Margaret Talbot, Vanity Fair 3/4/2013, 3 aprile 2013
16 ANNI, TRANS
Per uno studente al penultimo anno di liceo come Skylar, che vive in un ricco quartiere residenziale, ha genitori che stravedono per i figli, frequenta ottime scuole con buoni voti e si dedica ad attività extrascolastiche, la parte più difficile dell’iscrizione all’università potrebbe essere il tema di presentazione. In cui bisogna raccontare un’esperienza fondamentale della propria vita e, se l’infanzia è stata benedetta dall’assenza di traumi, si rischia il blocco dello scrittore. Ma questo non è stato il caso di Skylar.
Skylar è un ragazzo, anche se è nato femmina, ed è vissuto come tale fino all’età di quattordici anni. Ma è convinto che, nonostante i caratteri biologici, lui sia sempre stato un maschio. La natura gli aveva imposto un corpo che aveva bisogno di adattamenti medici e chirurgici per rispecchiare il suo vero sesso. A sedici anni iniziò una cura a base di iniezioni di testosterone ogni due settimane e poco prima del diciassettesimo compleanno, si sottopose a un’operazione di doppia mastectomia. Il suo tema di presentazione per la University of Chicago, richiedeva di descrivere la «nemesi personale (reale o immaginaria)». La risposta di Skylar è stata: «Idee preconcette sul significato di avere due cromosomi X». Indipendentemente da quanto la gente vedeva quando lo guardava, lui sapeva di «essere quanto di più lontano potesse esistere da una ragazza».
Skylar è un transgender donna-uomo, o per usare un termine tecnico un «FtM» (Female to Male), un transessuale gino-androide, una categoria la cui visibilità è aumentata negli ultimi anni. In passato, le donne che desideravano vivere come maschi di rado ricercavano l’intervento chirurgico, in parte perché riuscivano a «camuffarsi» in pubblico con estrema facilità. Oggi esiste una voglia di trasformazione più completa. Skylar ha intrapreso una cura ormonale e si è sottoposto a una mastectomia a un’età precoce rispetto a quanto sarebbe stato possibile anche solo un decennio fa. Nelle sue nuove sembianze, non si cruccia affatto di apparire come un maschio convenzionale. Come molti «trans» della sua generazione, è a proprio agio con l’aura di ambiguità di genere che lo avvolge e per il momento non sente la necessità di sembrare, come dice lui, un «macho» e non sa ancora se deciderà per la ricostruzione genitale, tra qualche anno.
Abita in un’opulenta cittadina tra i boschi di New Haven, un’enclave liberai dove nessuno ha mai sfidato sul serio la sua scelta di cambiare sesso. Ne ha parlato nel tema di presentazione, in cui racconta che i compagni di classe continuavano a dirgli: «Questa è la vera essenza di ciò che sei, Skylar. Non puoi lontanamente pensare di affrontare l’iscrizione senza che l’argomento non venga a galla. È il lasciapassare per l’università dei tuoi sogni». Ma molti ragazzi trans non se la stanno passando affatto bene. Oggetto di bullismo a scuola, sono rifiutati dalle loro famiglie e relegati a vivere vite marginali, se non addirittura disperate. Gli adolescenti che si identificano nella categoria dei transgender corrono un rischio più alto di depressione e suicidio. La storia lineare di Skylar sta però diventando sempre più comune. I genitori del ceto medio tendono a lasciarsi coinvolgere dal percorso di crescita personale dei propri figli e spesso si fanno paladini dell’idea che un «intervento precoce» sia il rimedio migliore per tutti i tipi di condizione. Numerosi psicoterapisti hanno iniziato a usare il termine transgender anche con i giovanissimi, categoria che pochi clinici delle passate generazioni avrebbero mai impiegato. La chirurgia plastica, i tatuaggi e i piercing hanno familiarizzato agli interventi sul corpo, e quindi la riassegnazione di genere nella tarda infanzia potrebbe non sembrare più così estrema. Il cambiamento che sta avvenendo in fretta è al centro di un’attenzione mediatica prevalentemente positiva, ma è difficile capire la portata di un esperimento sociale cosi radicale.
La transessualità ha sostituito l’omosessualità come ultima frontiera della battaglia per i diritti civili, e gli attivisti trans hanno fatto sentire sempre di più la loro voce e si sono organizzati. Alice Dreger, docente di Bioetica e Storia della scienza alla Northwestern University, afferma: «La disponibilità degli interventi e la visibilità della comunità trans stanno aiutando un numero maggiore di persone a considerarsi transgender a un’età sempre più bassa». Un ragazzino che non abbia mai incontrato altri giovani transgender può con estrema facilità reperire informazioni grazie alla cultura pop e ai social media, con personaggi come quelli di Glee e Degrassi, oppure su Internet, in siti come Tumblr e Listserv, o grazie a migliaia di video su YouTube, dove è registrata la transizione di genere dei teenager. Immagini sfocate riprese da webcam in scantinati, in camerette tappezzate di poster o dove regna un’adolescenziale confusione, tutto questo rappresenta una realtà variegata fatta di diari personali, manuali di istruzioni, video musicali e veri e propri manifesti.
La primavera scorsa, Stephen, figlio di Warren Beatty e Annette Bening, nato con il nome di Kathlyn, ha catalizzato l’attenzione con la pubblicazione di un video girato per il sito We Happy Trans. Stephen, allora ventenne e studente del secondo anno al Sarah Lawrence College, spiegò di aver intrapreso la propria «transizione sociale» all’età di quattordici anni, adottando un nuovo nome e frequentando una scuola maschile. Il suo monologo è intelligente, eccentrico. «Mi definisco un trans, una reginetta dei froci, un omosessuale, uno dell’altra sponda, uno scrittore, un artista.. ». Nel video rivela di aver iniziato la terapia ormonale mentre agli occhi degli altri si presentava in modo «decisamente femminile. È bello quando puoi rendere intelligibile la tua identità».
Internet e il fatto che ci siano risorse a portata di mano hanno contribuito alla decisione di Skylar di cambiar sesso. Alle elementari era un maschiaccio, con i capelli biondo scuro molto corti e indossava polo e pantaloni militari (Uso il maschile anche per il giovane Skylar, non conosco il suo nome precedente, è l’unica scheggia del passato che si è rifiutato di condividere con me). Alle medie, durante gli intervalli si aggirava con i ragazzi che giocavano una versione reale dei loro videogame preferiti, anche se aveva parecchie amiche del cuore. I camerieri e i commessi dei negozi spesso lo scambiavano per un ragazzo e fu ben presto evidente ai suoi genitori. Melissa e Chip, che il figlio non aveva alcuna intenzione di rettificare l’errore.
I genitori di Skylar non appartengono a quel genere di persone che disapprovano una figlia poco femminile. Chip è un elegante consulente informatico laureato a Yale, mentre Melissa ha una laurea in Scienze forestali e dirige un’organizzazione no profit coinvolta nel patrimonio ambientale. Hanno divorziato quando Skylar aveva nove anni e, nonostante la separazione dolorosa, Melissa e Chip sono rimasti molto uniti come genitori, condividendo una gioiosa fiducia nei confronti di Skylar e della sorella più grande, Dakota, ora studentessa del secondo anno al Pomona College. «Skylar non si è mai messo una gonna», ricorda Melissa. «Ma io non avevo intenzione di obbligare uno dei miei figli a fare qualcosa che lo rendesse infelice».
Grazie a questo atteggiamento e al fatto che le ragazzine possono permettersi di fare i maschiacci, a differenza dei bambini effeminati, Skylar non ha mai avuto problemi alle elementari. A parte un episodio a scuola, quando un prestigiatore aveva invitato i ragazzi a proporsi come volontari. Skylar aveva alzato la mano e fu scelto. «I miei compagni iniziarono a urlare "No! No! Lei è una ragazza!"» Più tardi, lo psicologo scolastico volle fare quattro chiacchiere con lui. «Ai tempi mi sentivo un po’ confuso quando qualcuno non si rivolgeva a me come a un ragazzo. L’avrei menato, ma ero troppo pacifista. Forse provavo fastidio nei confronti della gente, ma che ci potevo fare? La mia immagine fisica era qualcosa di cui non ero del tutto consapevole».
La pubertà complicò un po’ le cose. «Quando il corpo comincia a cambiare, è strano per tutti», afferma Skylar. «Ma la sensazione non era quella giusta. Mi sentivo come uno che andava in giro con un abito che non poteva togliersi». Siamo seduti nel salotto della casa paterna, Skylar è in tuta, ha una frangetta disordinata, sorriso smagliante e simpatiche fossette, all’orecchio ha un piccolo diamante e ai polsi dei bracciali di gomma.
Il testosterone gli ha abbassato la voce di un’ottava. Parla lentamente. Non ha le variazioni di tono tipiche di una ragazza, né picchi nella parte finale delle frasi. A un certo punto gli chiedo quanto è alto. «Tra l’uno e sessantanove e l’uno e settanta. Devo ancora decidere se posso dire di essere uno e settanta». Quello che ho davanti è un ragazzino bello come il cantante di una boy-band, un po’ nerd, e senza tanti rimorsi.
A tredici anni, Skylar stava sfogliando il catalogo online della libreria Barnes & Noble quando si imbatté nel romanzo per giovani adulti intitolato Parrotfish di Ellen Wittlinger, che, assieme a Luna e I Am J, rappresenta un punto di riferimento per i giovani trans. Parrotfish narra la storia di Grady, nato con il nome di Angela, che a pagina 9 si rende conto che «dentro al corpo di questa strana ragazza fuori posto si nasconde l’anima di un comunissimo e normalissimo ragazzo». Fu in quel momento che Skylar venne folgorato dalla consapevolezza. Alcuni mesi più tardi e dopo intense ricerche su Internet, disse a Melissa e Chip di essere trans.
La verità è che avrebbe voluto intraprendere la terapia a base di testosterone da subito: desiderava che gli crescesse la barba e voleva avere una voce più profonda e una struttura più mascolina. Melissa e Chip rimasero ad ascoltare, ma temporeggiarono, avevano bisogno di tempo per considerare le conseguenze. «Skylar è stato molto paziente con noi e ci ha consentito di interiorizzare la notizia e sostenerlo», confessa la madre. «Non è semplice valutare una cura ormonale, ci sono in ballo cambiamenti psicologici permanenti. Volevamo essere sicuri. Lui lo era, nonostante i suoi quattordici anni».
Skylar ebbe alcuni colloqui con un assistente sociale a New Haven, che lavorava con adolescenti transgender. Alla fine, gli venne rilasciato un certificato in cui si attestava una «disforia di genere», ma che godeva di un’ottima salute mentale. Questo tipo di certificato è richiesto dagli endocrinologi prima di iniziare la somministrazione delle cure ormonali del caso.
Poche settimane dopo l’inizio della prima liceo, Skylar annunciò la sua identità maschile con la creazione di una pagina Facebook in cui rendeva pubblici il nuovo sesso e il nuovo nome. Le reazioni furono nella norma, a volte entusiaste. Di certo non lo hanno scalfito, alla fine è un tipo tranquillo, frequenta un liceo pubblico dove gli studenti più bravi sono rispettati sia dai professori sia dai compagni. Ci fu un po’ di imbarazzo su quale bagno avrebbe dovuto usare: all’inizio gli fu concesso l’accesso a quelli dell’ufficio del preside e nell’infermeria, ma quando lui decise per il bagno dei ragazzi, nessuno ebbe nulla da dire e la storia finì lì.
In una città vicina, Skylar riuscì a scovare un gruppo di supporto per adolescenti transgender. Nato nel 2008 con solo due membri, aveva una mailing list di sessanta utenti registrati e alle riunioni c’era una quindicina di persone. Era stato organizzato anche un gruppo distinto per i genitori, fratelli e sorelle e uno per ragazzi sotto i dodici anni.
Il leader del gruppo è Tony Ferraiolo, un corpulento cinquantenne dalla barba folta, testa rasata e avambracci tatuati come quelli di Braccio di Ferro. Di giorno fa il supervisore di 30 dipendenti in una fabbrica di interruttori e sensori. Tony è nato donna e ha cambiato sesso all’età di ventidue anni.
Il gruppo, che si riuniva ogni tre settimane, era composto soprattutto da «FtM», ragazze che desideravano intraprendere il percorso di transizione da femmina a maschio. Molti dei partecipanti avevano adottato nuovi nomi e usavano i pronomi del genere corrispondente, ma pochi avevano intrapreso la cura ormonale o il percorso chirurgico. Alcuni avevano vissuto sulla propria pelle episodi di ostilità, altri erano andati a letto con fidanzate o fidanzati, mentre altri ancora non erano affatto sicuri del proprio orientamento. Skylar disse che usciva con i ragazzi. In passato, un percorso simile sarebbe stato insolito: un individuo «FtM», all’inizio si identifica come lesbica per arrivare a essere un uomo etero. Tuttavia, il percorso desiderato da Skylar, ovvero da ragazza a ragazzo gay, era meno insolito. Lui considerava il proprio orientamento sessuale un aspetto secondario rispetto all’identità di genere. «L’intera questione della sessualità non mi è mai sembrata un grosso problema», mi spiega. «Non mi sono mai dichiarato gay a nessuno. A volte dimentico che il coming out è ancora un problema scottante. Non ho preconcetti sul fatto che io un giorno possa stare con una ragazza, ma è più probabile che ciò succeda con un ragazzo». Negli ambienti trans, è un dato di fatto che l’orientamento sessuale e l’identità di genere siano due questioni distinte. Skylar non sembra ancora preoccupato della propria sessualità, e non lo è sua madre. Melissa mi rassicura: «Sarà complicato, ma sono sicura che ci sarà qualcuno che riuscirà ad amarlo».
Numerosi membri adulti del gruppo di Tony, compresi Chip, Melissa e il suo nuovo marito Roger, sono diventati sostenitori dei giovani trans. Ma alcuni genitori non si azzardano ad avvicinarsi al gruppo e mandano un amico o un parente ad accompagnare i figli alle riunioni. In alcune famiglie è solo un genitore ad approvare il cambio di sesso, e molti matrimoni naufragano durante il percorso. C’è stata una ragazza del gruppo che, dopo aver iniziato la transizione, ha assistito al divorzio dei genitori, in seguito al quale il padre ha dichiarato di essere egli stesso un transgender.
Tony racconta ai genitori: «Dovete ascoltare i vostri figli, sostenerli e stimolarli a essere ciò che desiderano essere». Allo stesso tempo gli preme ricordare agli adolescenti: «Quando siete nati, vi hanno tenuto in braccio e hanno sviluppato dei sogni nei vostri confronti. Non hanno certo detto: "Oh, guarda la mia bella figlioletta. Un giorno sarà mio figlio!"».
Lo scorso aprile Skylar ha condiviso la grande notizia con il gruppo: nove giorni prima aveva fatto l’operazione di mastectomia per rimuovere il seno e mascolinizzare il torace. L’endocrinologo e lo psicoterapeuta gli avevano consigliato un chirurgo plastico di nome Melissa Johnson, a Springfield, nel Massachusetts, che operava pazienti minorenni. Quando l’applauso del gruppo è finito, Skylar è stato investito da una raffica di domande: aveva provato molto dolore quando si era risvegliato dall’operazione? Che sensazione davano i tubi di drenaggio inseriti dopo? Era emozionato? In realtà, gli erano bastate alcune compresse di idrocodone il giorno dopo l’intervento e si era molto distratto grazie alla visione di tre stagioni di fila di Buffy l’ammazzavampiri. Non vedeva l’ora di andare in spiaggia con addosso solo il costume e una maglia da surf (per un anno ancora doveva proteggere la cicatrice dal sole). Dopo, sarebbe andato a torso nudo.
«Lo capisco», ha commentato Tony. «È bellissimo non dover più indossare una maglietta sopra l’altra, per nascondere tutto». Skylar non ha potuto sollevare più di cinque chili per sei settimane dopo l’operazione, ma ha reclutato dei compagni di classe per farsi trasportare lo zaino, e la cosa non gli è dispiaciuta affatto.
Melissa mi ha raccontato di aver avuto qualche incertezza all’inizio. Ricorda bene il giorno in cui Skylar le chiese di acquistare una maglietta di tessuto elasticizzato per appiattire il seno. «Per me è stato straziante», sottolinea. «Mi ero resa conto che non amava il suo corpo. Noi donne cresciamo schiacciate da aspettative su come sarà il nostro aspetto, il nostro peso e su quanto grosso sarà il nostro seno. Ho visto molte donne mutilare il corpo nel tentativo di conformarsi a questi standard. La sola idea mi fa rabbrividire». Ora però Melissa considera la sua reazione del tutto inappropriata. «Avrei voluto dirgli quanto fossi rattristata dal fatto che non si accettasse, e tante altre cose, però non mi rendevo davvero conto di quanto la sua identità interiore non fosse affatto in linea con il suo aspetto».
La scorsa primavera, quando chiesi a Chip come si era sentito quando Skylar chiese di sottoporsi all’intervento chirurgico, mi disse: «Cerco di non guardarmi indietro. Per esperienza personale, credo, perché se lo facessi starei malissimo. Mi limito a dirmi di togliere lo specchietto retrovisore e buttarlo via perché se non lo facessi, non riuscirei mai a raggiungere la meta che mi sono prefissato. Per quanto riguarda Skylar, ho fatto la stessa cosa. Questo è ciò che vuole. Non è nella mia natura desiderare che lui sia in un determinato modo. Ma talvolta si viene colti da un dubbio che ti spinge a immaginare che un giorno forse penserà: "Non avrei dovuto farlo, avrei potuto vivere come un uomo anche senza intervento"».
Sicuro di aver preso la decisione giusta, una cosa rimasta ancora irrisolta è la questione che riguarda se presentarsi come «Skylar, il ragazzo trans» o come «Skylar, il ragazzo». Da tempo è evidente che desidera presentarsi come Skylar, il ragazzo, iniziare l’università come uno senza una complicata storia di genere alle spalle e non essere sempre coinvolto come portavoce dell’esperienza trans. Tuttavia, non ritiene che vivere «come se nulla fosse» sia del tutto giusto o desiderabile. In contesti più intimi non sarebbe nemmeno possibile, dato che solo la parte superiore del corpo è stata ricostruita. E si sente anche in obbligo di continuare a parlare del suo essere trans: ai giornalisti, ai dirigenti scolastici, ai giovani curiosi, alle conferenze. In questo periodo c’è molta pressione nei confronti del coming out, della presa di possesso della propria identità e della dichiarazione al mondo, con orgoglio.
Questo modo di pensare ha sostenuto la scelta di Skylar sulla mastectomia. Sono infatti possibili due approcci: un’operazione che lascia cicatrici e una che non lascia segni, ma che potrebbe richiedere un secondo intervento. Ha deciso per la prima soluzione. «Le cicatrici rimarranno lì per sempre, quasi a riprova di quanto ho passato», mi ha spiegato. «Perché non avere qualcosa da mostrare?». Questa è stata l’unica decisione dalla quale sua madre ha tentato di dissuaderlo.
La storia abbonda di esempi di uomini e donne che si sono vestiti con gli indumenti dell’altro sesso, e senza alcun dubbio alcuni di loro avrebbero volentieri ricesellato il proprio corpo, se ne avessero avuto la possibilità. Prima del XX secolo, ciò non era possibile. Verso il 1910, scienziati tedeschi e austriaci iniziarono a provare a cambiare il sesso degli animali. Nel 1931, a Berlino, un cameriere tedesco di nome Rudolf Richter si sottopose all’intervento di riassegnazione chirurgica del sesso diventando Dora. Quello stesso anno, Einar Wegener, un artista danese che fece numerose operazioni per diventare Lili Elbe, morì dopo un intervento fallito per ricreare gli organi genitali femminili. Nel 1949, lo psichiatra americano David Cauldwell usò per la prima volta il termine «transessuale» per descrivere una persona così estranea al suo genere biologico da desiderare di cambiarlo. L’endocrinologo Harry Benjamin fu il primo a sottrarre l’«insoddisfazione di genere» all’ambito psicoanalitico – dove veniva diagnosticata come un disturbo sessuale (curabile con la forza di volontà e la psicoterapia) – e a ricondurlo al problema di essere nato nel corpo sbagliato (curabile con gli ormoni e la chirurgia). Molti transgender si ribellarono di fronte a chi li descriveva come «malati»: se l’omosessualità già nel 1973 era stata eliminata dalla lista dei disturbi mentali, non vedevano perché non dovesse essere rimosso anche il «disturbo di genere». E infatti, in un nuovo manuale, in uscita a maggio, si parla per la prima volta di disforia di genere una più blanda forma di disagio rispetto al proprio sesso biologico.
I primi interventi si rivolgevano soprattutto a ex uomini che volevano vivere il resto della propria esistenza come donne, accettando le conseguenze del ruolo femminile tradizionale. Il caso opposto – donne che volevano diventare uomini – era assai più raro, anche perché le tecniche chirurgiche a loro disposizione erano meno complete. Ancora oggi, mentre le transessuali «MtF» scelgono spesso di far ricostruire una vagina attraverso una tecnica di «rovesciamento del pene», sono pochi i transessuali «FtM» che fanno ricorso alla falloplastica, cioè alla «creazione» di un pene, che oltretutto costa dieci volte tanto. «Creare una vagina», dice il chirurgo Daniel Medalie, «è più facile che creare un pene funzionante. Togliere è più semplice che aggiungere».
La vera novità è che a cambiare genere sono, oggi, anche i bambini di età prescolare. Migliaia di adolescenti americani prendono ormoni che inibiscono la pubertà – la crescita del seno e il ciclo mestruale, o il pomo d’Adamo e la barba – in attesa di decidere per un intervento farmacologico o chirurgico per cambiare sesso. E i numeri crescono a causa dell’esposizione mediatica. Il caso più clamoroso è stato quello di Jazz, nato bambino e andato in Tv a 6 anni con il lucidalabbra e tutte le fattezze di una bambina, spiegando che «nella mia testa sono sempre stato così».
Gli studi, però, sottolineano che di 100 bambini affetti da disforia di genere solo 15 continuano a soffrirne da adolescenti e adulti: molto più frequente è il caso in cui l’adolescente diventa semplicemente gay, o bisessuale. In altre parole, molti bambini che dicono di avere «il corpo sbagliato» stanno in realtà solo faticando ad accettare la propria omosessualità. Walter Meyer, un endocrinologo dell’infanzia che prescrive spesso ormoni per inibire la pubertà e «dare più tempo» ai presunti transgender, spinge i genitori a non arrivare precipitosamente all’idea «mio figlio è transgender» semplicemente perché si tratta di una bambina che gioca come un ragazzaccio, o di un bambino che adora le bambole. «Capisco che l’ambiguità sia stressante per i genitori», dice, «ma io suggerisco: aspettate prima di decidere, nella maggior parte dei casi il bambino, una volta cresciuto, non sceglierà di cambiare sesso».
«Non conosciamo gli effetti a lungo termine degli inibitori della pubertà sulle funzioni cerebrali, o sullo sviluppo delle ossa: non è detto che si tratti di terapie innocue», dice Eli Coleman, psicologo esperto in assistenza ai transgender. Alice Dreger, bioetica, è ancora più critica sul ricorso precoce agli ormoni e alla chirurgia: «Non si tratta di interventi banali. Come minimo cancelli per sempre la fertilità. Ed è giusto intervenire in modo irreversibile? Come fa un bambino a sapere chi è, quando non ha ancora un’attività sessuale? Non voglio offendere i transgender veri e propri, ma non possiamo procedere semplicemente perché a una femminuccia piace tirare con l’arco. Nell’asilo di mio figlio, che a tre anni credeva di essere un treno, nessuno gli ha detto: è vero, sei un treno. E qualche anno più tardi ha espresso il desiderio di studiare per diventare ingegnere ferroviario».
Sarah Hoffman, di San Francisco, ha un figlio, Sam, che porta i capelli lunghi. All’asilo, gli piaceva vestirsi da principessa. Ora invece gioca con i Lego e i Pokemon, ma al tempo stesso adora l’opera, e detesta lo sport. Non per questo rinuncia a considerarsi un maschietto. Ma quando a scuola è stato oggetto di atti di bullismo, il preside ha detto ai genitori che sarebbe stato più salutare per Sam scegliere a quale genere appartenere: tagliare i capelli e buttare le Crocs rosa e accettare la sua mascolinità, oppure fare il grande passo e presentarsi come bambina. Sarah si è rifiutata di spingere suo figlio a fare una scelta che chiaramente non ritiene necessaria. Molti genitori, però, avvertono la pressione sociale di evitare ai loro figli il disagio di attraversare la pubertà «nel corpo sbagliato». E, forse anche, preferiscono una certezza scomoda a un’ambiguità estenuante.
Catherine Tuerk, un’infermiera che ha aperto un centro di assistenza per i bambini «incerti», mi ha mostrato una sua foto a nove anni: era il classico maschiaccio, con i capelli corti, la passione per lo sport, gli stivali da cowboy e la netta voglia di «fare il maschio». Oggi è una donna eterosessuale, felicemente sposata e madre, e si chiede: «Se fossi nata ora, mi spingerebbero a cambiare sesso?». Studi recenti sottolineano come il cervello dell’adolescente sia ancora in formazione, guidato dall’impulso più che dalla capacità critica di scegliere. Non a caso i minori criminali vengono puniti in modo diverso: perché allora fidarsi delle dichiarazioni di identità sessuale di un bambino?
Il percorso chirurgico, poi, presenta implicazioni psicologiche da non sottovalutare. Le numerose testimonianze su Youtube parlano del disagio e il senso di colpa di chi, avendo ormai l’aspetto del genere «di arrivo», può clandestinamente passare per una donna (o un uomo) anche se, geneticamente, non lo è. Spesso i ragazzi discutono le difficoltà della vita sentimentale: un trans «FtM» si lamenta della dilagante voracità sessuale che lo obbliga a mostrare i genitali prima ancora di aver conosciuto davvero una ragazza. E poi ci sono i pregiudizi interni alla categoria transgender. Un gruppo online raccoglie i trans «FtM» rifiutati dalla «comunità» perché non vanno in palestra, non amano i videogiochi, non pensano solo al sesso, e disegnano ancora cuori nel diario; insomma, non sono mascolini.
Skylar oggi frequenta l’università a Chicago. A cena con lui e i genitori, lo trovo più rilassato rispetto ai nostri primi incontri. La madre esprime una sola preoccupazione, sulle limitazioni ai viaggi: «Se vai in Cina e ti fermano alla frontiera e il tuo passaporto non corrisponde a quello che sembri, come si fa?».
Ma non sono solo problemi. L’anno scorso, al ballo di fine anno, il liceo ha lanciato il solito concorso per l’elezione della reginetta e del re, ma lo ha corretto in modo da aprirlo anche ai «né maschio né femmina». Skylar, in completo e cravatta, si è presentato con Julia, la sua amica del cuore, una ragazza che deve ancora decidere a quale genere appartiene, e che è arrivata con gli occhiali a specchio da aviatore.
Hanno vinto loro, e sono stati premiati con le due coroncine uguali di plastica. «Sono orgoglioso che una cosa del genere sia successa nella mia scuola», dice Skylar. Che dopo il ballo ha passato giorni a evitare la corte delle studentesse.
(traduzione Saulo Bianco)