Maurizio Molinari, La Stampa 2/4/2013, 2 aprile 2013
LO SHALE GAS AMERICANO SFIDA I BIG RUSSI DELL’ ENERGIA
Le compagnie energetiche americane puntano a rubare terreno a Gazprom in Europa mentre Vladimir Putin ordina ai giganti del petrolio russo di mantenere la produzione a 10 milioni di barili al giorno sfruttando il bacino di Bazheniv in Siberia per fronteggiare la “shale revolution” nordamericana: sono le avvisaglie del nuovo duello economico-strategico fra Washington e Mosca innescato dall’accelerazione dello sfruttamento del gas naturale situato a grandi profondità ed estratto con la tecnologia idraulica del “fracking”, che consente di raggiungere anche depositi di greggio finora considerati inarrivabili.
Se in dicembre la Cina ha superato gli Stati Uniti come primo importatore mondiale di greggio e tre Stati americani - North Dakota, Ohio e Pennsylvania - hanno prodotto assieme 1,5 milioni di greggio al giorno, l’equivalente dell’Iran, è a seguito della “shale revolution” che vede gli Stati Uniti accelerare l’impiego del “fracking” riuscendo a produrre gas e greggio in quantità tali da rendere verosimile il raggiungimento del traguardo dell’indipendenza energetica entro la fine del decennio. In America l’accelerazione è iniziato con il gas naturale estratto sotto gli Appalachi ma la trivellazione orizzontale ha consentito poi di sfruttare nuovi giacimenti in North Dakota e Texas. «E’ un cambiamento epocale e le conseguenze già si percepiscono - spiega David Yergin, esperto di energia vincitore del premio Pulitzer con il libro The Prize - perché l’aumento della produzione di greggio in America ha contribuito a rendere stabili i prezzi globali, senza far sentire troppo la mancanza sul mercato del petrolio dell’Iran sotto sanzioni».
Ed è solo l’inizio perché il progetto del megaoleodotto Keystone Xl dall’Alberta al Golfo del Messico consentirà - se definitivamente approvato dalla Casa Bianca - di aggiungere alle risorse del Nordamerica il greggio estratto dalle sabbie bituminose del Canada. Per Charles Pascual, coordinatore del dossierrisorse al Dipartimento di Stato, è «l’equilibrio energetico globale che muta» perché gli Stati Uniti sono in grado di rubare mercati alla Russia e di essere meno dipendenti dall’import di greggio rispetto a Cina e India.
La rivalità con la Russia si gioca soprattutto in Europa Occidentale dove finora è stato il gigante russo Gazprom a portare la maggioranza del gas naturale «ma la disponibilità dello shale gas nordamericano consente da subito alle compagnie europee di avere più alternative, facendo scendere i prezzi» afferma Pascual, che cita ad esempio il contratto ventennale firmato in marzo dall’americana Cherniere Energy con la britannica Centrica PLC per la fornitura di riscaldamento a 1,8 milioni di case a partire dal 2018: «E’ l’inizio di una nuova stagione di approvvigionamento energetico per l’Europa» che consente di ostacolare la morsa fra NorthStream e Southstream con cui Gazprom puntava a rendere gran parte dell’Europa Occidentale dipendente dalle proprie risorse naturali. La risposta del Cremlino arriva con la disposizione data dal presidente Putin al settore petrolifero di “mantenere fino al 2020 la produzione del greggio a 10 milioni di barili al giorno” investendo pesantemente nello sfruttamento dei giacimenti di shale gas nel bacino siberiano di Bazhenov, puntando ad estrerre più greggio.
Tutte le maggiori compagnie russe - Lukoil, Rosneft e Gazprom Neft - sono presenti in questa regione e intenzionate ad accelerare la «trivellazione orizzontale» ma l’ostacolo è la carenza dell’alta tecnologia del “fracking” di cui invece dispongono i rivali a stelle e strisce. Possono però contare su un vantaggio: i gruppi ambientalisti che si oppongono al “fracking” nel timore di danni ecologici sono assai più deboli in Russia rispetto a Stati Uniti o Canada.