Giuseppe Pollicelli, Libero 2/4/2013, 2 aprile 2013
IL POLITICO CACCIATO DALLA MOGLIE, L’ALTRO DEPRESSO PER LA COMPAGNA
Che Vittori Feltri sia un maestro del giornalismo è cosa nota. C’è però la concreta possibilità che il fondatore di Libero sia anche un grande della narrativa, visto che grazie a Twitter potrebbe aver dato impulso a un filone letterario capace di portare a nuovo splendore la tradizione gloriosa del romanzo d’appendice. Con nonchalance da fuoriclasse della scrittura, per nulla appesantito dai presumibilmente lauti pasti di Pasqua e Pasquetta, intorno alle 14.30 di ieri Feltri ha buttato là, sul suo profilo Twitter, due compiuti micoracconti che stanno appassionando una moltitudine di lettori, diversi dei quali neppure facenti parte dei follower abituali di Vittorio.
I raccontini in questione, contenuti nei canonici 140 caratteri del social network, sono i seguenti: «Un politico importante ha ingravidato la cameriera e la moglie lo ha buttato fuori di casa » e «Un altro politico ex importante è stato mollato dalla compagna e ora è ricoverato in stato di depressione acuta ». Due brevissime narrazioni nelle quali c’è tutto ciò che un lettore esigente può attendersi: uno stile moderno, di una secchezza che nemmeno Raymond Carver dopo le revisioni del suo spietato editor Gordon Lish; la capacità di alimentare in chi legge (ma con poche e ficcanti parole, a differenza di quanto succedeva nel classico feuilleton) la voglia di saperne di più, di conoscere altri dettagli delle vicende di cui si parla; e poi la bravura nel distillare le rivelazioni, per consentire ai lettori, come fa un giallista consumato, di arrivare autonomamente, un poco per volta, alla soluzione dell’enigma, all’identità dei personaggi di cui si parla.
In seguito a numerose e accorate richieste, Feltri ha infatti snocciolato qualche utile informazione, regalando così al romanzo d’appendice anche l’inedita carta dell’interattività. Di fronte a tweet - relativi, in questo caso, al primo dei due racconti feltriani - come quello di tale Eli Man («Scusi ma dobbiamo indovinare chi è? Ce lo dica, suvvia») e di una certa Caterina Casolaro («Ci dia il nome per favore. Pura curiosità e pettegolezzo femminile»), Feltri ha dispensato qualche indizio. Lo ha fatto, in particolare, replicando al collaboratore del Fatto Quotidiano Alfredo Faieta, a una cui precisa domanda («È un politico di area cattolica vero? Mi conforti su questo. Buon sangue (clericale) non mente») ha risposto, in modo tanto laconico quanto efficace, «Fuochino». Senza peraltro tralasciare un tocco di esotismo alla Liala: «La colf è rumena».
Riguardo al secondo racconto, quello sul politico ex importante mollato dalla compagna e ora in stato di depressione acuta, Feltri si è dimostrato finora più abbottonato, ostentando la sacrosanta crudeltà del romanziere che vuol far «patire di piacere» chi lo legge. Ma la vera grandezza del Feltri narratore sta nell’avere ibridato il feuilleton con il reality: i protagonisti dei suoi racconti sono infatti uomini politici italiani in carne e ossa, entrambi decaduti, le cui peripezie (verissime) sono tuttora in corso di svolgimento. E ad essere di indiscutibile rilievo è poi la morale che le due novelle feltriane ci consegnano: l’esistenza di un politico di vaglia, al di là delle apparenze, è fra le più precarie che ci siano. Basta fallire un’elezione e a questi pover’uomini cade al mondo addosso, più nulla viene loro perdonato e il disprezzo di cui son fatti oggetto da chi si è recato alle urne si trasforma rapidamente nel disprezzo dei loro stessi familiari.
È vero che ogni romanzo d’appendice deve concludersi con un’agnizione, con il disvelamento della segreta identità di uno o più personaggi, ma la peculiarità più interessante del feuilleton feltriano è proprio questa: senza che l’autore dica nulla esplicitamente, il lettore capisce tutto da solo. Eccome, se capisce.