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 2013  aprile 03 Mercoledì calendario

RANGOON, DAMASCO: SOGNI DI LIBERTA’ CON I NUOVI GIORNALI

Cosa hanno in comune Siria e Birmania, un Paese che affonda nella guerra civile e uno che esce dalla dittatura? Oltre al sangue versato, li unisce un filo d’inchiostro fresco. Come si dirà in birmano «That’s the press, baby»? Nella terra di Aung San Suu Kyi, dopo mezzo secolo di monopolio statale, dal primo di aprile sono tornate a girare le rotative della libera stampa: nell’era di Internet, donne «strillone» che percorrono sorridendo le strade di Rangoon con pigne di giornali in testa sono la fotografia più immediata del nuovo corso. Mentre tra le rovine del regno di Bashar Assad comincia a circolare un nuovo settimanale (si chiama Sham) che vuole raccontare la guerra (udite udite) con obiettività: «Dobbiamo uscire dalla fase Facebook della rivolta», dice al New York Times Absi Smesem, 46 anni, direttore di Sham (un modo per dire Siria), capelli brizzolati e sigaretta in bocca un po’ come il Bogart dell’«Ultima minaccia» con il suo celeberrimo «È la stampa, bellezza».
Ma cosa c’è dopo la «fase Facebook» di una rivolta? Twitter? Una tv tutta notizie? Una nuova stretta repressiva come sta accadendo in altri teatri di primavere arabe? No. Dopo Facebook c’è la carta stampata. Secondo Smesem l’informazione polarizzata che passa dai social media non è sufficiente per raccontare la crisi: «Non ci sono fonti obiettive né sul fronte governativo né su quello dei ribelli». Canali tv come Al Jazeera e Al Arabiya hanno perso molti punti contando troppo sulle notizie (a volte false) degli attivisti e blogger anti Assad: «In questo modo il regime guadagna credibilità». Sham ha 16 pagine e 15 reporter sotto pseudonimo (alcuni dipendenti governativi). Certo, la redazione e la tipografia dicono da che parte sta il giornale: oltre il confine con la Turchia, ad Antakya, zona pro-opposizione. Ma il direttore dice di aver ricevuto critiche dure dai ribelli (in particolare i fondamentalisti) che lo attaccano perché il giornale riporta anche la voce del regime di Damasco. Sham «tira» appena 6 mila copie, 4 mila distribuite gratis in territorio siriano. Più che un fiume è un rivolo d’inchiostro (che arriva dalla Sham News Network, centro di ricerca fondato da un esule siriano con fondi privati). Ma non è l’unico: altri fogli (più schierati: Siria Libera, Brigate, il Califfato) sono nati e vengono distribuiti soprattutto nelle zone del Nord, da oltre un anno campo di battaglia tra ribelli e governativi. Un rivolo, se pensiamo ai circa 600 milioni di giornali distribuiti ogni giorno nel mondo (oltre 110 milioni soltanto in India).
Secondo l’ultimo rapporto dell’autorevole Freedom House, solo il 14,5% degli esseri umani vive in Paesi che godono di libera stampa. Tra i Paesi che su questo cammino hanno fatto i maggiori passi avanti ci sono Tonga, il Togo, la Sierra Leone, la Libia, la Thailandia e soprattutto la Birmania. L’India, dove secondo Freedom House la stampa cresce ma resta solo parzialmente libera, è il Paese che registra l’aumento più consistente di copie vendute (con la diffusione di Internet al 4%). Profumo (anche minimo) di libertà, profumo di inchiostro? Ci crede Khin Maung Lay, neodirettore di «Terra Fresca Dorata», uno dei 4 nuovi quotidiani birmani (un altro, «L’Unione», appartiene al partito di governo). Si vendono a 150-200 kyat (circa 15 centesimi di euro). Khin, che ha ingaggiato giovani reporter cresciuti a riso, Facebook e regime, ha fatto in tempo a conoscere i giornali. Ha 81 anni.
Michele Farina