Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 03/04/2013, 3 aprile 2013
LA GAFFE TEDESCA SUI FINANZIAMENTI
Mentre l’Europa e la sua moneta, per la crisi bancaria cipriota, vivono momenti cruciali, l’Italia è senza un governo legittimato dal voto: quello uscente, indebolito dalla «salita in campo», pare dover reggere il timone ancora un po’. Arriviamo dunque poco attrezzati a un momento storico: l’euro nasce davvero solo ora, questo è il doloroso travaglio del suo parto. Le decisioni che ora verranno prese, o non prese, segneranno la storia per decenni.
La soluzione pasticciata raggiunta alfine per Cipro somiglia a quella della crisi con l’India. Dopo aver fatto vedere al mondo l’abisso con il venir meno della garanzia dei depositi sotto 100 mila euro, si è tornati indietro. Se per i marò abbiamo perso credibilità, qui dimentichiamo che i risparmiatori sono uno strano animale: memoria d’elefante, zampe di lepre, cuore di coniglio.
Va dunque subito rivista la decisione, presa per assorbire le diffidenze nordiche, di partire sì con l’unione bancaria, ma rinviando a tempi più quieti l’avvio dell’assicurazione comune sui depositi dell’eurozona. Se non si vuole precipitare una crisi dalle proporzioni fin troppo prevedibili, questa deve partire al più presto. Altro che tempi più quieti, chi rimanda ancora corteggia il disastro!
In tale quadro si segnalano due affermazioni contrastanti, una di Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale, e l’altra di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, la banca centrale tedesca: esse segnano nettamente sul terreno le linee della battaglia. Per Weidmann (Financial Times di ieri) è logico che le Pmi (Piccole e medie imprese) dei Paesi in recessione paghino tassi d’interesse più alti del 3-4% rispetto al Nord: «Un Paese in profonda recessione ha costi di finanziamento diversi da un altro che è quasi al pieno impiego. Non ogni differenza di tale tipo indica il bisogno di azione politica. Sono piuttosto scettico sul fatto che potremmo o dovremmo usare strumenti di politica monetaria per attutire le differenti condizioni di finanziamento delle Pmi in alcuni Paesi».
C’è da restare sbalorditi, qualunque studente del primo anno di economia lo sa: in un Paese in recessione i tassi d’interesse devono essere inferiori, non superiori, a quelli di uno in sviluppo. Eppure Weidmann arriva a dire il contrario; è giusto che le nostre imprese paghino il denaro (in un Paese in dura e prolungata recessione) ben più che in una Germania in crescita. È arduo, davanti a simili parole, continuare a non vedere del metodo in tale follia. Scopo della Bce è difendere il potere d’acquisto dell’euro e la stabilità dei prezzi trasmettendo in tutta l’eurozona la sua politica monetaria; Weidmann pare trascurarlo, forse per strappare l’applauso alla tribuna, poco versata in politica monetaria ma attenta alla politica tout court, per la quale gli spreconi immorali del Sud vanno messi in riga.
Ben diverse le parole di Blanchard, il quale (Il Sole 24 Ore, 28 marzo) ricorda che la Bce punta a un’inflazione nel complesso dell’eurozona poco sotto il 2%. Ne discende che se Paesi come l’Italia per acquisire competitività devono tenerla ben sotto il 2%, Paesi come la Germania devono avere inflazione ben sopra il 2%, cosa della quale, dice soave, i tedeschi non si rendono ben conto.
In settembre si vota in Germania, ma presto potremmo tornarci anche noi, meglio non scherzare con il fuoco. Deve uscire un euro sano e robusto, non un corpicino che durerebbe poco, e male. È un peccato che il professor Monti non veda l’ora di andarsene: questo è il tempo di far sentire la forza, se non di un troppo fragile Paese, della ragione.
Salvatore Bragantini