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 2013  aprile 02 Martedì calendario

MILIBAND SI DIMETTE CONTRO DI CANIO. IL CALCIO IN CONFLITTO CON L’IDEOLOGIA

Il caso Miliband-Di Canio al Sunderland, con relative dimissioni del laburista per arrivo nel club di un allenatore fascista, riportano il calcio a un abbraccio con la politica che negli ultimi anni si era un po’ alleggerito. Diversamente da quello che si pensa, il calcio ha una nascita nobile, a metà Ottocento in Inghilterra lo giocano solo nelle grandi università. La gente normale si avvicina dopo il 1860, dopo cioè che nelle grandi fabbriche e nelle miniere fu concesso il sabato libero. Questo portò migliaia d’inglesi nei prati e un rapido crescere di rivalità tra aristocrazia e popolo. Quando nel 1883 i ragazzi di Eton persero contro il molto proletario Blackburn, tutte le università più celebri decisero di tornare al rugby e lasciare il calcio agli operai.
Mussolini fu il primo a capire la forza di comunicazione e aggregazione del grande calcio. Fece della Nazionale uno dei riferimenti più forti del fascismo. I giocatori erano simboli di ricchezza e ardore nazionale. Peppino Meazza era chiamato il Balilla, Monzeglio era il maestro di tennis del Duce, lo seguì anche a Salò. Quando fu trovato dai partigiani, nessuno gli torse un capello. «L’è un campiun del mondo» dissero e se ne andarono. L’Inter fu chiamata Ambrosiana per evitare accostamenti socialisti, il Milan si diceva fosse più di sinistra. Si è sempre detto che a volere lo scudetto della Roma in epoca di guerra sia stato Mussolini, che però era laziale.
Dopo la guerra un grande manto democristiano calò sul popolo del calcio. Il giocatore era ricco non aveva voglia di rivoluzioni. Le eccezioni erano pochissime e guardate con stupore. Gigi Meroni, Paolo Sollier, Renzo Ulivieri, lo Zaccheroni che non riuscì mai ad andare d’accordo con il suo presidente Berlusconi. Il calciatore di oggi non partecipa, si fa gli affari propri, tende ad accumulare per cancellare la paura che ha del futuro. Ma resta cattolico e conservatore.
Mario Sconcerti