Giulia Zonca, La Stampa 2/4/2013, 2 aprile 2013
DI CANIO AL SUNDERLAND MA IL PASSATO ARRIVA IN PANCHINA PRIMA DI LUI
Il tifoso del Sunderland è disorientato: pensava che il peggio fosse essere a un punto dalla zona retrocessione e invece si ritrova in mezzo a un dubbio morale che agita l’Inghilterra e ora oltre a tremare per la possibilità di perdere la Premier League deve scegliere se appoggiare Di Canio come allenatore oppure indignarsi.
Da ieri l’italiano è il nuovo allenatore del club simbolo del Nord-est inglese: il proprietario, un americano che ha investito troppo per sopportare altre disfatte, ha esonerato Martin O’Neil dopo l’ennesima sconfitta e ha chiesto «un uomo che sappia risvegliare e trascinare la squadra». Sulla sveglia non ci sono dubbi, da ieri il Sunderland è il centro del dibattito.
Di Canio non ha fatto in tempo ad arrivare al campo che il vicepresidente della squadra si è dimesso e non si tratta di uno qualsiasi ma di David Miliband, ex ministro degli esteri, fratello di Ed, il capo del partito laburista ovvero la carica a cui puntava anche David. Il suo ruolo calcistico è arrivato proprio quando ha perso quella corsa e ha deciso di allontanarsi dalla politica «per chiudere la telenovela Miliband». Ora, ormai impegnato a New York per un nuovo incarico diplomatico, lascia la poltrona: «Non mi sentirei a mio agio alla luce delle affermazioni espresse in passato dal nuovo allenatore». Si riferisce al saluto nazista sfoderato da Di Canio sotto la curva della Lazio nel 2005 e alle controverse dichiarazioni arrivate dopo: «Sono fascista, non razzista». Oggi il tecnico prende le distanze: «Sono un uomo di sport non posso essere giudicato per le convinzioni politiche. In passato possono essere successe delle cose, ma le mie dichiarazioni sono state usate fuori contesto. Considerarmi razzista è semplicemente ridicolo». Risponde a Miliband ma soprattutto al Fare, l’associazione contro il razzismo che vigila sul pallone. Anche loro sono preoccupati, hanno chiesto una presa di posizione e Di Canio l’ha fornita: «Ho i miei valori, ma la mia vita parla per me». Fine dello scambio di opinioni e inizio dell’imbarazzo generale.
Il Sunderland non vince più una partita da metà gennaio, chiamarla crisi è già una concezione ottimista, è una caduta libera, un crollo. La baraonda potrebbe anche spostare l’attenzione dai risultati e togliere pressione a giocatori ormai considerati imputati dalla curva, ma il dilemma resta. Da una parte chi crede che non si possa giudicare un allenatore per le sue convinzioni, dall’altra chi vuole prendere le distanze da certi atteggiamenti. È già successo, uno degli sponsor dello Swindon Town, ultima squadra di Di Canio, si è ritirato all’arrivo dell’italiano, allora non si trattava di un club importante, né di un politico conosciuto, ma la storia è sempre la stessa.
Di Canio è libero di avere le opinioni che crede, infatti ci sono società importanti che lo assumono e il suo lavoro viene valutato per i risultati non per la biografia in cui definisce Mussolini «un uomo frainteso», però deve anche aspettarsi delle reazioni. Quel gesto, che lui non ha più ripetuto, ma nemmeno rinnegato, offende. Un passo avanti lo ha fatto: «Se ho urtato qualcuno mi dispiace». Magari al prossimo spostamento si spingerà a delle scuse ufficiali, intanto proverà a salvare il Sunderland. E aspetterà il verdetto dei tifosi.