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 2013  aprile 03 Mercoledì calendario

ALLA MOSTRA DEI CARI ESTINTI C’E’ ANCHE IL GENERE UMANO

E se sparissimo tutti? Domanda perfida, in tempi grami come questi, ma la sezione messa in piedi dal Museo di storia naturale di Londra gioca volutamente con paure neanche tanto recondite. Nella mostra dedicata all’ancora enigmatico processo delle estinzioni di massa ha deciso di esibire non solo le icone classiche - tipo i piccoli dodo e gli ingombranti dinosauri - ma anche di costringere i visitatori a interrogarsi sui destini dell’umanità. Se siamo qui grazie a un asteroide che (presumibilmente) spazzò via Tirannosauri e Triceratopi, aprendo le porte al dominio dei mammiferi, non è affatto detto che dureremo in eterno. Le leggi darwiniane potrebbero - prima o poi - eliminarci bruscamente per fare spazio ad altre creature più adatte alla Terra del futuro.

All’ingresso uno slogan ricorderà gelidamente, fino all’8 settembre, che «le estinzioni sono, come la morte, parte naturale della vita». Scopo dei curatori è evocare un dibattito che non riguarda unicamente biologi e paleontologi: che cosa sono davvero le estinzioni? Sono catastrofi evitabili o fasi necessarie, in cui l’evoluzione realizza esperimenti su larghissima scala? Di sicuro la Terra ha già sopportato cinque maxi-apocalissi e - secondo David Raup, professore alla Chicago University e considerato il «guru» sul tema - il 99% delle specie comparse sul pianeta sono già svanite, inghiottite da un passato che al massimo ne conserva qualche pallida traccia in remoti sedimenti. Cadute di meteoriti, eruzioni vulcaniche, ere glaciali e ripetuti sconvolgimenti geologici e climatici hanno contribuito a rimodellare la vita molte volte, aprendo nuove nicchie e sbarrandone altre, e oggi - nell’Era dell’Antropocene - una sesta estinzione incombe: su tutti gli organismi e sull’uomo stesso. Mai la biosfera è stata sottoposta a un attacco così aggressivo e accelerato. Cercando sempre nuovi spazi e inquinando terre, acque e atmosfera, l’umanità sta sterminando anche ciò che ancora non conosce e minaccia perfino se stessa. Con sconvolgente ottusità. Ci stiamo avvicinando al punto di non ritorno?

Di sicuro anche noi umani - nonostante i tentativi di sottrarci ai vincoli biologici - facciamo parte del Grande Gioco che ispirò a Charles Darwin la teoria che ne porta il nome. E così tra gli esemplari esibiti (tra cui un tonno, tristemente sospeso in aria, al di sopra della riproduzione gigante di una scatoletta) gli organizzatori provano a suscitare emozioni opposte. Non solo lo spavento che insegnano gli ecologisti, ma il senso di sorpresa dei naturalisti. Specie che sembravano condannate si sono riaffacciate sul teatro della vita. Per esempio il condor della California, l’orice d’Arabia e un tipo di cervo cinese noto come «di Padre David». E altre specie, addirittura, non sono mai uscite di scena, nonostante le apparenze. Come il Celacanto, il pesce che cominciò a nuotare nei mari primordiali del Devoniano, 390 milioni di anni fa. Si pensava che fosse scomparso nel Cretaceo e, invece, sfida il tempo e il «fossile vivente» più celebre continua a essere avvistato e studiato, dal Capo di Buona Speranza all’Oceano Indiano.

Se altri animali-simbolo - dalla tigre all’orango - sono ormai intrappolati su un crinale pericoloso, una sezione illustra i numerosi strumenti a disposizione per scongiurare disastri che la Natura non ha ancora messo in programma e, visti gli intenti didattici, la mostra si conclude con l’adrenalina di un videogioco. Protagonista è una creatura in stile Pac-man, buttata in un similmondo in perenne metamorfosi, tra ghiacciai che avanzano e retrocedono e violenti sbalzi delle temperature. Cibo e risorse sono limitate e il protagonista virtuale deve imparare a competere con gli altri organismi. Una serie di opzioni - i «gettoni dell’adattabilità» - consentono di evolvere particolari tratti per provare a sopravvivere più a lungo in un ambiente ostile. La metafora con il presente è esplicita e alla fine della visita la domanda delle domande, rivolta a una specie bambina come i Sapiens, in marcia da appena 200 mila anni, resta pericolosamente in sospeso: le estinzioni sono inevitabili oppure si può tentare di contrastarle?