Fabio Martini, La Stampa 3/4/2013, 3 aprile 2013
DONNA E GARANTISTA, BONINO RIPROVA LA CORSA AL COLLE
Sul momento quel fuori onda spiazzò tutti. I resocontisti del Senato fecero finta di non aver sentito. Oggi, quel precedente prende sapore. È il 20 giugno 2012, Emma Bonino ha appena concluso un intervento nell’aula di palazzo Madama, pronunciandosi a favore della richiesta di arresto per il senatore del Pd Luigi Lusi, ma al tempo stesso scagliandosi contro «l’assenza dello Stato di diritto», «una giustizia al collasso», «l’abuso della carcerazione preventiva». Dallo scranno più alto il presidente del Senato Renato Schifani, non essendosi accorto che il microfono si era riacceso, commenta: «Brava!». Resterà l’ultimo, importante intervento di Emma Bonino in un’aula parlamentare, ma l’apprezzamento di un notabile berlusconiano e quello dei senatori di tutti i gruppi parlamentari - dal Pd al Pdl rappresenta uno dei segnali meno noti che potrebbero lanciare la Bonino nella corsa verso il Quirinale.
Certo, a prima vista può apparire paradossale che possa farcela una donna, una personalità senza un grosso partito alle spalle e che oltretutto neanche fa più parte del Parlamento. Lei, da parte sua, non sta brigando per caldeggiare le sua candidatura nel giro dei notabili, vecchi e nuovi, che alla fine decideranno la partita. E infatti Emma - con le sue giacche dai colori accesi - se ne sta al anche se a se stessa e a tutti quelli che le vogliono bene, chiede «low profile». Una prova? Il cortese rifiuto opposto qualche giorno fa a Daria Bignardi, che avrebbe voluto la Bonino alle sue «Invasioni barbariche». E la terza sorpresa è che la Bonino è stata e resta il candidato preferito dagli italiani per il Quirinale. Sorpresa perché se è comprensibile che i sondaggi la dessero in testa nel 1999, dopo una campagna martellante a suo favore, era difficile immaginare che quattordici anni dopo, così lontana dalla ribalta, la Bonino fosse ancora in testa. Secondo un recente sondaggio Ipr Marketing la Bonino riscuote il consenso più alto (per lei è il 32% degli interpellati), seguita a distanza da Mario Draghi (26%), e da Stefano Rodotà (19%).
Certo, perché l’operazione-Bonino diventi fattibile, si devono determinare condizioni oggi inesistenti, ma in attesa che il quadro parlamentare si chiarisca, Emma sta preparando la «chimica giusta». Puntando a trasformare a suo favore quelli che potrebbero apparire handicap: l’esser donna, la sua anti-partitocrazia mai volgare, il suo garantismo mai tralignato in ostilità alla magistratura.
Classe 1948, nata a Bra in provincia di Cuneo, figlia di un contadino, radicale dai vent’anni, eletta per la prima volta alla Camera quando ne aveva 28, una larga esperienza internazionale, Emma Bonino ha lottato per i diritti delle donne più deboli e più lontane, ma è sempre stata contro le quote rose, ripetendo: «Se le donne vogliono cambiare qualcosa, nessuno glielo concederà gratis». Ecco perché è risultata più forte la sua critica al Capo dello Stato per non aver compreso neppure una donna tra i «saggi»: «Su 60 milioni di italiani, non c’è una competenza al femminile? Una composizione che non rappresenta la società, ma la partitocrazia». Ecco, quella militanza anti-partitocratica potrebbe darle una spinta. Anche perché tra i notabili che decidono non è messa male. Per Bersani «Emma è una fuoriclasse», D’Alema la stima, Monti l’ha invitata al suo compleanno. Berlusconi, però, non la ama (ricambiato), ma ne conosce la passione per la «giustizia giusta». Ma se l’ascesa della Bonino si facesse fattibile, che farà Pannella? Pur non condividendo diverse scelte del leader radicale, con lui la Bonino ha sempre evitato scontri. E così, dopo aver osteggiato la decisione di Pannella di presentarsi alle elezioni, la Bonino ha acconsentito ad entrare nelle liste. Ad una condizione: che il suo nome fosse l’ultimo. Ovunque.