Francesco Mimmo, la Repubblica 3/4/2013, 3 aprile 2013
PISTACCHIO
Iperinflazione, svalutazione, disoccupazione e sanzioni dell’Occidente che bloccano il mercato del petrolio. L’Iran rischia la bancarotta e il regime degli ayatollah, a poco più di due mesi dalle elezioni, non si può permettere di perdere l’ultima battaglia: quella del pistacchio. È il frutto più amato del Paese che ne è anche il primo produttore mondiale. Gli iraniani ne vanno pazzi, ma negli ultimi mesi i prezzi sono saliti alle stelle e a Teheran il malumore è sfociato in una vera e propria protesta contro i rivenditori, accusati di nascondere quelle preziose piccole gemme per rivenderle all’estero e incassare valuta pregiata. Un boicottaggio, cominciato alla vigilia delle festività del capodanno iraniano a marzo. Una rivolta e una vera e propria grana per il governo, che ha deciso di intervenire. Prima bloccando i prezzi, poi con un bando per l’export. E ora assecondando il boicottaggio.
La guerra del pistacchio ha radici lontane. Come quelle del calendario persiano che fissa il Capodanno il 21 marzo. È la più grande festa del Paese e si celebra con montagne di frutta secca, pistacchi in particolare, da sgranocchiare. Ma quest’anno non è stato così facile. I prezzi sono più triplicati rispetto a un anno fa. Allora per comprare 500 grammi di pistacchio all’ingrosso bastavano 3,18 dollari. A gennaio ne servivano già più di dieci. Senza considerare che con la moneta locale che va a picco, per i produttori è decisamente più conveniente vendere all’estero.
E all’estero il pistacchio iraniano va fortissimo. D’altronde è quello più pregiato e con il gusto più intenso. In Iran si coltiva fin dal quinto secolo avanti Cristo. E in questi 2.500 anni l’Iran ha fatto in tempo a diventare il primo produttore mondiale primato sempre contestato dagli Stati Uniti, che lo reclamano con il 54% del mercato globale e un giro d’affari che sfiora il miliardo e mezzo di dollari. Il pistacchio iraniano piace agli occidentali, in Europa e in Israele, sfidato solo da quello della California. Ma i guai dell’Iran arrivano proprio dall’Occidente e dalle sanzioni imposte per il suo programma nucleare. Usa e Ue hanno stabilito pesanti sanzioni per fermare il mercato del petrolio e indurre il regime a una marcia indietro. Le sanzioni funzionano con il blocco delle transazioni bancarie. Blocco al quale sfugge però l’agricoltura, più difficile da controllare e per la quale l’Iran ha messo in atto dei veri e propri contratti di scambio merce. Nel 2012 l’export di prodotti agricoli è aumentato del 15%, quello del pistacchio in particolare del 100%, seguito solo dallo zafferano (+87%: 213 milioni di dollari in soli nove mesi). Vendere all’estero è diventato conveniente anche, forse soprattutto per la svalutazione del rial, la moneta iraniana, che per effetto delle sanzioni ha perso in un anno il 150% del proprio valore (il 40% solo a ottobre scorso). L’effetto della svalutazione è anche un’inflazione galoppante che ormai sfiora il 30%.
Il mercato del pistacchio non ne è rimasto indenne. Anzi secondo qualcuno il prezzo è salito così tanto da essere considerato a sua volta una causa d’inflazione. A gennaio il governo ha cercato di imporre un prezzo fisso, ma l’esperimento è fallito. Un mese dopo il vicepresidente Mohammed Raza Rahimi è andato in tv ad annunciare un bando dell’export. Misura poi non applicata per le proteste dei produttori che lamentavano un danno potenziale di 600 milioni di dollari. A marzo è arrivato il boicottaggio, tollerato forse addirittura suggerito dal governo. La stampa locale scrive di sms spediti da mittenti misteriosi per invitare a non comprare più pistacchi. Perché con le elezioni in vista (le presidenziali sono il 14 giugno) gli ayatollah non vogliono sfidare l’opinione pubblica. Almeno non per il pistacchio.