Bernardo Valli, la Repubblica 3/4/2013, 3 aprile 2013
NON SPARATE SU HOLLANDE IL LEADER NORMALE
LA DEMOCRAZIA d’opinione non si addice a François Hollande. Il settimo presidente della Quinta Repubblica è un politico dei tempi lunghi, dei compromessi, un pragmatico, di profilo basso, tenace nella semplicità non nell’aggressività che detesta. È un sovrano eletto che non alza la voce. Senza visibili capricci. Non si precipita a rispondere ai desideri immediati dei francesi, così come li rivelano i sondaggi. Cammina, non incede. I francesi l’hanno eletto poco meno di un anno fa come antidoto all’agitato Nicolas Sarkozy, ma adesso lo osservano perplessi.
Hollande non insegue, con rincorse populiste, come vorrebbe la democrazia d’opinione, gli ondeggianti umori del momento. È un personaggio da democrazia rappresentativa, fondata su una legittimità istituzionale, organizzata attorno a un’elezione stabilita da precise scadenze costituzionali. Una democrazia che dà e chiede tempo.
INSOMMA François Hollande non appartiene alla civiltà delle immagini; la comunicazione nel secolo della rapidità non gli viene naturale; non sa sceneggiare la sua cultura; non sa esibire la sua profonda conoscenza in vari campi, dall’economia alla società; né sa far brillare il suo equilibrio politico che molti prendono per incertezza. La sua indiscussa onestà, quella si è apprezzata. Ma fa parte della normalità. Hollande non dà soprattutto alla presidenza quella prestanza (panache) che i francesi detestano quando è eccessiva ma rimpiangono quando non c’è.
Questa natura, animata da rare virtù, costa cara. È il presidente meno popolare da mezzo secolo, da quando il capo dello Stato viene eletto in Francia a suffragio universale diretto. Secondo i canoni della democrazia d’opinione nessuno dei suoi sei predecessori (de Gaulle, Pompidou, Giscard d’Estaing, Mitterrand, Chirac, Sarkozy) è sceso tanto basso nei consensi. Fra poco trova il petrolio, dicono i comici. Un record negativo assoluto, nell’attesa che la democrazia rappresentativa si imponga, tra quattro anni, alla fine del mandato, quando si potrà fare un bilancio completo della presidenza. Ma quel futuro non è a portata di mano, è politicamente remoto. E c’è la crisi da superare e l’angoscia dei francesi che non ne vedono la fine e misurano ogni giorno l’aumento della disoccupazione. Per ora Hollande non suscita rancore, odio, rifiuto, ma delusione. Forse il peggiore dei sentimenti popolari nei confronti di un uomo di governo. Parla, agisce, ma è come se le sue parole non fossero incise e i suoi gesti non fossero ripresi.
Neppure un anno dopo la sua elezione, impallinare il presidente con critiche non sempre eleganti è una delle attività preferite dei media: dalla televisione a Internet, passando per i giornali di destra e di sinistra: i primi, quelli di destra, nostalgici di Sarkozy, sembrano spinti dal risentimento di chi si sente appena privato del potere da un usurpatore; i secondi sembrano convinti che il presidente socialista, il secondo dopo François Mitterrand, sia un’occasione perduta per la sinistra.
Credo che il dramma vada ridimensionato. Bisogna sfrondare l’attenzione ossessiva dedicata dai francesi al loro presidente, attenzione in cui si concentrano tutte le curiosità, e le passioni, disperse in una democrazia parlamentare tra diversi personaggi. E poiché lo spazio politico in cui si muovono i francesi è assai ridotto rispetto a quello degli Stati Uniti, dove campeggia un altro presidente eletto a suffragio universale, François Hollande, come i suoi predecessori, è sottoposto a una curiosità nazionale esasperata. Il terreno è relativamente piccolo, e il suo potere è grande. I riflettori che lo tallonano sembrano microscopi.
Egli appare un presidente anormale, proprio perché si è proposto di essere normale. All’inizio piaceva. Non esaltava ma rispetto a Sarkozy era un elemento di serietà. Anche tra gli amici c’era chi lo chiamava «petit bouchon» (piccolo tappo), oppure «capitaine de pèdalo» (capitano di pedalò) alla deriva. Titoli non troppo lusinghieri che riflettevano la nostalgia di quel «padre severo» che era François Mitterrand. Un comico popolare, Nicolas Canteloup, gioca sull’omonimia tra il nuovo Papa e il presidente francese. Entrambi si chiamano Francesco ed entrambi pregano affinché si realizzi un miracolo. Ed è chiaro che il presidente spera in una moltiplicazione dei consensi, oggi sotto il trenta per cento. Ma stenta ad essere esaudito poiché in un’elezione suppletiva, nel dipartimento dell’Oise (Piccardia), la candidata socialista è stata appena battuta al primo turno da un esponente del Front National. Brutto segnale.
Le preghiere del presidente François non sono state ascoltate neppure nel caso di Jérôme Cahuzac, uno dei più importanti ministri (del Bilancio) del governo socialista, costretto alle dimissioni perché titolare di conti bancari in Svizzera e a Singapore. Cahuzac, noto chirurgo estetico ed esperto economista, ha dapprima negato l’accusa anche in Parlamento. Il suo prestigio sembrava avvalorare la sua parola, ma ha mentito ai deputati e al capo dello Stato. Si è dimesso proclamando la sua innocenza. Ieri, però, ha confessato ai giudici di avere 600 mila euro all’estero. Un gesto che ha avuto l’effetto di una bomba tra i socialisti: Cahuzac, come ministro del Bilancio, aveva il compito di lottare contro la frode fiscale. Mentendo sul suo conto all’estero «con le più alte autorità del Paese — ha detto ieri Hollande — l’ex ministro ha commesso un imperdonabile errore morale. Per un responsabile politico — ha aggiunto — due virtù sono essenziali: l’esemplarità e la verità ». Uno scandalo che mette in serie difficoltà governo e presidente, senza contare il fatto che l’ex ministro del Bilancio era impegnato in una difficile operazione. Doveva ridurre la spesa pubblica (56,6% del Pil, con una media sotto il 50% nella zona euro), e quindi di ricondurre il deficit di bilancio al 3% entro il 2014, dopo che l’impegno per quest’anno era ormai saltato. Il ritardo nel mettere ordine nella contabilità nazionale pesa sull’impopolarità presidenziale.
Nella sua ultima intervista televisiva François Hollande ha illustrato con grande precisione le iniziative economiche prese dal governo per combattere la crisi. Lo ha fatto con la chiarezza di un grande esperto. Competente e minuzioso. Si è impegnato a combattere la disoccupazione (più del 10%) che scalfisce la sua immagine. Ma ha parlato come un buon ministro. Non come un presidente che secondo molti dovrebbe “culturalizzare” la crisi. Avrebbe dovuto spiegarne ai francesi le origini, la durata (che si protrae al di là delle sue stesse previsioni), e le ferite che essa infligge alla società. Non si fa di un gatto un cane, ha commentato un giornalista per sottolineare che François Hollande non poteva cambiare carattere, e quindi stile, durante una trasmissione televisiva. Benché durante tutta l’intervista avesse compiuto un grande sforzo, usando la prima persona, e quindi avesse compiuto un cambiamento notevole nel linguaggio, adottando l’“io” presidenziale, senza mai riferirsi al primo ministro, Jean-Marc Ayrault, dietro il quale era solito rifugiarsi.
Il presidente è stretto in una tenaglia. L’estrema sinistra di Jean-Luc Melenchon lo tratta da socialdemocratico al servizio delle banche; la destra nostalgica di Nicolas Sarkozy non esita a mobilitare le piazze per protestare contro il matrimonio gay, promessa elettorale che il Parlamento a maggioranza socialista sta concretizzando. L’intervento militare nel Mali, deciso con piglio insolito dal presidente, aveva smosso i consensi. I sondaggi avevano rilevato un fremito, a destra e a sinistra. Ma è stato un fenomeno passeggero. L’immagine del presidente guerriero non si addiceva a François Hollande. E proprio mentre sul palazzo dell’Eliseo soffiava un vento di guerra, che poteva ringagliardire la fama del padrone di casa, Nicolas Sarkozy ha pubblicamente affacciato l’idea di un suo possibile ritorno sulla ribalta politica. L’abbozzo di una sfida un anno dopo la sconfitta elettorale.
A sinistra la notizia è stata accolta con scetticismo. L’impopolarità di François Hollande non significa una ripresa della popolarità di Nicolas Sarkozy. A destra si sono accesi molti sorrisi, che nascondevano non poche smorfie. I candidati conservatori per le prossime presidenziali sono già in fila: in testa l’ex primo ministro François Fillon e il capo del partito UMP Jean François Copé. Il venerato, incensato Nicolas Sarkozy era dunque un guastafeste. A toglierlo di mezzo, almeno per un po’, ci ha pensato un giudice di Bordeaux, Jean Michel Gentil, che ha accusato l’ex presidente di circonvenzione di incapace, ai danni della miliardaria Bettencourt (Oreal), preziosa finanziatrice di campagne elettorali. Per l’occasione François Hollande è stato fedele a se stesso. È stato garbato. Non aggressivo. Non ha infierito contro il vecchio avversario. Gli ha riconosciuto la presunzione di innocenza. Un presidente forse troppo normale, ma anche per bene.