Sergio Rizzo, Corriere della Sera 03/04/2013, 3 aprile 2013
ARRETRATI E INTERESSI, UNA CORSA CHE VALE 557 MILA EURO ALL’ORA —
Sedicesimi in Europa per crescita del debito pubblico, siamo invece primi nella classifica dei ritardatari nei pagamenti ai fornitori. Messi insieme, i due dati denunciano che il nostro Stato scarica sulle imprese le proprie difficoltà di bilancio. Non da ieri, ma sistematicamente da almeno una decina d’anni. Il primo vero grido di dolore della Confindustria risale infatti al 2003, e se nel 2008 la presidente degli industriali Emma Marcegaglia lamentava che «spesso i pagamenti avvengono a 350 giorni di tempo», oggi si è arrivati nella sanità a sfiorare gli 800 giorni. Da allora, dunque, le cose sono andate sempre peggio: basta ricordare che se il ritardo medio dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione era nel 2009 di 138 giorni, all’inizio del 2013 ha superato il tetto dei 180. Ecco come si spiega che il debito del pubblico verso le imprese fornitrici abbia raggiunto la spaventosa somma di 91 miliardi, il 5,8% del Pil. Quella cifra, secondo uno studio della Confartigianato, cresce con la velocità di 557.300 euro all’ora, 9.288 al minuto, 155 al secondo. Quasi metà, 44 miliardi, riguarda il capitolo sanità, cioè quello per il quale si registrano i maggiori ritardi, e ben 11 miliardi dei 91 complessivi, pari al 12,1%, sono stati già scontati pro soluto presso le banche. Le quali vantano perciò crediti per analogo ammontare verso il settore pubblico.
Dice ancora la Confartigianato che fra il 2010 e il 2011 il debito delle amministrazioni statali e locali nei confronti delle imprese è aumentato per le sole spese correnti, escludendo quindi gli investimenti, di 4 miliardi 882 milioni, passando da 62,4 a 67,3 miliardi. La crescita è stata del 7,8%. Nello stesso periodo l’esposizione dello Stato greco verso le imprese è invece diminuita di 5 miliardi 161 milioni calando da 7,7 a 2,6 miliardi, mentre a sua volta quella della Spagna passava da 17,2 a 15 miliardi, riducendosi di 2 miliardi 185 milioni.
Nessuno stupore, allora, per il fatto che il ritardo medio dei pagamenti, calcolato in 180 giorni dell’associazione degli artigiani sulla base dei dati di Intrum justitia, multinazionale specializzata nel recupero dei crediti, sia superiore a quello di Grecia (174 giorni), Spagna (160) e Portogallo (139). Ma anche di Cipro (83 giorni), Belgio (73), Slovacchia (62), Ungheria (57), Lituania (56) e Bulgaria (52). Per non parlare dell’avvilente paragone con Paesi quali Francia (65 giorni), Regno Unito (43) e Germania (36). Inutile precisare che il contributo dei ritardi italiani risulta determinante nel far salire la media europea a 76 giorni, mentre secondo una recente direttiva non dovrebbe superare il limite massimo di un mese.
E c’è di più. I ritardi mostruosi della pubblica amministrazione, oltre a risultare di pessimo esempio anche per i comportamenti fra privati, dove non a caso si è registrato un corrispondente allungamento dei tempi di pagamento, si riflettono a cascata su tutto il sistema produttivo. Soprattutto nel momento in cui le banche stringono i cordoni della borsa. Secondo lo studio della Confartigianato il settore delle costruzioni è nella situazione più grave, con un’esposizione finanziaria che ha ormai raggiunto il 179,6% del valore aggiunto. Mentre ai subfornitori delle imprese che vendono beni e servizi alla pubblica amministrazione i soldi arrivano, se va bene, dopo 96 giorni: 40 in più rispetto alla media dell’Unione Europea.
Sergio Rizzo