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 2013  aprile 02 Martedì calendario

IL LIBRO NERO DELLE VITTIME DI BEPPE GRILLO

Forse ai suoi adepti Beppe Grillo chiederà prima o poi di non celebrare più il proprio compleanno e di iniziare a festeggiare il non compleanno. Nel paese delle meraviglie fondato da Grillo e Casaleggio, infatti, si tende a definire le cose attraverso la negazione nominale delle medesime: il MoVimento è dunque un «non partito» strutturato sulla base di un «non statuto». Un modo di lanciare il sasso ritirando la mano, un espediente verbale che non muta la sostanza delle cose (il MoVimento rimane un partito, pur con caratteristiche particolari, e il suo «non statuto» è a tutti gli effetti uno statuto) ma che non pare aver mai messo in imbarazzo i militanti a 5 stelle.
A creare tensioni e screzi all’interno del MoVimento è stato (ed è tuttora) ben altro. Di raccontarci questo altro si è incaricato il giornalista Mauro Carbonaro del quotidiano on line Nuovo Paese Sera, la cui inchiesta Grillo vale uno. Il libro nero del MoVimento 5 Stelle (Ed. Iacobelli, pp. 320, euro 14,50), oltre a ricostruire la genesi del partito grillino e ad analizzare il ruolo determinante svolto dietro le quinte da Gianroberto Casaleggio e dalla sua società di consulenze telematiche, raccoglie le testimonianze dirette di persone che hanno operato nel MoVimento venendone poi allontanate, o prendendone le distanze, perché non abbastanza osservanti della linea dettata dai leader.
EMILIA «RIBELLE»
La maggior parte di questi episodi di «disobbedienza», e le conseguenti censure, si sono verificati in una delle roccaforti del MoVimento, l’Emilia-Romagna.
Istruttiva la vicenda di Gaetano Vilnò, il quale nel 2009, appurato che i componenti del meetup (forum grillino) di Parma non intendevano formare una lista civica cittadina per le elezioni amministrative, inoltra a Grillo la richiesta di poterne costituire una. In breve gli giunge l’autorizzazione «all’utilizzo del nome Beppe Grillo per l’attività politica del gruppo». Quando però verifica l’impossibilità di interagire con i vertici del MoVimento, le cui comunicazioni vengono sempre diffuse via mail o tramite il blog di Grillo da un impersonale staff, Vilnò esprime il suo scontento: «Quando iniziai a fare delle domande sull’articolo 3 del non statuto, che stabilisce che Grillo è l’unico proprietario dei diritti d’uso, o domande sul reale estensore del programma del MoVimento, su di me è iniziata una campagna denigratoria assoluta». A Vilnò cominciano ad arrivare strane mail in cui lo si invita a «stare calmo» e a «non farsi dei nemici», finché il 14 dicembre 2009 lo studio legale milanese Squassi e Montefusco, di cui il MoVimento 5 Stelle è cliente, invia a Vilnò una raccomandata in cui si intima all’attivista parmigiano di non usare più i marchi legati a Grillo. Da quel momento l’esperienza con i 5 Stelle ha termine e Vilnò ne ricava la convinzione che il MoVimento sia più pericoloso di un partito tradizionale perché in quest’ultimo, quantomeno, vi sono «regole che vengono rispettate anche dai vertici».
LA MINORANZA VINCE
Interessante pure il caso di Vittorio Ballestrazzi, che vede coinvolto il futuro dissidente Giovanni Favia, protagonista di un celebre fuori onda in cui dice a un giornalista di Piazza pulita che «Casaleggio prende per il culo tutti perché da noi la democrazia non esiste». Alle elezioni regionali del 2010 Favia, candidato con il MoVimento, ottiene il 7% dei voti e guadagna due seggi: accettando quello bolognese farebbe eleggere a Modena Sandra Poppi; accettando quello modenese farebbe eleggere a Bologna Andrea Defranceschi. Anziché operare una scelta, Favia rimette la decisione a un’assemblea allargata di 40 «grandi elettori» del MoVimento, i quali assegnano 31 voti a Defranceschi e solo 8 alla Poppi (con Favia astenuto). Nonostante le sue 717 preferenze nella circoscrizione di Modena, contro le 376 di Defranceschi a Bologna, Sandra Poppi è fuori. A Ballestrazzi, consigliere comunale modenese della lista grillina, la cosa non va giù e lo fa presente, rilevando che si era creato «un “mostro antidemocratico” per cui 40 persone possono sovvertire le preferenze democraticamente espresse da 1.023 elettori». Il 22 aprile 2010, inesorabile, un post sul sito di Grillo sentenzia: «A seguito delle iniziative intraprese contro il MoVimento 5 Stelle in Emilia-Romagna, Vittorio Ballestrazzi è diffidato dal parlare per nome e per conto del MoVimento 5 Stelle e dall’utilizzo dei relativi loghi». Delle tante storie raccontate da Carbonaro, provenienti da molte altre regioni italiane (Liguria, Marche, Toscana, Piemonte, Veneto), merita di essere riferita anche quella di una certa Cinzia, frequentatrice del meetup milanese, che a un certo punto entra in rotta di collisione con l’ex candidato alla Regione Lombardia e oggi portavoce al Senato del M5S Vito Crimi.
IL PREFERITO
Il motivo dell’attrito è il trattamento di favore riservato a Crimi dalle alte sfere grilline. Benché infatti, sulla carta, l’uso del simbolo del MoVimento fosse riservato solo alle liste civiche e ai consiglieri eletti, il non eletto Crimi godeva, anche dopo le consultazioni regionali, «di delega a usare il simbolo, e si guardava dal dirlo ai più». Cinzia, su Internet, chiede chiarimenti a Crimi, il quale le risponde, non senza toni sottilmente irridenti, che lui gode di speciali sub-deleghe. Queste proteste procurano a Cinzia pesanti accuse da parte di altri grillini, tra cui quella di essere una «spia» di altri partiti, tanto che la giovane deciderà di prendere congedo dal MoVimento.
L’inchiesta di Carbonaro, insomma, rafforza il dubbio che a fare del Movimento 5 Stelle un partito sui generis non sia un tasso di democrazia interna eccezionalmente alto, basato sul motto «uno vale uno» (cioè tutti i cittadini valgono allo stesso modo), ma semmai il suo contrario: un rigido dirigismo e una repressione del dissenso che riportano indietro nel tempo e che oggi si fatica a ritrovare in altre formazioni politiche italiane. Se il «non movimento» e il «non statuto» suonano come formule vuote, una cosa nel M5S sembra essere ben più concreta: la non democrazia.