Giordano Tedoldi, Libero 3/4/2013, 3 aprile 2013
L’HAMBURGER A 90 CENTESIMI
Chissà se davvero McDonald’s ha le «patatine fritte più buone del mondo», come dichiarò in un’intervista Philip Roth, confessando spesso di usarne le toilette all’odor di ammoniaca senza consumare nulla e, soprattutto, elogiandolo perché «è un caffè per i poveri, gli anziani e i soli e come tale assolve a un’ammirevole funzione sociale». Ma può darsi che sia per restare all’altezza di quell’ammirevole funzione che la più famosa multinazionale del panino ha deciso di abbassare il prezzo del suo hamburger classico da un euro a novanta centesimi.
La ricetta resta invariata: pane, hamburger di carne bovina, cetriolo, cipolle, senape e ketchup; il prezzo, che era fisso a un euro dal 2004, scende di dieci centesimi perché, dichiara un comunicato di McDonald’s: «In un momento difficile come quello che l’Italia sta attraversando, l’azienda ha deciso di dare un segnale molto concreto di vicinanza ai consumatori».
Un risparmio piccolo, ma simbolico: un pasto a meno di un euro. Così McDonald’s, che ha già resistito tenacemente alle mazzate micidiali degli irriducibili no global come dei profeti dello slow food e del cibo biologico, continua a accreditarsi come una mensa per i poveri ma senza la stagnante atmosfera di sciagura che alligna in quei luoghi.
Entriamo da McDonald’s e mangiando un panino con l’hamburger a meno di un euro, benché vittime dell’austerità più crudele, evitiamo di sentirci poveri, o perlomeno non è una povertà disonorevole, ma colorata e a strisce, come la giubba del pagliaccio Ronald, simbolo della corporation. Se siamo fortunati capitiamo in mezzo a una bella festa di compleanno di bambini schiamazzanti tra i palloncini, anche loro sistemati con una modica spesa per la gioia dei genitori. E finito il nostro hamburger a novanta cents, nessuno viene a importunarci se indugiamo seduti, con il bicchiere di Coca-Cola allungata di troppo ghiaccio davanti, perché ha ragione Roth: il povero, il solitario, quello che a casa sua, se ce l’ha, si sente a disagio, è esattamente il cliente ideale di McDonald’s, così come il riccastro ciarliero e sbruffone è accolto con ogni onore all’ingresso di certi rinomati ristoranti in cui il conto si avvicina alla prima rata dell’Imu sulla seconda casa. McDonald’s, il cui management evidentemente è di buone letture, è un posto «pulito, illuminato bene» come recita il titolo di un racconto di Hemingway, è un melting pot di etnie e religioni, di capi scoperti e donne col velo, tutti accomunati dalla diffidenza per il ristorante «caratteristico» o per quello «biologico», che per novanta centesimi non ti danno nemmeno un grissino, integrale o no.
Naturalmente anche il cibo di McDonald’s, come tutte le cose, fa male se consumato smodatamente. I suoi panini sono stati spesso messi sotto accusa come ipercalorici, ricchi di grassi e zuccheri, troppo salati, poveri di vitamine e fibre.
Di certo il menu non è dei più variegati e può destare qualche preoccupazione l’idea che, con l’ulteriore sconto sull’hamburger più venduto (McDonald’s dice il più «famoso», che sarà mai un panino famoso?) dopo il BigMac, ci sia chi possa pensare di risolvere il problema del pasto giornaliero servendosi sempre da McDonald’s.
Senza arrivare agli eccessi di Morgan Spurlock, l’americano che nel 2003 realizzò un documentario sul suo esperimento di mangiare tre volte al giorno da McDonald’s per trenta giorni (guadagnando undici chili e qualche problema al fegato), e anche mettendo in conto che in Europa non abbiamo una condizione di obesità diffusa come negli Stati Uniti, qualche timore è legittimo. Ci stiamo impoverendo, ma forse siamo ancora lontani dal momento in cui penseremo che mangiare sia solo riempirsi lo stomaco.
Forse possiamo ancora associare al cibo, oltre alla salute, il piacere, il gusto, la varietà, la scoperta, tutte cose che da McDonald’s, ci sia consentito, fanno difetto. Dunque avrà pure ragione Philip Roth, a incensare le toilette e i pasti economici, ma non vorremmo che qualcuno meno lucido di lui confondesse le due cose.