Mario Deaglio, La Stampa 3/4/2013, 3 aprile 2013
L’ECONOMIA SU UN SENTIERO PERICOLOSO
Ha ragione il presidente Napolitano a definire «surreale» l’atmosfera in cui si sta muovendo la politica italiana: nonostante gli sconvolgimenti elettorali e il profondo senso di disagio civile e sociale impietosamente messo in luce dai risultati delle urne, il mondo politico continua ad occuparsi soprattutto, se non esclusivamente, dei propri problemi interni. Appare sordo e cieco, o quanto meno largamente indifferente, ai segnali di grave pericolo che con sempre maggiore insistenza provengono dal mondo dell’economia. E non è certo che ai saggi - alcuni dei quali, assai poco saggiamente, si sono profusi in esternazioni pubbliche prima ancora di cominciare il proprio lavoro - siano chiare le dimensioni del problema economico-finanziario, la cui evoluzione non può non condizionare, in questo momento, le dimensioni di tipo giuridico-istituzionale.
Il mondo politico sembra essersi di fatto convinto - con un semplicismo sempre più diffuso - che, dopo la riunione del Consiglio europeo del 14-15 marzo, e l’annuncio del presidente del Consiglio della «probabile» (oggi meno di allora) prossima uscita dell’Italia in aprile dalla «procedura di deficit eccessivo», i vincoli alla spesa siano scomparsi.
In realtà, da Bruxelles si è avuto solo un esiguo allentamento di questi vincoli, secondo modalità ancora da definire. Il panorama del 2013 è invece ancora dominato dalla prospettiva di un aumento dell’Iva nel prossimo mese di luglio, oltre al nuovo gravame fiscale rappresentato dalla Tares di cui La Stampa ha fornito ieri un ampio resoconto. Continuiamo a rimanere sulla graticola, e, nonostante i buoni risultati di ieri, lo stallo politico ravviva un fuoco finanziario che sembrava prossimo a spegnersi ma continua a covare sotto la cenere.
Questa situazione non è frutto di qualche mente perversa nei palazzi europei del potere, anche se l’Unione Europea si è dimostrata per lo meno scandalosamente miope, come dimostrano le vicende cipriote: è invece la conseguenza di un programma di risanamento strutturale della finanza pubblica italiana, al quale si era impegnato il governo Berlusconi nell’agosto 2011, successivamente messo in pratica dal governo Monti per evitare una crisi finanziaria devastante e fulminante. Il giudizio sul debito pubblico italiano, preannunciato per i prossimi giorni dall’agenzia di rating Moody’s, ci ricorda che ci siamo certo allontanati dal baratro fiscale ma vi ci potremmo riavvicinare rapidamente.
Questa griglia finanziaria strettissima è il punto dal quale i saggi dovrebbero partire. Hanno davanti a sé due alternative: la prima è quella di cercare di aprire con l’Europa un nuovo negoziato sul rientro dal deficit, o quanto meno mirare a qualche ulteriore alleggerimento delle condizioni pattuite nell’agosto 2011. Proprio ieri, peraltro, la Commissione europea ha detto duramente di no all’estensione all’Italia dei margini temporali concessi alla Francia, un paese in cui le finanze pubbliche si stanno deteriorando rapidamente. Possiamo quindi realisticamente cercare di aumentare i nostri margini di manovra ma questo sarà possibile solo a piccole dosi e in modeste quantità.
La seconda alternativa è quella di mantenersi nel solco prefissato, eventualmente facendo miglior uso di alcune entrate pubbliche, come quelle derivanti dalla lotta all’evasione fiscale, destinandone una porzione maggiore a obiettivi di crescita o di riduzione delle imposte, e puntare l’attenzione sulla riorganizzazione dei servizi pubblici, finora appena sfiorata. Si potrebbe partire con mutamenti profondi nei meccanismi della burocrazia italiana che attualmente consentono solo molto lentamente di ripagare i debiti commerciali dell’amministrazione pubblica verso i fornitori. Potrebbe esserci anche spazio per una modestissima riduzione del carico fiscale in modo da non soffocare gli esigui, ma incoraggianti, segnali positivi sul fronte della produzione (cinque settori industriali con segnali positivi a gennaio) e dell’occupazione (cinquantamila occupati in più a febbraio, secondo i dati resi noti ieri).
Di tutto questo, nel dibattito in corso almeno apparentemente non si discute: si sottolineano problemi sociali che purtroppo tutti conoscono senza proporre alcuna realistica via d’uscita, si invocano «iniezioni di liquidità» trascurando che ogni vero aumento della liquidità non può che derivare dalla Banca centrale europea e che i pagamenti dei debiti pubblici verso le imprese fornitrici saranno impiegati, almeno all’inizio, per ridurre esposizioni insostenibili sia per le imprese sia per le banche e non si tradurranno in uno slancio a nuovi investimenti.
La nostra strada, insomma, continua a essere molto stretta oltre che largamente obbligata. Basterebbe un colpo di vento sui mercati finanziari a farci perdere l’equilibrio: già oggi, i 70-80 punti di maggiore spread accumulati nella fase postelettorale si traducono in svariati milioni al giorno di maggiori interessi. Questo costo occulto della politica è superiore alle economie programmate nel funzionamento delle Camere. Su questo stretto sentiero non servono geometrie politiche variabili, mentre possono risultare del tutto dannosi rinvii e polemiche. Di rinvii e di polemiche, purtroppo, in queste ore sembra esser costellato il panorama politico italiano: un panorama surreale come quello di un brutto sogno.