Giulia Zonca, La Stampa 3/4/2013, 3 aprile 2013
ADDIO A MUIR LA BABY DEI RECORD REGINA A DISTANZA
Tutto quello che aveva era il cronometro: Karen Yvette Muir era la nuotatrice più forte negli Anni Sessanta ma non ha mai potuto dimostrarlo per colpa dell’apartheid: nata in Sudafrica nel 1956, è rimasta incastrata nel bando degli anni bui che l’hanno tagliata fuori dal mondo. Quindici primati mondiali e nemmeno un’Olimpiade. Ogni suo successo firmato a distanza.
È morta ieri, a 60 anni, dal 2009 lottava contro un cancro che lei stessa, diventata medico una volta uscita dalla piscina, aveva definito terminale. Comandava il tempo, lo sapeva fermare, anticipare e di certo si era accorta che stava per scadere. Lascia tanti risultati diventati importanti e un nome che nessuno conosce. Non era famosa, impossibile essere nascosti e noti in contemporanea. Muir ha scritto la storia da bambina, 12 anni, 10 mesi e 25 giorni per la precisione: era il primo agosto 1965, lei era a un campionato giovanile a Blackpool, in Inghilterra, giusto prima che le si chiudessero i confini, ma la competizione non pesava niente. Buffo che proprio all’estero abbia scritto il suo futuro: la campionessa destinata ad avere il cronometro come unico rivale. Ha nuotato le 110 yard in 1’08”7 ed è diventata il record più giovane della storia dello sport, titolo che le è rimasto addosso per tutta la vita.
Non si è fermata lì, era la regina del dorso, archiviate le yard (tramontate proprio con il suo nome) è passata ai 100 e 200 metri, la migliore anche lì e progrediva sempre, ogni vasca più veloce. Per quattro volte ha abbassato il record dei 200 dorso, per tre quello dei 100, l’ultimo (1’05”6, nel luglio del 1969) ha resistito fino all’arrivo della Germania dell’Est e senza il doping di stato avrebbe retto altri anni. Poteva aggredire unicamente i numeri e li faceva girare, delle avversarie sentiva solo parlare. Notizie lontane, sfide tra donne che non conosceva e che si contendevano l’oro con tempi molto più alti dei suoi. Non parlava di rimpianti, al massimo di sfortuna, ma non sembrava sconvolta e frustrata per i titoli mancati. Era come se per lei quelle stagioni passate a dominare il nuoto fossero una parentesi. I giornali sudafricani la descrivono come «incredibilmente timida». All’epoca di quel baby record, rimasto memorabile, era magrissima, non aveva idea di cosa fossero i muscoli e non possedeva una grande tecnica. L’avevano mandata in Inghilterra a fare esperienza, a imparare a virare e senza sapere come si era scoperta la più forte. I cronisti di allora scrissero che «si sarebbe facilmente presa l’oro dei Giochi 1968, che se lo sarebbe meritato», invece l’unico titolo concreto è stata la Hall of Fame. Riconosciuta nel 1980, ormai dottoressa, spesso in trasferta per ricerche. Lei che non ha potuto viaggiare con il nuoto lo ha fatto con la medicina.
Ha vinto 22 campionati sudafricani, li collezionava con entusiasmo e dopo il ritiro si interessava ai nuovi talenti: «era un faro», dice Ryk Neethling, sprinter di Bloemfontein, rivale di Magnini nelle stagioni delle vittorie mondiali, cresciuto con il mito di Karen Muir, come tutti i suoi connazionali. Era un esempio perché si era saputa imporre anche senza possibilità di confronto. Difficile tenersi in forma, allenarsi, faticare senza mai una sfida per stuzzicare l’agonismo e ritrovare la carica.
Raccontava poco di sé quando nuotava, meno quando ha smesso, le sembrava di aver fatto le cose importanti dopo, fuori dalla piscina. Forse, ma ha insegnato a una generazione di sportivi cosa vuol dire insistere. Senza gare importanti e con un talento straordinario che si è fatto strada da solo. Contro il tempo.