Franco Giubilei, La Stampa 2/4/2013, 2 aprile 2013
PROFESSIONE: CERCATORE DI ORDIGNI "COME SI FA? NERVI E TECNOLOGIA"
Professione: cercatore di bombe. Giovanni Lafirenze, classe 1959, barese, fa questo mestiere da 30 anni, da quando lasciò l’esercito e la sua qualifica di operatore di ponti radio per trovarsi, quasi per caso, un lavoro da «rastrellatore».
I rastrellatori sono quelli che, per conto della decina di ditte specializzate operanti in Italia, setacciano il terreno alla ricerca delle migliaia di ordigni tuttora disseminati in tutto il Paese dopo i due conflitti mondiali. Entrano in azione prima che inizi la costruzione di nuove strade, grandi opere, insediamenti abitativi in zone periferiche di città e paesi. Già, perché secondo Lafirenze l’Italia è «una discarica bellica di dimensioni colossali», e ovunque si scavi il pericolo di imbattersi in ordigni inesplosi è concreto e frequente.
Il percorso professionale del cercatore di bombe è cominciato nei primi Anni 80: «Forse ero già innamorato di questo lavoro senza saperlo, fatto sta che, dopo aver lasciato la divisa, mi assunse una ditta milanese specializzata nel recupero bellico, sia in terra che in mare. Dopo un corso ho conseguito il brevetto da rastrellatore di mine, e anni dopo sono diventato assistente, l’equivalente di un caposquadra».
Una vita passata a dar la caccia a materiale che con il tempo avrà pur perso la metà della sua potenza distruttiva, ma che resta comunque capace di produrre conseguenze micidiali, come testimonia la recente drammatica vicenda in Val Susa: «Il problema dei residuati è enorme, perché l’esplosivo non perde mai la sua capacità – spiega Lafirenze -: se è nuovo esplode a ottomila metri al secondo, se è lì da 60 anni esplode a quattromila metri al secondo».
Le squadre di bonifica, composte da un assistente e tre rastrellatori, agiscono così: «Prima perlustriamo il terreno con rivelatori elettronici che controllano a una profondità di un metro, poi passiamo alla bonifica fino a 4-5 metri, secondo il capitolato di bonifica dei campi minati. In base al ritorno strumentale intuiamo di che tipo di massa metallica sepolta possa trattarsi, se può essere un residuato bellico scaviamo intorno con le dovute cautele. Questa è la fase più pericolosa, dopodiché segnaliamo il ritrovamento ai Carabinieri, mentre la zona viene recintata in attesa della squadra degli artificieri, che poi faranno brillare l’ordigno».
Un lavoro di pazienza e nervi saldissimi, che fino all’introduzione dei rilevatori ha mietuto molte vittime, come testimonia il monumento nazionale ai caduti nei campi minati di Castel Bolognese: «Allora però non c’erano le moderne tecnologie, oggi i professionisti sono molto più tutelati».
In questi anni di caccia alle bombe Lafirenze ha battuto tutte le regioni italiane, Sardegna esclusa, imbattendosi in ritrovamenti di proporzioni imp r e s s i o n a n t i : «La cosa più assurda che mi sia capitata è stata la bonifica della polveriera di Sequals, vicino a Pordenone, dove i tedeschi in fuga avevano seppellito 103 mila pezzi alla fine della Seconda guerra mondiale. Era prassi comune, in fondo, che gli eserciti in ritirata interrassero le munizioni. Ci abbiamo messo quattro settimane a ripulire tutto».
Anche la Grande Guerra, pur su un fronte più circoscritto rispetto al conflitto successivo, ha lasciato le sue tracce: «A Udine abbiamo trovato 8 mila pezzi sotterrati dall’esercito austriaco in ritirata. E i rinvenimenti di materiale di quel periodo continuano tuttora». Quando non è la guerra, è il terrorismo di casa nostra a materializzarsi fra le mani dei bonificatori: «È successo vicino Roma, nei paraggi di Casal Vertone: trovammo nove bombe a mano, due pistole, proiettili e un centinaio di detonatori, tutto nascosto in un bidone del latte, dove il materiale era incartato in giornali del 1978».