Luca Beatrice, il Giornale 2/4/2013, 2 aprile 2013
NELL’EPOCA DEL POP-PORNO ANCHE L’ARTE DIVENTA SEXY
Un’orecchiabile canzoncina segna, nel 2008, il debutto del duo leccese Il Genio. Pop Porno, questo il titolo, racconta di una ragazza che si lamenta perché il suo partner, evidentemente insoddisfatto della qualità dei rapporti, si sveglia di notte per guardare film hard, vorrebbe che lei fosse un’attrice, fino a concludere in maniera consolatoria «ma quando viene sera tu mi parli d’amore e guardandomi negli occhi mi fai sentire davvero una donna un po’ porno».
Siamo in effetti nell’epoca dell’esplosione definitiva del porno. Sulla questione si confrontano sociologi e storici anche in Italia, e il primo a dedicarvi un saggio esaustivo è Pietro Adamo, docente di Storia moderna ed esperto in cultura politica, con l’ampio Il porno di massa (2004). Nel 2010 il giovane filosofo Simone Regazzoni, che già aveva studiato fenomeni come Harry Potter e serial tv come Dr House e Lost, pubblica Pornosofia, ovvero la filosofia del pop porno. Un testo scomodo ed eretico che gli vale la scomunica dell’Università Cattolica di Milano: dopo l’uscita del libro non gli rinnova il contratto di docente o, più prosaicamente, lo caccia. Persino il filosofo di maggior successo dell’era contemporanea, Zygmunt Bauman oggi teorizza sul corpo nel recentissimo pamphlet Gli usi postmoderni del sesso, in un ambito di mercificazione dei rapporti, spiegando che a causa di troppa libertà sessuale siamo piombati nell’insicurezza. [...] In uno dei passaggi più interessanti, Regazzoni si pone la solita annosa domanda: qual è la differenza tra un oggetto meramente pornografico e qualcosa che aspiri alla dignità dell’arte? Il confine è ancora una volta sottilissimo. «Se un gallerista come Larry Gagosian decidesse di esporre dei video di Sasha Grey come Pop Porno Art, Sasha Gray si trasformerebbe in un’artista da porre accanto a Bill Viola o Damien Hirst». È dunque una questione di cornice e di contesto, a ribadire che il porno è davvero l’ultimo ready made dell’arte contemporanea, rafforzando l’ipotesi che se L’origine du monde invece che nelle sale della vecchia stazione d’Orsay riconvertita in un museo d’arte da Gae Aulenti, venuta a mancare alla fine del novembre 2012, fosse esposto in un bordello, probabilmente non staremmo a parlare di uno dei quadri più importanti dell’Ottocento. Regazzoni ricorda la dichiarazione di Moana Pozzi: «Anche usando la fica si può essere artista», e non è escluso che la compianta pornodiva, peraltro assidua frequentatrice di mostre e biennali, nell’affermare queste parole alludesse a Vagina Painting della giapponese Shigeko Kubota (classe 1937), personaggio di spicco del movimento Fluxus, che nel luglio 1965 aveva inscenato a New York una performance dove dipingeva, accucciata a terra, con un pennello inserito nell’organo sessuale. Rispetto alla demonizzazione moralistica dell’hardcore, ossessione più delle femministe che della cultura cattolica, la pornofilosofia smonta la teoria negativa sulla donna-oggetto. La conseguenza di tale rilettura si estende anche nell’arte, dove per secoli la figura femminile è stata al centro della rappresentazione in migliaia di dipinti, disegni e sculture, riprodotta secondo il punto di vista e la mano maschile. Dagli anni Ottanta in poi, da quando il porno ha vissuto l’era dell’abbondanza e nel mondo dell’arte si sono moltiplicate le presenze femminili, si è imposta una visione del tutto differente: nasce una nuova generazione di studiose e pornodive femministe, sale la produzione e il consumo della pornografia da parte delle donne e per le donne. Attrici come Sasha Grey, Ovidie, Jenna Jameson, Moana Pozzi dicono la loro contro la visione patriarcale e maschilista sulla sessualità, spiegando ciascuna con il proprio linguaggio che il raggiungimento del piacere è necessità paritetica e comunque non solo appannaggio dell’uomo.
Eppure l’argomento continua a essere tabù, o quanto meno subordinato alla visione punitiva vetero-femminista della pornografia come sfruttamento e umiliazione della donna. Anticipata da polemiche, l’uscita di Vagina. A New Biography (2012), il nuovo saggio di Naomi Wolf, scrittrice e attivista politica, considerato il manifesto del femminismo della terza ondata. Il testo si basa su studi neuroscientifici che aggiornano la comprensione del desiderio sessuale, dell’eccitazione e dell’orgasmo femminile, risultanti dal collegamento tra corpo e mente. Secondo la Wolf, conoscenza è potere, e dunque anche la pornografia può portare effetti positivi. Rispetto al femminismo storico quello attuale rischia l’intorpidimento: «Germaine Greer ha esplorato il rapporto tra biologia e cultura nella sua opera L’eunuco femmina, tema sul quale è tornata nel 1970 in un articolo intitolato Lady, Love Your Cunt. Judy Chicago ha creato il suo controverso Dinner Party, un’opera d’arte che rappresentava donne famose nell’archetipo di diverse immagini della vagina. L’attivista lesbica Tee Corinne ha realizzato un libro d’immagini della vagina da colorare; Betty Dodson ha girato dei filmati in cui erano presentati vari tipi di vulva e veniva insegnato alle donne a masturbarsi; Shere Hite ha sostenuto con insistenza che il modello freudiano del coito vaginale non era sufficiente a soddisfare due terzi delle donne. E una generazione di attiviste sul fronte della salute e della sessualità delle donne ha generato delle rivoluzioni nei campi dell’educazione sessuale, dei diritti delle donne in materia di riproduzione e dell’accesso a informazioni sul desiderio e piacere».