Francesca Basso, Corriere della Sera 02/04/2013, 2 aprile 2013
PARADOSSO FITCH. LO SPREAD? NON CONTA
Lo spread sale e il rating di uno Stato viene tagliato o il rating viene abbassato e lo spread aumenta? È nato prima l’uovo o la gallina? Viene da chiederselo sentendo l’agenzia Fitch, che declassa lo spread come indicatore della salute di un’economia in difesa del rating, di cui peraltro vive. Tutto parte da una simulazione a tre anni su un portafoglio di titoli di Stato, costruito in base alla percentuale di debito a novembre 2009, appartenenti ai cosiddetti Piigs: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna (rappresentati rispettivamente con le quote 5%, 61%, 4%, 10% e 20%). Tre i casi presi in esame. Primo: uscita da una posizione-Paese e reinvestimento in Bund con il superamento di 500 punti di spread (tutti hanno superato la soglia). Secondo: uscita in caso di rating al di sotto della soglia di investimento (è accaduto a Grecia e Portogallo). Terzo: nessun intervento (nonostante il taglio imposto sui bond di Atene). Nella prima ipotesi la perdita sarebbe stata del 12,2% per la vendita dei Btp nel momento in cui il nostro spread è schizzato sopra quota 500. Nella seconda ipotesi, invece, il guadagno ci sarebbe stato proprio grazie ai nostri Btp, che avrebbero compensato le perdite dei bond greci. Fitch ha usato lo studio per sottolineare l’affidabilità del rating sullo spread. Di recente l’agenzia ha tagliato il nostro giudizio (da A- a BBB+ con outlook negativo). Lo spread, ovvio, ne ha risentito. Accade però che le agenzie di rating si sbaglino. Un esempio: la banca Lehman Brothers ha continuato a mantenere il rating «A» fino al 15 settembre 2008, quando dichiarò bancarotta. Molti dei suoi prodotti avevano la tripla «A», come i super sicuri Bund tedeschi.
Francesca Basso