiori sospetti sulla qualità della governance del carrozzone senese.
Al punto che la stessa, più che disgraziata, acquisizione di Banca Antonveneta non appare più la causa prima, se non unica, dei guai del Monte, ma un episodio, seppur rilevante, di un andazzo generale che chiama in causa responsabilità politiche, dentro e fuori Siena. Come rileva sul numero in uscita diBloomberg Markets lo stesso Davide Serra di Algebris, a suo tempo sprezzantemente giudicato da Pierluigi Bersani un «finanziere delle Cayman». «Lo scopo delle fondazioni – commenta – è quello di procurare posti di lavoro e prestiti in loco, oltre che di sponsorizzare operazioni che garantiscano consenso. A Siena, in particolare, è stato fondamentale detenere il controllo della banca per distribuire dividendi in sede locale e così comprare consenso per i politici».
Il sospetto dev’essere venuto anche agli analisti che, nei giorni di Pasqua, hanno passato ai raggi X il calvario dell’istituto sopravvissuto dal 1472 in poi a guerre, saccheggi, lanzichenecchi e pestilenze, ma finito in ginocchio in meno di vent’anni sotto le cure della Fondazione locale, espressione dei poteri forti locali. La perdita, pur enorme, è forse l’aspetto che ha impressionato di meno gli analisti di Exane, Kepler e di Deutsche Bank (istituto che, per la verità, presenta più di un incrocio pericoloso con il recente passato di Siena). Buona parte del rosso, infatti, dipende da svalutazioni per 1,6 miliardi, legate in buona parte ai cosiddetti beni intangibili, ovvero al valore del tutto spropositato che la vecchia dirigenza aveva attribuito all’avviamento di Antonveneta e di altre partecipazioni. Un tesoro di svariati miliardi, esistente solo sulla carta, che ha consentito per anni a Mps di chiudere con un utile fittizio e di distribuire così dividendi alla Fondazione, nel disinteresse generale. Ma queste cose, già note, erano comunque state digerite dalla comunità finanziaria che, a sorpresa, ha dovuto assimilare altre notizie inattese quanto indigeste.
La prima riguarda il cosiddetto «danno reputazionale» causato dallo scandalo derivati. La relazione di bilancio della banca informa che, dopo l’emersione delle operazioni Alaxandria, Santorini e altre simili, c’è stata una fuga di depositi per «alcuni miliardi» (la raccolta è calata del 5,7%). Rientreranno questi soldi? E a che prezzo? Di questi tempi, dopo lo shock della crisi di Cipro, che ha fortemente inciso sulla fiducia nella solidità dei depositi, la rocca di Siena non sembra il rifugio più affidabile. Anche per un portafoglio titoli più degno di un hedge fund che di una banca commerciale: su 38,4 miliardi, ben 26,4 sono parcheggiati in Btp, titolo ballerino di questi tempi. E meno male che, assicura l’ad Fabrizio Viola, oggi «il portafoglio finanza è proprio quello che risulta in bilancio». Per Siena è già un grosso passo in avanti. Altro punto oscuro, la qualità dei crediti: 17,3 miliardi di sofferenza, più del pil di Cipro...
Insomma, non c’è da stupirsi se Exane ha abbassato il target price di Siena del 44% a 10 centesimi. Con una considerazione elementare: Mps, data la situazione di partenza, non si libererà del debito nei confronti dello Stato (3,9 miliardi) prima del 2019. Cioè, fino a quella data non pagherà dividendo ai soci. Poco più clementi Kepler (per cui Mps vale 0,13 centesimi) e Deutsche Bank (0,15). Per tutti, insomma, il titolo deve scendere ancora. E la finzione del prestito, che non sarà rimborsato prima di sei anni, è in pratica una nazionalizzazione mascherata, senza i benefici di un intervento pubblico e senza far pagare ai vertici della Fondazione il prezzo della loro inettitudine.